Italia prossima Ucraina?
di FEDERICO DEZZANI
A margine della crisi ucraina, è tempo di analizzare la specifica situazione dell’Italia che, insieme alla Germania, sarà la grande perdente delle sanzioni alla Russia. Oltre alla scomparsa del mercato russo e all’esplosione dei costi energetici, l’Italia è sottoposta nel breve-medio periodo a due gravissime insidie: il rialzo dei tassi, con concreta possibilità di default finanziario, e la destabilizzazione del Mediterraneo attraverso la fiammata dei prezzi delle derrate agricole, col concreto rischio di un blackout energetico e di nuove ondate migratorie. La Francia si prepara ad avanzare nella penisola.
Il vuoto al centro del Mediterraneo
Partiamo da alcune basi elementari di geopolitica: come più volte evidenziato, l’Italia è indissolubilmente legata alla Germania, di cui costituisce una proiezione in senso latitudinale in direzione del Mediterraneo. Ciò spiega perché qualsiasi iniziativa geopolitica tedesca di una certa rilevanza (Nord Stream e rapporti privilegiati con Russia e Cina) abbia sempre trovato un corrispettivo in Italia (Sud Stream e Nuova via della Seta). Italia e Germania, le due nazioni uscita sconfitte dall’ultima guerra, hanno un chiaro ed evidente interesse a convergere verso gli sfidanti del sistema (Russia e Cina), così da liberarsi dal giogo delle potenze marittime anglosassoni: non è certo casuale se, nella primavera del 2022, i due Paesi siano quelli maggiormente danneggiati dalle sanzioni alla Russia e dall’interruzione dei rapporti tra Mosca e Occidente. Questa radicata e profonda dinamica geopolitica spiega perché USA ed UK abbiano assunto, da anni, una postura sempre più ostile nei confronti della Germania (che, infine, è stata costretta a rinunciare al Nord Stream 2 sull’onda della guerra ucraina, dopo aver ricevuto mille pressioni e minacce in questo senso) e dell’Italia.
L’Italia, in particolare, è stata sottoposta sin dal lontano 1992 ad una scientifica opera di distruzione che culminerà probabilmente nei prossimi mesi col default del Paese, lasciando il Mediterraneo in mano ad americani ed anglo-francesi e la Germania isolata, intrappolata tra una Polonia ed un Regno Unito sempre più ostili. Non è nostra intenzione ricostruire in questa sede il processo di distruzione controllata e metodica cui è stata sottoposta l’Italia. Ci basta ricordare che le tappe salienti sono state essenzialmente: Tangentopoli e lo smantellamento dell’IRI, la guerra americano-anglo-francese in Libia del 2011 e l’inoculazione di partiti sovranisti-populisti di matrice anglosassone (Lega Nord e M5S in testa), che hanno accelerato la decadenza politica del Paese, tanto che oggi l’Italia è sostanzialmente sprovvista di una classe dirigente. Per giungere a tempi più recenti, più volte abbiamo evidenziato che l’accanirsi dell’epidemia di Covid in Italia, che è stata più volte additata dai media come uno dei grandi focolai mondiali del Coronavirus, mirasse ad accelerare il dissesto economico-finanziario del Paese e quindi dell’Europa. Le nostre precedenti analisi trovano pieno conferma negli sviluppi recentissimi. Man mano che i russi sono avanzati in territorio ucraino, si sono infatti imbattuti in alcuni siti che ospitavano laboratori americani per lo sviluppo di armi batteriologiche tra cui, anche, il Coronavirus. Già nel 2020, russi e cinesi avevano lasciato intendere l’esistenza di simili laboratori statunitensi in prossimità dei loro confini e tutto lascia supporre che ne esistano di analoghi in Italia, probabilmente nei pressi di Camp Ederle (Vicenza), da cui l’accanirsi dell’epidemia specialmente nelle regioni settentrionali dell’Italia, quelle più vitali in termini economici.
Fin qui è storia. Si passi ora all’attualità. Il “vallo” scavato dagli angloamericani sull’onda dell’intervento russo in Ucraina, avrà pesantissime ripercussioni per l’Italia ed imprimerà quasi certamente lo slancio finale all’implosione del sistema-Paese. La perdita del mercato russo in termini di esportazioni è ancora il danno minore (si stima che, dopo le sanzioni del 2014, Mosca contasse meno del 2% delle esportazioni totali italiane). I danni sono ben altri: alcuni visibili nell’immediato, altri meno appariscenti ma ancora più letali. Innanzitutto, la crisi in ucraina ha già provocato una decuplicazione (moltiplicazione per dieci, a scanso di equivoci) del prezzo del metano europeo: ciò costituisce un gravissimo choc per il sistema economico italiano, già appesantito dalle bollette più care d’Europa. Un Paese come la Francia, nostro concorrente in molti settori e dotata di centrali nucleati, avrà gioco facile a spazzare via i produttori italiani in moltissimi settori. Al momento le imprese italiane più energivore (siderurgia e cartiere) hanno dovuto sospendere la produzione a causa dei costi non più competitivi, nonostante il gas russo, si noti, continui a raggiungere l’Europa. Un’eventuale sospensione dei flussi (per distruzione fisica dei gasdotti durante le operazioni militari o per ulteriore incancrenirsi dei rapporti tra Mosca e l’Occidente), cancellerebbe da un giorno all’altro il 40% delle forniture di gas italiano, col rischio concreto di blackout qualora l’onda lunga della guerra ucraina arrivasse anche in Africa settentrionale (ce ne occuperemo alla fine dell’articolo).
Un altro danno già chiaramente visibile è quello inflitto al settore alimentare. L’Italia, pur eccellendo in termini qualitativi nella produzione alimentare, è del tutto deficitaria in termini quantitativi. L’Italia importa il 65% del suo fabbisogno di grano tenero, il 45% del grano duro, la metà del mais e delle carni bovine. Se, come sta avvenendo, le guerra in Ucraina e le sanzioni alla Russia dovessero “congelare” due dei maggiori granai al mondo (nonché, nel caso della Russia, un grande produttore di fertilizzanti) ed innescare una psicosi alimentare a livello mondiale (dall’Ungheria all’Indonesia, molti Paesi stanno introducendo limitazioni all’esportazione di derrate agricole o concimi), il nostro Paese avrebbe serie difficoltà a soddisfare le sue esigenze alimentare. In ogni caso, dovrebbe acquistare gli stessi prodotti di prima a prezzi superiori del 40-60%, con gravissimo danno per le famiglie, il cui potere d’acquisto è sempre più eroso dalla dinamica inflattiva.
Affrontiamo così il tema dell’inflazione. Già dalla primissima fiammata dei prezzi, abbiamo sottolineato la strategia destabilizzante sottostante all’inflazione. La guerra in Ucraina, facendo schizzare alle stelle i prezzi di energia ed alimenti, si inserisce perfettamente in questa strategia, ampliandone la portata e gli effetti. Il dirigersi dell’inflazione verso o oltre la soglia del 10%, obbligherà inevitabilmente le banche centrali occidentali, FED in testa, a varare una stretta monetaria, il cui effetto sui debiti pubblici, esplosi con la pandemia e l’attuale crisi ucraina, sarà dirompente. L’Italia, con il suo rapporto debito pubbilco/PIL superiore al 150%, sarà quasi certamente l’epicentro anche della prossima crisi finanziaria europea e mondiale, come più volte evidenziato dall’American Enterprise Institute nelle sue analisi sul nostro Paese.
Un’analisi eccessivamente focalizzata sulla penisola non consente, però, di comprendere appieno i pericoli all’orizzonte. L’Italia è, infatti, immersa nel Mar Mediterraneo e la sua vita è indissolubilmente legata a ciò che accade in Africa Settentrionale e nel Levante. Questa regione, già prima del Covid, doveva ancora smaltire i postumi delle Primavere Arabe, la vasta destabilizzazione politica condotta da angloamericani e francesi, sfruttando anche il malcontento delle popolazione causato dal forte rialzo dei prezzi dei cereali tra l’autunno 2010 e la primavera 2011 (si ricordi che più una popolazione è povera, maggiore è la sua quota di reddito destinata all’acquisto di beni alimentari).
Il Covid ha peggiorato la situazione, martoriando in particolare un Paese, il Libano, che costituisce una permanente minaccia strategica per Israele. La fortissima impennata attuale del prezzo del grano (unito al rialzo dei prezzi energetici) sarà senza dubbio sfruttata dagli anglosassoni e dai francesi per condurre una seconda, e più radicale, destabilizzazione del Mediterraneo e del Medio Oriente. La prospettive di miseria (se non di carestia vera e propria) saranno benzina con cui incendiare le piazze arabe. La Libia, che costituiva la riserva energetica strategica dell’Italia, è stata destabilizzata nel 2011 e da allora non si è mai più ripresa: nel marzo 2022, quando servirebbe pompare al massimo petrolio e gas dalla Quarta Sponda, i flussi sono in sostanza fermi, grazie al caos politico che imperversa nel Paese. L’Algeria è, al momento, il secondo grande fornitore di gas dell’Italia (si dice sia diventato in questi giorni il primo, fornendo circa il 40% del fabbisogno di metano). Nel 2011 i tentativi di destabilizzare Algeri andarono a vuoto: tutto lascia supporre che anglo-francesi e americani tornino alla carica nei prossimi mesi e ciò spiega perché l’Algeria stia rafforzando costantemente i legami militari con Russia e Turchia (e Germania). Qualora le potenze anglosassoni dovessero riuscire a gettare l’Algeria nel caos (dopo aver reciso definitamente i legami tra Russia ed Occidente), per l’Italia si concretizzerebbero lo scenario di un vero e proprio blackout, con conseguente paralisi economica.
L’Italia è, come l’Ucraina, parte integrante di quella “zona d’attrito” o “crush zone” tra terra e mare. Senza alcun dubbio, l’Italia ha imboccato un percorso di declino irreversibile simile all’Ucraina: il vuoto politico creatosi nel centro del Mediterraneo, è ormai chiaro, sarà colmato dalla Francia con l’assenso anglosassone. Russia e Germania (la cui tenuta economico-sociale sarebbe però messa in forse dall’interruzione delle forniture russe) sono le ultime potenze europee ad avere interesse alla sopravvivenza del Paese.
Fonte: http://federicodezzani.altervista.org/italia-prossima-ucraina/
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