NEGOZIATO MOSCA-KIEV/ Prove di intesa a Istanbul (ma non per l’Italia)
DA: IL SUSSIDIARIO (Antonio Fanna)
Prevale un certo ottimismo dopo la prima giornata di colloqui in Turchia tra le delegazioni russa e ucraina a Istanbul. Le antenne più sensibili, quelle delle borse internazionali, lo registrano con rialzi in Europa (più marcati) e anche a Wall Street. Mosca ha accolto con favore la serie di proposte scritte di Kiev e ha ridotto le attività militari sulla capitale ucraina anche se ha precisato che non si tratta di una tregua. Gli ucraini avrebbero definitivamente rinunciato all’ingresso nella Nato ma non nell’Unione Europea, in una posizione di neutralità con garanzie internazionali. Lo status della Crimea e del Donbass dovrebbe essere oggetto di trattative a parte che, secondo il capo negoziatore ucraino Podolyak, “dovranno concludersi entro 15 anni”. L’Ucraina dovrebbe ricevere armi, soldati e assistenza aerea – con la garanzia di “cieli chiusi” – dal nucleo di Paesi garanti, tra cui l’Italia.
La pace resta comunque lontana, e non solo perché la Russia non ha ancora messo fine ai bombardamenti. “Vediamo tutti i rischi e non vediamo alcun motivo per fidarci delle parole di rappresentanti di uno Stato che continua a combattere per la nostra distruzione”, ha detto il presidente ucraino Volodymyr Zelensky. Mosca dovrebbe prendere atto che Kiev vuole entrare nell’Ue, anche se non nella Nato, e pone come condizione “il riconoscimento delle attuali realtà territoriali”, cioè la perdita definitiva della Crimea, del Donbass e degli altri territori autoproclamatisi indipendenti. L’Ucraina ha poi chiesto che i negoziati possano continuare non più sulla base di trattative bilaterali, cioè tra Russia e Ucraina con la mediazione della Turchia, ma coinvolgendo anche gli otto Paesi garanti del nuovo assetto. In ogni caso, l’eventuale accordo finale presuppone una “pace piena” e dovrebbe essere sottoposto a referendum. Da parte sua, Mosca ha impedito, per il momento, un’operazione umanitaria a Mariupol: i “nazionalisti ucraini” devono prima deporre le armi, ha detto Vladimir Putin dopo l’ennesima telefonata con il presidente francese Emmanuel Macron.
I più scettici sull’esito dei colloqui di Istanbul restano gli americani. “Non leggo niente nelle parole della Russia, aspetto di vedere le azioni”, ha detto il presidente Joe Biden. “Nessun segnale di serietà dalla Russia”, gli ha fatto eco il segretario di Stato Antony Blinken: “Gli Stati Uniti si concentrano su quello che la Russia fa”, e il cessate il fuoco non è alle porte. Il Pentagono ha presentato al Congresso una nuova strategia di difesa e il Consiglio Ue ha definito una “Bussola strategica” per ridisegnare il proprio assetto militare. Gli Stati Uniti considerano la Russia una grave minaccia e la Cina il più importante concorrente strategico per Washington.
È questo il contesto in cui si colloca lo scontro nel governo sull’aumento delle spese militari, che ha portato ieri il premier Mario Draghi a fare il punto con Sergio Mattarella al Quirinale. Il braccio di ferro con Giuseppe Conte sul riarmo mette a rischio il governo, nonostante il leader 5 Stelle lo neghi? Draghi ha descritto la situazione in toni drammatici: “Se si mettono in discussione gli impegni assunti viene meno il patto della maggioranza”. Il presidente del Consiglio punta tutto sull’ala governista e pro Nato del Movimento, quella più vicina a Luigi Di Maio. E Conte non sembra avere un potere di interdizione tale da costringere Draghi a mettere fine ora a oltre 70 anni di fedeltà atlantica dell’Italia.
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