Il nucleare e le verità degli influencer
di SINISTRAINRETE (Igor Giussani)
Il video di Rick Dufer ‘La Verità sul Nucleare: Ambiente, Scienza ed Energia‘, pubblicato su YouTube il 6 novembre scorso e divenuto abbastanza virale (circa 95.000 visualizzazioni mentre sto scrivendo), si sarebbe potuto ragionevolmente intitolare ‘Quando clickbaiting, bias, ideologismo, cherrypicking, whishful thinking e tutte quelle brutte cose che rimproveriamo sempre agli altri le facciamo noi, allora diventano ottima e corretta informazione’.
Non si può definire altrimenti questa lunga intervista totalmente ‘sdraiata’ con Luca Romano (meglio noto sul Web come ‘L’avvocato dell’Atomo’), dove il liberal tecno-ottimista DuFer lascia campo libero al suo interlocutore senza il minimo contraddittorio per snocciolarci niente meno che la ‘Verità’, ossia un’ora e mezza di propaganda sapientemente ondeggiante tra enfasi delle (presunte) virtù del nucleare e demonizzazione delle rinnovabili.
La mia intenzione originaria era di ribattere colpo su colpo, tramite un articolo o un video reaction, ma le manipolazioni sono talmente tante che ogni tentativo si è rivelato un’impresa titanica. Dopo lunga (quasi due mesi) e sofferta riflessione sul da farsi, ho preferito rimandare alcune questioni a una fonte spesso accusata di essere ‘di parte’ ma che, per esaustività e ricchezza di informazioni, non ha eguali: mi riferisco al The World Nuclear Industry Status Report 2021 (WNISR2021). In particolare per quanto concerne i seguenti punti:
- costi e tempistiche del nucleare: nel video vengono spacciati per attuali quelli relativi al programma francese (completato in massima parte a fine anni Ottanta), totalmente anacronistici a causa dei maggiori livelli di sofisticazione tecnica e degli standard di sicurezza odierni. Del resto, le descrizioni rose e fiori dell’Avvocato cozzano decisamente con le pessime condizioni economiche in cui versa attualmente il colosso energetico transalpino EDF e con il fallimento in cui è incorsa AREVA (vedi qui), che spiegano invece perché il direttore tecnico di Rwe Power Nuclear definisca l’atomo “un business economicamente morto”;
- obsolescenza del comparto nucleare mondiale: mentre nel video si enfatizzano l’avvio e la costruzione di nuovo reattori, si dimentica che il 18% della potenza atomica installata nel mondo ha raggiunto o superato i quarant’anni di vita operativa e un altro 27% lo farà nel 2035;
- “per l’incidente nucleare di Fukushima non è morto nessuno”: la sezione del rapporto dedicata al decennale della tragedia giapponese smentisce il tentativo di ridicolizzare la portata dell’incidente che ha coinvolto la centrale atomica nipponica;
- decommissioning: argomento tabù per i pro nuke, in quanto dismissione e smantellamento in sicurezza dei reattori pongono gravi problematiche di ordine tecnico, con conseguenti costi che talvolta finiscono per uguagliare quelli di costruzione.
La narrazione dell’Avvocato non ha molto di ‘scientifico’, in compenso è costruita ottimamente per sedurre il pubblico dei social media, tramite semplici sillogismi e proposizioni assiomatiche la cui efficacia si regge su mezze verità (in particolare per quanto concerne i limiti delle rinnovabili), utili per rendere credibile la mistificazione complessiva. Il ragionamento generale segue un filo logico così riassumibile:
Per la prosperità del genere umano, non è pensabile di ridurre i consumi energetici attuali, vanno anzi aumentati per portare lo sviluppo laddove regnano ancora povertà e miseria -> fatti come il fallimento del ‘villaggio solare’ indiano di Dharnai (qui per saperne di più rispetto alle parzialissime informazioni riportate dall’Avvocato e DuFer) e la situazione tedesca (vedi paragrafo successivo) testimoniano che l’obiettivo è impossibile da raggiungere con le rinnovabili, indi per cui il nucleare è l’unico modo per coniugare un maggior fabbisogno con la decarbonizzazione necessaria per contrastare il global warming -> i massicci programmi atomici della Francia ieri e della Cina oggi sono la dimostrazione concreta della fattibilità per tutti di imbarcarsi in iniziative analoghe-> non esistono ostacoli tecnici alla diffusione del nucleare, solo fobie e pregiudizi dovuto all’ignoranza che ne hanno tarpato la diffusione -> l’energia atomica permette in sostanza di conciliare sia la capra (il business as usual) che i cavoli (decarbonizzazione dell’economia e lotta al global warming).
Ora svisceriamo più dettagliatamente alcune della principali argomentazioni impiegate per sostenere quest’impalcatura concettuale.
Grandeur francese vs inettitudine tedesca
Per creare un clima di consenso facile intorno al nucleare, il video si sofferma inizialmente sul rincaro delle bollette dovuto all’aumento del prezzo del gas (che ci rende dipendenti da potenze straniere volubili quali la Russia), dopodiché l’Avvocato mostra gongolante electricityMap (mappa interattiva che informa in tempo reale sui consumi elettrici delle varie nazioni e sulle relative emissioni) la quale promuove la Francia, tinteggiata di un bel verde grazie al fabbisogno elettrico al 70% da nucleare, mentre boccia senza appello la ‘marrone’ Germania, rea di aver investito 680 miliardi nelle rinnovabili e di essere rimasta ancorata a gas e carbone per supplire al comportamento aleatorio di fotovoltaico ed eolico.
Tutto ciò, in realtà, più che glorificare le virtù nucleari, evidenzia i limiti delle rinnovabili se prive di adeguati sistemi di accumulo, come accade tutt’ora (per la Germania, il sito riporta solo 9,81 GW di pompaggi idroelettrici e appena 280 MW di batterie). La mistificazione degenera però in vera e propria disinformazione quando, intorno al minuto 26, DuFer lascia intendere che in Germania al progressivo abbandono del nucleare sia conseguito un maggior apporto nell’uso del carbone e, di conseguenza, rischi più gravi per la salute dei cittadini. Una menzogna colossale, in quanto al ritiro dall’atomo è invece seguita una parallela riduzione nell’uso del carbone, con l’intensità energetica della generazione di elettricità tedesca migliorata quasi del 45% rispetto al periodo di massimo impiego del nucleare, registrato nel 2001.
Allora la produzione atomica toccò infatti la punta massima di 171 TWh, a quarant’anni esatti dall’allacciamento alla rete del primo reattore (il BWR situato nell’impianto di Vak Kahl). A titolo di paragone nel 2020, cioé ad appena un decennio dall’approvazione al Bundestag della nuova strategia energetica post atomica (Energiewende), eolico e solare sono stati già in grado di generare congiuntamente 180 TWh.
Immaginiamo ora che, nel 2011, la Germania avesse preferito avviare la decarbonizzazione puntando sul nucleare: innanzitutto, avrebbe dovuto investire per adeguare i reattori esistenti agli standard di sicurezza post Fukushima e allungarne la vita operativa, in quanto ben 8 su 18 avrebbero raggiunto la soglia critica dei quarant’anni di esercizio tra il 2014 e il 2019, mentre i rimanenti dieci tra il 2020 e il 2030. Questi 22 GW atomici avrebbero potuto, al massimo delle loro possibilità, garantire 175 TWh, quindi sarebbero serviti altri 65 TWh per arrivare all’attuale quota elettrica ‘low carbon’, cioé almeno 5 reattori da 1,6 GW di terza generazione come gli European Pressurised Reactor (EPR), che con ogni probabilità sarebbero stati adottati in quanto nella loro fabbricazione è coinvolta anche la tedesca Siemens AG.
Considerando i ritardi ultradecennali nella costruzione degli EPR di Flamanville e Olkiluoto (si rimanda al WNISR2021 per i dettagli), nella più ottimistica delle ipotesi oggi sarebbe operativa una sola di tali unità, quindi il ricorso alle fossili risulterebbe con ogni probabilità maggiore dell’attuale. Inoltre, dal 2011 in poi, il costo per MWh del nucleare è aumentato, mentre quello di rinnovabili e batterie è progressivamente calato (qui per maggiori dettagli); pertanto, uno stato che varasse oggi una politica simile all’Energiewende lo farebbe in condizioni economicamente molto più vantaggiose.
Piani energetici di carta
Immaginiamo che le ‘dimostrazioni’ dell’Avvocato siano state sufficienti per trasformarci in convinti nuclearisti e improvvisiamo un piano energetico ad hoc per il nostro paese. Per farlo, ci baseremo sull’ipotesi del mix ’50-50′ nucleare e rinnovabili, perorato dal presidente francese Macron e da molti altri, non tanto perché la riteniamo fattibile o consono ai desiderata dell’Avvocato (siamo estremamente dubbiosi in entrambi i casi*), bensì per tenere l’apporto atomico il più basso possibile e non essere quindi accusati di gonfiarne i numeri a scopo polemico. Che cosa significherebbe concretamente per l’Italia?
Ipotizzando un fabbisogno elettrico ideale per il nostro paese simile all’attuale (cioé intorno ai 300 TWh) e reattori operanti a un fattore di carico intorno all’85-90%, occorrerebbero una ventina di GW nucleari, ossia l’equivalente di 10-11 EPR. Tuttavia, nell’ottica dell’elettrificazione totale, andrebbero aggiunte anche le quote di fossili oggi destinate a usi diversi dalla generazione di elettricità, come la produzione di calore ed energia meccanica; un problema non da poco, dal momento che si tratta di rimpiazzare la fonte egemone, ossia il petrolio.
I dati più aggiornati della IEA riferiscono di un consumo di energia primaria italiano pro capite di circa 26 MWh annui, di cui solo 5 elettrici. Immaginando che l’elettrificazione consenta aumenti di efficienza tali da abbattere questo valore del 70% a parità di prestazioni, il fabbisogno elettrico nazionale si attesterebbe in un range di 460-470 TWh e per ottemperare alla formula 50-50 a quel punto servirebbero almeno 28 GW nucleari. Per un’idea dello sforzo necessario, secondo il database PRIS della IAEA i progetti atomici attualmente in cantiere in tutta Europa (occidentale e orientale) ammontano a 17,3 GW.
Uscendo dagli angusti confini di casa nostra, il quadro si fa ancora più problematico e inverosimile. Il 50-50 rispetto agli odierni consumi elettrici della ex UE a 28 richiederebbe più della metà di tutta l’attuale energia atomica mondiale, la quale a sua volta dovrebbe almeno quadruplicarsi per sostenere il 50% dell’attuale elettricità globale (tutti reattori del pianeta producono appena il 54% dell’elettricità cinese da carbone). Insomma, se i sostenitori delle rinnovabili vengono derisi alla maniera di chi voglia svuotare il mondo servendosi di cucchiaini da caffé, i paladini dell’atomo si sentono tanto più furbi e intelligenti solo perché convinti di riuscirci armati di capienti secchi.
L’uranio, così scarsamente abbondante
L’Avvocato ammette che, per avviare oggi un programma nucleare, la tecnologia di riferimento sarebbero ancora i reattori a fissione ad acqua leggera alimentati ad uranio, essendo quelli autofertilizzanti troppo costosi e ancora lontani da uno standard commerciale (per non parlare di minireattori o reattori al torio, ancora lontani da una fase prototipica). Rassicura comunque (anche se in maniera alquanto vaga) sulle riserve di uranio disponibili, ritenendo fattibile eventualmente anche l’estrazione dal mare.
E’ proprio così? Le riserve ‘a buon mercato’ (cioé con costi inferiori a 260 $/kg) vengono stimate intorno alle 7 milioni di tonnellate: considerato che il consumo attuale (circa 59 milioni di tonnellate), in base alle mirabolanti ipotesi testé esposte, dovrebbe aumentare di almeno 4-5 volte, si tratterebbe di una disponibilità per 25-30 anni.
Come puntualizzano immancabilmente i nuclearisti, il costo del combustibile incide minimamente sul prezzo al kWh, tuttavia non si tratta solo di garantire l’apporto necessario o di risparmiare sulle bollette, ma di contenere le emissioni di gas serra e il danno ecologico in generale, in particolare per quanto concerne la fase di estrazione. La concentrazione dell’uranio naturale nei minerali è molto bassa, inoltre solo lo 0,7% è fissile, ragion per cui occorrono circa 7 tonnellate di uranio naturale per ottenerne una arricchita come combustibile dei reattori.
Per rifornire migliaia di reattori, occorerebbe sfruttare anche i giacimenti con risorse a bassa e bassissima concentrazione (“low-grade” e “very low grade”), tali per cui serve lavorare decine di tonnellate di minerale grezzo per ottenere qualche chilogrammo di uranio naturale. Superata una certa soglia (intorno alla 0,01-0,02% di gradazione), però, le emissioni complessive di gas serra della filiera atomica salgono raggiungendo livelli quasi analoghi a quelli delle centrali a gas a ciclo combinato (per approfondire rimando a uno studio di Jan Willem Storm van Leeuwen).
Quanto all’estrazione dall’acqua di mare, spesso presentata come soluzione definitiva per trasformare il nucleare in una vera e propria fonte rinnovabile (vista la smisurata quantità di uranio disciolta negli oceani), la concentrazione infinitesimale pone problemi praticamente insolubili anche immaginando ritrovati capaci di estrarre il 100% dell’elemento (per i dettagli, un articolo di Bardi del 2007 sempre attuale).
Scorie: problema grave ma non serio
Sulla questione scorie l’Avvocato ricorre alla nota tattica di distrarre l’attenzione dai problemi posti dell’emivita millenario di alcuni elementi radiotossici concentrandosi invece sul loro volume, relativamente esiguo. Ovviamente, il fatto che a oggi non esista alcun deposito definitivo delle scorie e che quello in progettazione in Francia abbia costi stimati tra i 25 e i 35 miliardi di euro, smentiscono i tentativi di ridimensionare il problema.
Oltre ai rifiuti a valle della filiera atomica, sarebbe però il caso di interessarsi anche di quelli a monte. I dati sull’estrazione forniti dall’azienda proprietaria della miniera di Rössing (Namibia) fanno molto riflettere: facendo la media del periodo 2016-20, si evince che occorre processare quasi 3850 tonnellate di roccia per ottenerne una di ossido di uranio (quindi quasi 27.000 per una di uranio arricchito). Non dimentichiamoci inoltre che gli scarti di lavorazione devono essere trattati e le miniere opportunamente bonificate, operazioni che la multinazionale francese Areva, ad esempio, ha condotto con estrema negligenza in Niger.
E’ tipico dei nuclearisti esaltare la possibilità di generare tanta energia sfruttando lo spazio relativamente ridotto dedicato alla centrale atomica (“quanti ettari di terreno bisognerebbe occuparne per produrne altrettanta tramite pannelli fotovoltaici o aerogeneratori?”) dimenticandosi completamente degli oneri derivanti dall’intero processo di filiera. Come si suole dire, lontano dagli occhi lontano dal cuore.
W il doppio pesismo
Nella parte finale del video, l’Avvocato pone un interrogativo, di per sé, del tutto pertinente (ne ha trattato anche Nicola Armaroli): sono realistici i piani energetici che prevedono un impiego smisurato di litio per realizzare svariati TW di batterie di accumulo per le rinnovabili? In sostegno alla sua tesi, DuFer riporta un link a un articolo di Enrico Mariutti de Il Sole 24 Ore (‘Transizione ecologica: è finito il tempo delle favole‘) sui pericoli legati a future scarsità di minerali per costruire pale eoliche e pannelli fotovoltaici.
La legittimità delle osservazioni dell’Avvocato è però profondamente inficiata dall’applicare metri di giudizio differenti per rinnovabili e nucleare. A parte il già trattato problema dell’uranio, che dire di cobalto, tantalio, titanio, zirconio, afnio, indio, argento indispensabili per l’industria atomica? La Commissione Europea definisce ‘materie prime critiche’ alcuni di tali elementi; inoltre, siamo certi che siano sufficienti per estrarli nelle adeguate condizioni di sostenibilità, come si è discusso riguardo all’uranio?
Il doppiopesismo è ancora più deplorevole in quanto da una parte presenta come realistica l’estrazione di uranio dall’acqua marina, ma dall’altra esclude tale possibilità relativamente al litio (in fase di sperimentazione), dove è presente negli oceani in quantità circa cinquemila volte superiori rispetto alla terraferma, per di più in concentrazione maggiore rispetto all’uranio (0,1-0,2 ppm contro 0,003 ppm).
Al di là di feticci e campanilismi
Così come non si potevano ignorare mistificazioni e faziosità dell’Avvocato dell’Atomo e DuFer, è altrettanto importante non impantanarsi in dibattiti stereotipati e fuorvianti. Ecco quindi una considerazione scomoda per tutte le fazioni in lotta: le fonti ‘low carbon’, di qualsivoglia genere, sono nate e si sono sviluppate all’interno di un regime energetico dominato dalle fossili; non è un caso che la Cina, il maggior inquinatore del pianeta, abbia varato i maggiori progetti riguardanti sia l’atomo che le rinnovabili.
In un contesto di graduale e inesorabile decarbonizzazione, possono questi provvedere a se stessi e prosperare fino a raggiungere i livelli stratosferici ipotizzati dai reciproci sostenitori? Si possono garantire i necessari livelli di attività estrattiva e lavorazione dei metalli (e la relativa rete logistica) senza le fossili? Sembrerebbe improbabile; tra tanti dubbi, però, resta un dato di fatto imprescindibile.
L’orizzonte temporale per intervenire prima che il riscaldamento globale assuma proporzioni oltre modo catastrofiche è brevissimo, il 2030 è già una data limite per intraprendere misure drastiche, pertanto qualsiasi strategia efficace deve essere incentrata sull”uovo oggi’ e non sulla ‘gallina domani’. Sarebbe una magra e grottesca consolazione vantare un poderoso sistema energetico low carbon una volta oltrepassati i turning point che rendono alcuni cambiamenti oramai irreversibili.
I riscontri empirici dimostrano che una decarbonizzazione grazie a una massiccia implementazione delle rinnovabili è molto più rapida di quella tramite nucleare, lo testimonia il caso della Cina che, in virtù dell’incredibile dinamismo economico degli ultimi vent’anni, è di fatto l’unica nazione al mondo a potersi permettere il lusso di cospicui investimenti in entrambe le tipologie di fonti. Per altro, i piani energetici cinesi prevedono per il 2060 la prevalenza delle rinnovabili sull’atomo, a prescindere dal ruolo che sarà ancora giocata dal carbone.
Insomma le rinnovabili, se non adoperate per inseguire vane chimere, rappresentano un tassello fondamentale per non farsi travolgere dalla crisi ecologica. La principale virtù del nucleare, invece, sembra proprio quella di illudere sulla possibilità di poter conciliare capra e cavoli, come nei desideri di DuFer e de L’Avvocato dell’Atomo.
*L’ipotesi spesso ripetuta dei nuclearisti di utilizzare l’energia atomica per il carico di base e le rinnovabili per supplire ai picchi di richiesta non sembra particolarmente sensata perché fotovoltaico ed eolico non si prestano particolarmente a tale impiego, a causa del loro carattere aleatorio. Di conseguenza, nucleare e rinnovabili entrerebbero in competizione per i sistemi di accumulo, ossia pompaggi idroelettrici e batterie.
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