La nana Di Cesare contro il gigante Agamben
di MASSIMOFRANCESCHINIBLOG (Massimo Franceschini)
Quando l’ideologia fa saltare la possibilità del pensiero critico
Pubblicato anche su Attivismo.info e Sfero
Non è la prima volta che commento Donatella di Cesare, come in questo articolo in cui evidenziavo il fatto che le sue argomentazioni fossero “viziate” da forti presupposti ideologici che mal si addicono, a mio parere, ad una quotatissima docente di filosofia.
Tale vizio si palesa e si accentua in tutta la sua drammaticità nel suo attacco al filosofo Giorgio Agamben, secondo la Di Cesare reo di aver sposato il cosiddetto “complottismo”.
Come vedremo, l’articolo in questione evidenzia il fatto che la professoressa possa essere annoverata fra i “paladini del sistema” tout court.
Giusto per chiarire cosa intendo quando parlo di “sistema”, con buona pace di chi non ha veri argomenti politici, ma solo slogan da talk televisivi, mi riferisco a quello che dovrebbe essere il dato principale della politica moderna, totalmente rimosso dal dibattito politico: la questione sovranità.
Della serie “meglio tardi che mai”, da quando è stata messa in campo l’emergenza sanitaria sempre più voci si stanno accorgendo del fatto che oggi il “potere reale” non è più nelle mani della politica e dei nostri presunti “rappresentanti” se non nella “forma”, anch’essa però ampiamente e ripetutamente violata.
Se vogliamo fare un vero servizio alla politica e alla verità, non possiamo più trattenerci dall’indicare come le più alte sfere della finanza globale (che detengono, controllano e influiscono su banche, centrali e non, corporazioni globali, “big tech”, media mainstream e centri culturali), insieme ad organismi privati sovranazionali non eletti e ad un coacervo di apparati che abbiamo imparato a chiamare “deep state”, formino la reale sfera del potere di un Occidente che stentiamo sempre più a definire “democratico”.
Con le sue profonde analisi, vi prego di leggere attentamente questa di pochi giorni fa, poi esplicitata in questo video, Agamben da tempo si pone tali problemi, andando anche oltre per cercare di capire le fondamenta filosofiche, etiche, persino linguistiche del grave momento attuale.
Questo, evidentemente, lo “elegge” a bersaglio da parte della Di Cesare che pretende di rivenderci la “missione umanitaria” di salvare Agamben da se stesso, addirittura proteggendo nello stesso tempo, udite udite, la “filosofia”.
Già dal sottotitolo, credo si possa intuire come nella testa della Di Cesare non alberghi il dubbio, almeno in questo caso:
È stato il filosofo più significativo di questi ultimi decenni. Ma da quando ha iniziato a commentare gli eventi legati al coronavirus ha abbracciato il negazionismo. Sarà quindi necessario preservare Agamben da Agamben, il lascito del suo pensiero da questa deriva.
E continua parlando del “caso Agamben” come di uno dei tanti effetti devastanti di questa pandemia, che avrebbe persino investito la filosofia.
Nella prima parte dell’articolo, per far capire quanto lei conosca e riconosca al filosofo, elenca tutta una serie di indubitabili meriti del suo pensiero filosofico-politico, ma al solo fine di far pesare ancor più quanto sarebbe “traumatico” quel che è accaduto.
L’autrice continua poi con una breve cronaca riassuntiva di momenti impressi nella nostra memoria dal mainstream, ovviamente senza metterne in discussione alcunché.
Ovviamente non si fa mancare i camion di Bergamo e una battuta contro quelli che lei definisce “regimi sovranisti” di Trump e Bolsonaro rei, a quanto dice, di “ignorare grottescamente o di piegare ai propri scopi” quello che lei chiama “virus sovrano”.
La Di Cesare continua cercando, proprio come il Polito sul Corriere che commentavo nel precedente articolo, di apparire consapevole dei pericoli per una “deriva autoritaria”, ma pur distinguendo fra “stato d’emergenza” e “stato d’eccezione”, indicando quest’ultimo come “dettato da una volontà sovrana”, trae le sue perentorie conclusioni così:
Ma il passo ulteriore, quello della deriva complottistica, non lo compiamo. Perciò non diciamo né che l’epidemia da Covid-19 è un’invenzione né che viene presa a pretesto intenzionalmente, come fa Agamben nell’avvertenza del suo libro: «Se i poteri che governano il mondo hanno deciso di cogliere il pretesto di una pandemia – a questo punto non importa se vera o simulata…». Personalizzare il potere, renderlo un soggetto con tanto di volontà, attribuirgli un’intenzione, significa avallare una visione complottistica. E vuol dire anche non considerare il ruolo della tecnica, quell’ingranaggio che, come insegna Heidegger, impiega quanti pretenderebbero di impiegarlo. I progettisti diventano i progettati. Non si può oggi non vedere il potere attraverso questo dispositivo. Proprio il virus sovrano ha mostrato tutti i limiti di un potere che gira a vuoto, ingiusto, violento, e tuttavia impotente di fronte al disastro, incapace di affrontare la malattia del mondo.
Che dire, qui di problemi io ne rilevo assai!
Ad iniziare dalla “sovranità”, di fatto spostata dalle scelte della politica al virus, come se un evento abbia un solo modo di essere analizzato ed affrontato!
Alla faccia della filosofia che lei pretende di insegnare… potere dei protocolli della cosiddetta “scienza”!
Comunque, se per certi versi è tipico che il mondo intellettuale, “di sistema” e non, difficilmente si spinga a dire le cose fino in fondo preferendo minimizzare, circoscrivere, relativizzare, ponendo l’accento sulla “complessità”, una parola sempre più in voga ai giorni nostri sulla quale ci sarebbe molto da dire, se quindi abbiamo una prudenza comprensibile anche con l’esigenza di mantenere uno “status” guadagnato, arrivare a dire che il potere non abbia una sua volontà, delle intenzioni, a me pare solo un vezzo intellettuale, sintomo di un “non voler vedere” assai sospetto.
Sarò certamente complottista, ma ricordiamo gli articoli delle grandi riviste scientifiche ed universitarie mondiali, insieme ad una marea di media mainstream che sin dagli esordi della “pandemia” hanno subito iniziato a dirci che il mondo non sarebbe stato più lo stesso?
Addirittura illustrandoci le nuove procedure, nuove applicazioni e protocolli che andavano ad impattare su ogni aspetto della vita!
Era già tutto previsto, almeno a livello progettuale!
E come non tener conto della marea di indizi sulla preparazione decennale alla “pandemia”, culminata con le estese esercitazioni degli apparati statunitensi del 2019?
E ritorniamo così a quanto poc’anzi scrivevo riguardo alle reali sfere di potere dell’era moderna, che la Di Cesare sembra “evitare”, purtroppo in compagnia di troppi intellettuali che, pur avendo posizioni sostanzialmente corrette pensano sia ancora il tempo della “prudenza accademica”, forse proprio per non subire gli strali alla Di Cesare.
E veniamo alla tecnica, l’ingranaggio capace di stritolare ogni umanità e caratterizzare il potere stesso.
Non devo certo scoprirlo io che la tecnica è la forza della modernità, che ha nello scientismo la sua “religione”.
Questo estratto di Ellul, risalente al ’67, credo sia abbastanza esaustivo a riguardo, a patto di comprendere che parliamo di uomini che si sono prostrati alla tecnica, “automatizzati” alle sue procedure nelle quali trovano la ragione d’essere e di agire: tutti nuovi Eichmann, giusto per citare una delle riflessioni di Agamben che riprendeva la Arendt, che non “evadono” mai mentalmente, spiritualmente e umanamente dalle loro “istruzioni”.
Il problema della tecnica si risolve, e non dico sia facile, anzi, riportandola sotto il reale controllo politico di società civili informate e non deviate da media di sistema e scuole tecnicizzate-inanimate, in piena etica civile e trasparenza politica.
Un lavoro certo arduo, quasi impossibile ormai, ma a ben vedere l’unico per cui valga la pena di combattere politicamente.
Evidentemente queste considerazioni non sono “necessarie” alla Di Cesare, che preferisce sentenziare cercando di apparire comunque “equilibrata”:
No, non mi associo alla vulgata anticomplottista di quelli che, certi di possedere ragione e verità, riducono un fenomeno complesso a un crampo mentale o a una menzogna. Con tanto più rammarico dico che le cupe insinuazioni di Agamben, le sue dichiarazioni sulla «costruzione di uno scenario fittizio» e sulla «organizzazione integrale del corpo dei cittadini», che rinviano a un nuovo paradigma di biosicurezza e a una sorta di terrore sanitario, lo inscrivono purtroppo nel panorama attuale del complottismo.
Un colpo al cerchio, uno alla botte, senza volersi “sporcare le mani” apparendo come quella che non ha provato a capire, che però cade, come al suo solito e come facevo notare nel primo articolo in cui la commentavo, sul fattore ideologico:
Com’è noto Agamben si è ritrovato a destra, anzi all’ultradestra, con un seguito di no vax e no pass. Di tanto in tanto si è perfino scagliato contro chi a sinistra difendeva il piano di vaccinazione.
In fin dei conti, da brava “pasdaran” della sinistra, a lei questo interessa, marcare il territorio ideologico come ultima e “insuperabile” ragione.
E conclude con quelle che a lei sembreranno parole definitive contro il grande filosofo:
Ci ha costretto spesso a elucubrazioni fuorvianti e soprattutto, prendendo posizioni paradossali, ci ha spinto verso il senso comune. Per quel che mi riguarda forse questo è uno dei maggiori danni, dato che la filosofia richiede radicalità. Ma i danni sono ulteriori e difficilmente stimabili, a partire da un sovrappiù di discredito gettato sulla filosofia. Per noi agambeniani, sopravvissuti a questo trauma, si tratterà di ripensare categorie concetti, termini, alcuni – come “stato d’eccezione” – divenuti quasi ormai grotteschi. E sarà necessario salvare Agamben da Agamben, il lascito del suo pensiero da questa deriva. Né si può sorvolare sulla questione politica, dato che viene meno nel modo peggiore uno dei punti decisivi di riferimento per una sinistra che non si arrende né al neoliberismo né alla versione del progressismo moderato. Il cammino sarà impervio.
Certo, delimitare la filosofia alla “radicalità” espungendo il buon vecchio “senso comune” a me fa subito venire in mente Costanzo Preve, quando denunciava la novità della nostra epoca: gli intellettuali dei nostri tempi sono spesso più stupidi della gente comune!
Comunque, la chiusura “in bellezza” dell’autrice, oltre a rimarcare il suo unico interesse ideologico, si impreziosisce finalmente di qualche verità: il desiderio per una sinistra che non si arrenderebbe al neoliberismo sa tanto di “reset globale” stile Davos-credito sociale cinese, se possibile ancor peggiore del neoliberismo stesso; riguardo al progressismo moderato, evidentemente l’autrice ci spinge verso un progressismo spinto, ed anche qui la Cina e le élite transumane occidentali la stanno accontentando.
Caro Giorgio, con nemici così il tuo onore salirà alle stelle, insieme al nostro scoramento.
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