I dominanti alle corde?
di LUCIANO DEL VECCHIO (FSI Bologna)
In occasione della defenestrazione di Berlusconi e dell’infiltrazione invasiva di Monti sembrò che la Banca-Mercato non avesse più bisogno o non volesse più fidarsi dei politici di professione e di carriera e preferisse farsi Stato piazzando direttamente i suoi impiegati nella cabina di comando. Ma, dovendo ancora fingere coperture politiche, la finanza globale ben accolse l’impostura presidenziale del consulente di banca americana trasfigurato in senatore pochi giorni prima di essere nominato presidente del Consiglio. Quest’ultimo, a sua volta, non ha smesso, anche dopo aver lasciato la carica, di spargere interviste e dichiarazioni, né mancato di candidarsi rovinosamente alle elezioni politiche. Dopo poco più di un anno, per la prima volta nella storia repubblicana, abbiamo osservato il partito unico eurounionista rieleggere per un secondo mandato un presidente della Repubblica che accettò di buon grado di offrirsi come agente indispensabile alle sedi estere che non disponevano di ricambio. Concluso il mandato, l’uscente si dispose a intervenire sulla vita politica e istituzionale non diversamente dal senatore da lui creato. Fin da quelle vicende sembrò l’Unione europea trovarsi in difficoltà a rinnovare l’organico del personale in servizio nella succursale italiana.
Dopo l’ultima crisi di governo, un “trenino” di gruppuscoli parlamentari, fantasmi rappresentativi ignoti alla quasi totalità degli Italiani, che si danno nomi come se fossero presenze reali nella società nazionale, è sfilato per le consultazioni davanti al Presidente della Repubblica. La processione certamente inscena un rito farsesco, ma questa volta potrebbe caricarsi di un significato aggiunto: l’incapacità di questo ceto dominante a perpetuarsi, che lo costringe, nella sua sostanziale omogeneità ideologica, a fingersi politicamente vario, variegato e numericamente consistente.
Quasi immediatamente dopo la simulata consultazione tra le fragilità politiche, il Presidente della Repubblica palesa la paradossale finzione riconfermando ancora una volta le stesse facce riproposte alle stesse poltrone dal neo-presidente del Consiglio o da chi per lui. Infatti, tranne qualcuno spostato sconsideratamente da un dicastero a un altro e qualche reduce da sconfitta promossa sul campo con aumento di grado, quasi tutti i ministri di Renzi vengono reinchiodati allo stesso zoccolo. Ciò che potrebbe sembrare beffa o sfacciataggine in realtà tradisce la difficoltà di trovare nuove leve da incaricare alla “governanza” per conto esteri e che siano anche competenti del saper amministrare e non soltanto del saper servire. In definitiva, anche in questa evenienza, i potentati finanziari sovranazionali che dirigono il paese Italia dalle capitali estere ripescano persone di provata fedeltà all’interno di una truppa in disfatta, in attesa forse di poter disporre di riserve emergenti dal sottobosco parlamentare consultato per finta.
La regola secondo la quale chi ha dato mala prova come servitore debba essere immancabilmente sostituito da un nuovo servo più affidabile potrebbe non riuscire automaticamente applicata, se l’Unione europea non disponesse più in Italia di riserve credibili, né potesse incaricare direttamente i suoi fiduciari e avesse ancora bisogno di quelle coperture “politiche” che cominciano a diradarsi. E così quando Renzi proclama “se perdo mi ritiro”, il ricordo corre immediato a Napolitano che promise anch’egli di non ricandidarsi. Ma evidentemente il ripensamento su decisioni pubblicamente dichiarate diventa pratica ricorrente all’interno di questa compagine dominante che non dispone di sostituzioni in corso di partita. Dalla panchina Renzi, sicuro o illuso di essere lui a muovere i fili del suo segnaposto, ostenta la sicurezza di mantenersi da una parte credibile agli elettori come “verginella rifatta” entro l’anno o i due scarsi che ci separano dalle elezioni politiche, dall’altra ri-assumibile dall’Unione europea come servo buono e utile, l’unico ruolo concessogli in assenza di sovranità politica nazionale. E nel mentre fa credere chissà quali grandi strategie di ripresa del potere, in realtà è l’immagine di una classe politica che, priva di legittimità democratica e ostinata a sacrificare l’interesse nazionale, si chiude a riccio e arranca, si ricicla o si clona, non disponendo di validi pezzi di ricambio.
Sintomo ed effetto di una condizione alle corde è forse il degenerare nella onagrocrazia, che vede l’affidamento di incarichi a individui di taciuta idoneità di dirigere ministeri estremamente delicati e importanti per la coesione sociale e per il livello professionale, culturale e intellettuale del popolo italiano. In verità I tempi di rinnovamento di questa ceto politico, che da almeno trent’anni esegue solo ciò che esigono le centrali del dominio globalista, non coincidono con i tempi richiesti o pretesi dalla finanza euro-anglo-americana. Non disponendo del tempo necessario per allevare nuove covate, questa compagnia di collaborazionisti si ripropone come già rottamata, come colosso di cartapesta che stia per crollare; una “tigre di carta” direbbe Mao, ma da non sottovalutare. Un popolo unito infatti non deve trascurare di organizzarsi e di farsi trovare pronto ad esprimere una nuova classe dirigente quando la storia fisserà l’appuntamento.
Tutto il lavoro politico degli ultimi trent’anni è stato finalizzato alla rimozione delle teste pensanti e all’allevamento degli asini; se anche qualcuno è rimasto non potrà certo godere del favore dell’elettorato o di quello dei potentati.