Le sanzioni non porranno fine alla guerra in Ucraina
Da: KRITICA ECONOMICA (di Dominik Leusder)
Da quando Vladimir Putin ha lanciato una guerra di aggressione non provocata contro l’Ucraina, i membri dell’Unione Europea e della Nato hanno risposto con una serie di sanzioni finanziarie senza precedenti storici paragonabili.
Questi eventi si sono svolti a un ritmo vertiginoso: in soli cinque giorni, la risposta è cambiata da sanzioni aggressive ma mirate contro individui e aziende chiave a una vera e propria guerra finanziaria che probabilmente spingerà la Russia in una crisi valutaria. Già lunedì, il rublo era sceso di quasi il 30% rispetto al dollaro.
La velocità di questa escalation non è l’unica cosa degna di nota. C’è anche stata una risposta insolitamente unitaria dell’Ue e degli Stati Uniti, con la prima che probabilmente supera i secondi nella volontà di punire la Russia per i crimini di Vladimir Putin. “Faremo una guerra economica e finanziaria totale alla Russia”, ha annunciato il ministro delle finanze di Emmanuel Macron, Bruno Le Maire, alla televisione francese, aggiungendo, per essere sicuri: “Causeremo il collasso dell’economia russa“.
Questo sentimento è riecheggiato in tutta Europa, trasversalmente rispetto ai media, alle fasce d’età e allo spettro politico. Nelle Fiandre, il giovane leader del partito socialista di sinistra, Conner Rousseau, ha dichiarato su Instagram che l’economia russa sarà “strangolata a morte“. Le sanzioni più recenti avranno plausibilmente questo effetto, se non saranno revocate a un certo punto.
Questo scenario si scontra con l’impegno iniziale di punire in primo luogo i grandi oligarchi dell’industria e della finanza russa su cui si dice che il potere di Putin si basi. Tali misure mirate sarebbero, in teoria, progettate per colpire l’avversario dove fa veramente male, minimizzando i danni collaterali.
La serie iniziale di sanzioni faceva proprio questo. Il Regno Unito aveva messo in lista nera le banche e gli oligarchi più importanti e aveva congelato alcuni dei loro beni, impedendo anche alle imprese russe di ottenere finanziamenti nei mercati britannici. L’Ue aveva seguito l’esempio e aveva esteso le sanzioni ai legislatori della Duma (il Parlamento russo) che avevano sostenuto il riconoscimento delle repubbliche separatiste nel Donbass.
Durante il fine settimana, mentre l’avanzata russa continuava e la pressione montava, la portata delle sanzioni finanziarie è stata ampliata, mostrando la piena portata del controllo occidentale sull’infrastruttura finanziaria globale.
Prima gli Stati Uniti e poi, dopo aver superato la recalcitranza di Germania e Italia, l’Unione europea, si sono mossi per escludere le principali banche russe dalla Society for Worldwide Interbank Financial Telecommunication (SWIFT). SWIFT è una società cooperativa con sede in Belgio che fornisce alle banche il sistema di messaggistica necessario a condurre i pagamenti a livello globale.
In un discorso al Reichstag domenica 27 febbraio, il cancelliere Olaf Scholz ha stupito i parlamentari annunciando un grande aumento una tantum del bilancio della difesa della Germania di 100 miliardi di euro, oltre a impegnarsi a spendere il 2% del Pil per la difesa. Mentre la mossa è stata salutata come una grande rottura con la tanto criticata politica di sicurezza della Germania, non è chiaro se Scholz darà seguito a questa promessa: la Germania si era impegnata per la prima volta al 2% nel 2006.
Ciò è stato rapidamente seguito da una misura molto più significativa: la piena esclusione delle banche russe dal sistema globale di compensazione e regolamento basato sul dollaro, che si basa su relazioni di corrispondenza con le banche di New York che hanno un conto di riserva presso la Federal Reserve di New York.
Ma sono rimaste due lacune. La prima era che ognuna di queste misure includeva ancora esenzioni per le principali esportazioni della Russia, che costituiscono circa un quarto della sua economia: petrolio e gas. Le deroghe erano state introdotte su richiesta di quegli Stati europei fortemente dipendenti dal gas naturale russo per il riscaldamento, una richiesta che gli Stati Uniti hanno accettato.
La seconda lacuna di queste misure era che Putin se le aspettava. Ha infatti usato gli anni dall’invasione iniziale dell’Ucraina da parte della Russia nel 2014 per accumulare massicce riserve di valuta estera. Inoltre, la banca centrale russa ha de-dollarizzato con successo parti di queste riserve, spostandone una parte in euro, sterline e oro.
Gran parte di queste riserve, tuttavia, non sono detenute in Russia. Sono detenute presso istituzioni ufficiali all’estero. Fra di esse ci sono banche centrali nazionali come la Banca Federale Tedesca o la Banca Nazionale Svizzera, o organizzazioni come la Banca dei Regolamenti Internazionali. Dopo alcune discussioni multilaterali durante il fine settimana, gli Stati Uniti, l’Ue, il Giappone e alla fine anche la Svizzera hanno deciso non solo di congelare i beni della banca centrale russa detenuti all’estero, ma di mettere in atto un divieto generale sulle transazioni con la banca centrale.
Ciò ha rappresentato una grave escalation con grandi conseguenze economiche e politiche. La conseguenza immediata è che circa la metà dei 630 miliardi di dollari tenuti in riserva sono ora congelati. Il “bilancio fortezza” della Russia non è più un vantaggio, poiché non può essere utilizzato efficacemente.
Rublo in caduta libera
Per capire le conseguenze economiche di queste misure, bisogna capire a cosa servono le riserve estere. Il loro scopo principale è quello di finanziare gli interventi della banca centrale sul mercato dei cambi. Se privata delle sue riserve (o di una quantità sostanziale di esse), la banca non può più condurre “operazioni di mercato aperto” in cui acquista attivamente la propria valuta per mantenerne il valore rispetto ad altre valute.
Nel caso della Russia, c’è stata una “corsa al rublo” causata dalla crisi e dalle successive sanzioni, che ha già prodotto un forte calo rispetto al dollaro. Questo significa non solo che i costi del servizio del debito pubblico aumentano, ma che la Russia deve anche affrontare un conto delle importazioni molto più alto. Il declino del potere d’acquisto del rublo colpisce soprattutto i cittadini russi, che possono comprare meno beni nazionali e importati con i loro rubli. E per evitare un ulteriore deprezzamento, la banca centrale deve aumentare drasticamente i tassi d’interesse.
Le conseguenze di tassi d’interesse più alti per i salari reali possono essere piuttosto gravi, anche con aumenti individuali dello 0,5%, scaglionati per anni. Lunedì 28 febbraio la banca centrale russa ha aumentato il suo tasso di interesse principale dal 9,5% al 20% durante la notte. Questa pressione arriva dopo un decennio di stagnazione degli standard di vita e di relativa austerità, il risultato dell’ambizione di Putin di accumulare il suo forziere di guerra.
Le conseguenze politiche potrebbero essere altrettanto disastrose. Dopo le sanzioni iniziali contro la sua banca centrale, il governo russo ha risposto alzando il livello di allerta del suo arsenale nucleare. Per chi hanno familiarità con la questione, questo non significa ancora che i missili nucleari siano ora puntati su obiettivi stranieri. Ma è comunque una pericolosa “accelerazione della logica di escalation“ tra campi armati nucleari. C’è una ragione per cui sanzioni di questa gravità non sono mai state imposte contro una grande potenza mondiale nell’era nucleare: sono profondamente pericolose.
Senza distinzioni
Questa è la posta in gioco di una guerra finanziaria totale con una grande potenza nucleare. Forse queste poste in gioco possono essere giustificate nel perseguimento di obiettivi a breve termine. Ma ormai non è più chiaro quale sia lo scopo di queste sanzioni. Non c’è modo di considerarle mirate specificamente al “selettorato” di Putin, dato che la maggior parte dei beni degli oligarchi non sono denominati in rublo e che la maggior parte di essi sono detenuti all’estero. Perché non congelare questi beni?
Certo, ci sono stati i primi segni di dissenso pubblico in Russia, con migliaia di arresti, ma uno scenario in cui la classe di miliardari e manager pubblici ritiri il suo sostegno a Putin sembra improbabile. E potrebbe non contare nulla anche se lo facessero. Sembra sempre più possibile che la Russia sia diventata una “dittatura personalista” in cui gli oligarchi contano più sul sostegno del dittatore che lui sul loro. In un tale stato, il dittatore si preoccupa poco delle conseguenze delle sue azioni e quindi non può essere indotto a cambiare il suo comportamento in risposta alle conseguenze immiserenti di una guerra finanziaria.
C’è, in altre parole, la chiara possibilità che “gli oligarchi” non possano rispondere a conseguenze economiche intollerabili cacciando Putin. Né esiste un equivalente della guardia pretoriana romana. Tutto ciò rende sanzioni finanziarie di tale gravità ancora più difficili da giustificare.
L’unica ragione per cui queste sanzioni, rivolte direttamente alla popolazione russa, potrebbero essere giustificate è se fossero temporanee e semplicemente intese come un mezzo per rafforzare la posizione negoziale dell’Ucraina nei negoziati in corso con la Russia al confine bielorusso. Eppure non c’è una chiara tabella di marcia, né ci sono criteri per la loro rimozione.
La piega che hanno preso gli eventi è una forte scossa, perché arriva subito dopo il clamore internazionale per la confisca da parte degli Stati Uniti degli asset della banca centrale dell’Afghanistan. Gli Usa avevano annunciato che la metà (circa 3,5 miliardi di dollari) sarebbe stata ridistribuita alle famiglie dell’11 settembre, proprio mentre l’Afghanistan era nel mezzo di una carestia potenzialmente devastante. Inoltre, eravamo in un momento in cui il discorso sulle sanzioni sembrava cambiare.
Tutte le lezioni apprese negli ultimi anni sembrano essere state cancellate nel corso di un fine settimana. Tuttavia, l’esperienza ci dice che le sanzioni non sono mai un’alternativa alla guerra ma piuttosto un mezzo di guerra; che non si tratta di un cambiamento di atteggiamento, ma di un logoramento a lungo termine e di un esaurimento del nemico e della sua gente; e che non influenzano gli eventi militari a breve termine.
Infatti, queste sanzioni probabilmente faranno poco o niente per arrestare l’avanzata russa su Kiev. A causa delle esclusioni energetiche nelle sanzioni iniziali, l’economia russa rimane una struttura che genera valuta estera. Queste esenzioni, insieme al fatto che il governo ha ordinato alle sue principali compagnie di esportazione di cedere l’80% delle loro entrate in valuta estera (dollari ed euro ancora usati per pagare il gas e il petrolio russo) in cambio di rubli, garantiscono effettivamente che la capacità di fare la guerra della Russia non sarà colpita a breve. Ma la vita dei suoi cittadini sì.
Ci sono proposte alternative meno distruttive. Oltre a porre fine alle esenzioni per l’energia, gli alleati occidentali possono fare quello che probabilmente avrebbero dovuto fare dopo l’invasione del 2014: rafforzare l’Ucraina finanziariamente e logisticamente. Come John Maynard Keynes esortò nel 1924 in una lettera alla Società delle Nazioni, dovremmo “fornire assistenza positiva alla parte lesa invece che rappresaglie contro l’aggressore”.
In tutto questo è difficile trascurare la tensione principale: le preoccupazioni a lungo professate per le violazioni dei diritti umani di Putin contro il popolo russo si scontrano con l’improvvisa nonchalance con cui costi potenzialmente enormi vengono ora imposti a quelle stesse persone. Questa guerra è opera di Putin, non loro.
Quest’articolo è stato originariamente pubblicato in inglese su Jacobin Usa.
Fonte: https://www.kriticaeconomica.com/sanzioni-guerra-russia-ucraina/
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