Torna l’inflazione, si stava meglio quando si stava peggio?
di SIMONE GARILLI (RI Mantova)
L’ultima grande ondata inflazionistica, in Italia, risale ai celebri ’70 degli shock petroliferi e della “scala mobile”. La storia, si sa, tendono a riscriverla i vincitori, e nell’immaginario collettivo odierno quel decennio è irrimediabilmente macchiato dalla cosiddetta “tassa sui lavoratori dipendenti e sui pensionati”, che è l’altro nome con il quale economisti e politici liberali chiamano l’inflazione, cercando di far passare il messaggio secondo cui l’aumento dei prezzi equivalga, sic et simpliciter, a una perdita di potere di acquisto e di benessere per la maggioranza della popolazione.
Come sempre, invece, il singolo fenomeno economico, se vuole essere compreso, deve essere interpretato nel suo contesto storico e istituzionale. Qual era il quadro entro il quale la vicenda inflazionistica si era svolta negli anni Settanta, e qual è il quadro in cui si muove la fiammata attuale? In breve, se nel decennio Settanta i lavoratori erano protetti automaticamente e integralmente dall’inflazione per mezzo del “punto di contingenza” e della “scala mobile”, e nel contempo la competitività esterna dei beni e servizi prodotti internamente poteva essere recuperata da un lato tramite la manipolazione del valore della moneta nazionale e dall’altro attraverso la programmazione pubblica, oggi vige un sistema di recupero PARZIALE dei salari introdotto dal governo e dalle parte sociali nel 2009 e fondato sull’IPCA, l’Indice armonizzato dei prezzi al consumo, DEPURATO dai prezzi dei beni energetici importati.
Tutto ciò significa non solo che il recupero dall’inflazione non è più automatico (oggi addirittura tale recupero è previsto entro la fine del TRIENNIO dei contratti collettivi nazionali, mentre negli anni ’70 era TRIMESTRALE), ma anche che non è più integrale e dipende fortemente dai prezzi energetici. Se questi ultimi aumentano più dei prezzi non energetici, come accade in questa fase e periodicamente, i salari reali cadono. Si potrebbe dire molto di più e di peggio, ma limitiamoci a uno sguardo agli andamenti dei salari reali nel decennio incriminato (dai liberali) e a una piccola conclusione.
Dal grafico sotto si evince come il terribile decennio ’70 sia stato, per i salariati, una pacchia rispetto alla stagnazione che li ammorba da ormai un trentennio.
Tasso di inflazione a due cifre, crescita dei salari nominali pure. E consideriamo appena di sfuggita che, una volta messi al riparo i salari, inflazione significa riduzione accelerata del valore del debito, pubblico e privato, e in effetti il rapporto debito/Pil italiano rimane sostanzialmente stabile nel decennio inflattivo mentre esplode letteralmente nel decennio ’80, quando il tasso di inflazione inizia la sua lunga e inesorabile discesa schiacciato nella morsa del vincolo esterno europeo (Sistema Monetario Europeo dal 1979, irrigidimento dello stesso negli anni ’80, Maastricht e percorso verso l’euro dal 1992). Oggi, al contrario, diamo per scontato che l’inflazione equivalga invariabilmente al sacrificio dei lavoratori e del potere d’acquisto, ciò che impatta enormemente anche sulla maggioranza delle imprese, quelle votate al mercato interno. Ed è effettivamente così, ma appunto è cambiato il quadro.
Il perché, che sarebbe la conclusione della riflessione, lo lasciamo spiegare dagli studiosi di ADAPT, l’associazione fondata da Marco Biagi, i quali in un rapporto del 2013 si esprimono come segue: “L’osservazione di tali shock temporanei, prevalentemente di matrice energetica, conferma l’importanza della scelta operata nel 2009 dalle parti sociali di depurare l’inflazione dalle componenti energetiche importate. Questa depurazione evita infatti la propagazione di shock inflattivi temporanei, attraverso una rincorsa delle retribuzioni a recuperare il potere d’acquisto perduto. La eco inflazionistica che risulterebbe dalla mancata depurazione dai beni energetici importati si tradurrebbe in PERDITA DI COMPETITIVITÀ del Paese, determinata da eccessiva oscillazione dei salari”.
E buonanotte ai lavoratori europeisti.
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