Taiwan: forte pressione sugli Stati Uniti per difendere il Paese dalla Cina
da REPORT DIFESA (Pierpaolo Piras)
Taipei (nostro servizio). La tensione nello Stretto di Formosa (o Stretto di Taiwan) che intercorre tra la Repubblica Popolare Cinese e la Repubblica di Cina (o di Taiwan) è salita negli ultimi mesi del 2021 in ragione alle preoccupanti dichiarazioni del ministro della Difesa di quest’ultima, Chiu Kuo-cheng, secondo le quali Pechino sarebbe stata in grado di procedere ad una “invasione su vasta scala” entro il 2025.
Lo stretto di Formosa è un tratto di mare nell’ambito dell’Oceano Pacifico.
Più in particolare esso fa parte del Mar Cinese meridionale e mette in comunicazione quest’ultimo con quello orientale, a Nord.
Ad Est è delimitato dall’isola di Formosa ed a Ovest dalla costa della provincia cinese di Fujian.
Cosa deve fare l’America, che notoriamente esercita una sorta di protettorato politico e militare su Taiwan, per prevenire una eventuale quanto vittoriosa invasione cinese.
Alcune fonti d’informazione segnalano che Pechino starebbe rinnovando il suo pensiero politico verso il processo di unificazione di Taiwan con la madre patria.
Le basi americane nell’Indo-Pacifico
I preparativi e gli aggiornamenti fervono anche nelle basi statunitensi ed alleate nel Pacifico, sotto il cui controllo viene tutelata Taiwan.
E’ sufficiente citare le operazioni per il rinnovo del sistema di difesa aerea e missilistica situato nell’isola americana di Guam che ospita anche una base aerea e navale la quale entrando in conflitto con Taiwan, eserciterebbe un ruolo difensivo di primaria importanza ed efficacia.
Nelle basi di tutta la regione è poi importante il rinnovo delle scorte delle sofisticate munizioni a guida di precisione, attualmente insufficienti per il sostegno di un conflitto prolungato.
Una pianificazione efficace iniziale degli USA potrebbe essere quella di far confluire le risorse militari esistenti più quelle facilmente ottenibili insieme allo sfruttamento di alleanze cruciali a livello geostrategico.
Un’ulteriore opzione è quella di coloro che auspicano un atteggiamento moderato da parte del Partito Comunista Cinese (PCC) oppure un’operatività militare basata sulle alte e altissimi tecnologie che tuttavia sarebbe pronta in tempi molto più lunghi.
Washington ed il suo ramo esecutivo devono invece attuare una nuova strategia di difesa del Pacifico fin da ora.
Occorre una linea di difesa credibile
Sebbene lo Stretto di Taiwan possa sembrare geograficamente lontano dagli Stati Uniti, l’Indo-Pacifico, si configurerebbe come il teatro di conflittualità più ampio di qualsiasi confronto con la Cina, compreso quello su Taiwan.
Infatti, in esso sono presenti numerosi territori e possedimenti statunitensi: le isole Samoa americane, Guam e le Isole Marianne settentrionali più una serie di altre piccole isole e atolli.
Insieme ai Paesi alleati della regione, come l’Australia e il Giappone, queste partecipazioni territoriali statunitensi costituiscono una decisiva linea di difesa contro la Cina e forniscono agli Stati Uniti la capacità di negare più efficacemente alle Forze Armate cinesi la capacità di operare nelle aree enormemente ampie del Pacifico, specie in tempi di conflitto.
Teoricamente, i territori e i possedimenti degli Stati Uniti dovrebbero svolgere un ruolo fondamentale nell’integrare l’attuale posizione delle forze statunitensi nella regione, che sono in gran parte concentrate in un piccolo numero di località in Alaska, Hawaii, Giappone e Corea.
Nonostante la loro importanza strategica, tuttavia, Washington non ha impiegato efficacemente questi punti d’appoggio del Pacifico.
In una visione complessiva, sono ancora insufficienti le infrastrutture militari statunitensi.
Il Pentagono dovrebbe immediatamente rivedere come queste isole e arcipelaghi potrebbero contribuire alla difesa del Pacifico e intraprendere qualsiasi bonifica ambientale e costruzione necessaria per un uso ottimale da parte delle forze americane.
Se c’è una piccola isola nel Pacifico sotto la bandiera americana, essa deve essere in grado di ospitare piccole squadre di marines equipaggiate con missili terrestri, mantenere aeroporti di spedizione e supportare sistemi avanzati di sorveglianza e ricognizione.
Dovrebbe anche essere in grado di fungere da base logistica per operazioni navali, aeree o altre operazioni militari statunitensi.
Washington dovrebbe anche prendere immediati provvedimenti per rafforzare i legami con gli Stati Federati di Micronesia, la Repubblica delle Isole Marshall e la Repubblica di Palau, i tre Paesi insulari del Pacifico che mantengono alleanze con gli Stati Uniti nell’ambito di un “Patto di Libera Associazione”.
Con ciascuno di questi paesi, gli Stati Uniti dovrebbero cercare di estendere e rinforzare in modo permanente i rispettivi accordi e di stabilire, laddove occorresse, nuove basi statunitensi in cambio di un’assistenza economica più completa.
La difesa di Guam
Difendere Guam, che si trova a sole 1.700 miglia da Taiwan, è particolarmente importante.
Ha un porto con acque profonde, accessibile pertanto anche al naviglio di elevato tonnellaggio, ampi depositi di munizioni e di carburante e un vasto aeroporto dotato di lunghe piste per il decollo e atterraggio dei bombardieri strategici.
A Guam risiedono anche oltre 150 mila cittadini statunitensi.
Eppure, al momento, l’isola viene qualificata come vulnerabile agli attacchi della nuova generazione di missili da crociera e balistici cinesi.
Per anni, la principale richiesta del Comando Indo-Pacifico USA al Congresso è stata quella di finanziare una difesa aerea e missilistica all’avanguardia, nota come “Guam Defense System”.
Ma la costruzione delle difese strategiche dell’isola dovrebbe includere anche l’espansione delle capacità di riparazione delle piste e di controllo aereo, strutture rinforzate per il deposito di munizioni e centri di comando e controllo e nuovi sistemi di sicurezza per prevenire operazioni di spionaggio e/o sabotaggio.
Per essere più all’altezza dell’avversario, il Pentagono deve anche migliorare i suoi accordi di base congiunti con gli alleati degli Stati Uniti.
La base di Diego Garcia
Gli Stati Uniti dovrebbero integrarsi operativamente con il Regno Unito, ad esempio, per aggiornare gli allestimenti militari della base sull’isola di Diego Garcia, posta al centro dell’Oceano Indiano, aggiungendo capacità di difesa missilistica che consentirebbe di contribuire al meglio nel corso di un eventuale conflitto con Taiwan.
Potrebbe anche fungere da base per l’attività dei bombardieri a lungo raggio e da centro di sorveglianza strategica nella porzione più occidentale dell’Indo-Pacifico.
Il ruolo dell’AUKUS nell’Indo-Pacifico
Basandosi sul recente accordo AUKUS con l’Australia e il Regno Unito, il Pentagono dovrebbe rafforzare la sua cooperazione con la Royal Australian Air Force presso la Base Darwin e la Base Tindal nel Territorio del Nord dell’Australia.
L’AUKUS (acronimo inglese delle tre Nazioni firmatarie) è il patto trilaterale di sicurezza tra Australia, Regno Unito e Stati Uniti, annunciato il 15 settembre 2021.
In base ad esso, gli Stati Uniti e il Regno Unito concordano di aiutare l’Australia a sviluppare e dispiegare operativamente sottomarini a propulsione nucleare, aggiungendosi alla presenza militare occidentale già presente nella regione dell’ Oceano Pacifico.
Queste basi potrebbero accumulare munizioni per servire le forze statunitensi che operano nella regione.
E Washington dovrebbe anche cercare un accesso esteso nelle Filippine, anche mediante la riattivazione in senso militare della base di “Subic Bay”, dismessa nel 1992.
Ma facilmente riattivabile in breve tempo.
Il ruolo delle Filippine
Situate a poche centinaia di miglia da Taiwan attraverso lo Stretto di Luzon, la Repubblica delle Filippine sarebbe un partner essenziale degli Stati Uniti in qualsiasi potenziale conflitto con la Cina.
Anche se l’attuale amministrazione del Presidente Rodrigo Duterte non sembra sufficientemente propenso all’idea di ospitare basi di missili statunitensi sul territorio filippino, negoziare con il successore di Duterte dovrebbe essere in cima alla lista delle priorità indo-pacifiche del governo degli Stati Uniti.
Infine, gli Stati Uniti dovrebbero espandere le difese aeree del Giappone aggiornando la portata e l’efficacia dei sistemi d’arma balistici e missilistici montati sugli incrociatori della classe “Ticonderoga”: la USS Shiloh, la USS Vella Gulf e la USS Monterey, tutti programmati per il ritiro nell’anno fiscale 2022.
Dati gli alti costi di una modernizzazione completa, un’opzione più economica potrebbe essere quella di fornire loro aggiornamenti limitati che consentano alle navi di fornire protezione di difesa aerea pur rimanendo in porto in Giappone.
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