Il VTsIOM, ovvero il Centro panrusso per lo studio della pubblica opinione, ha appena pubblicato un sondaggio svolto a Mosca, la capitale. Tema, ovviamente: la “operazione speciale”, ovvero la guerra, in Ucraina. Risultati: il 58% dei moscoviti approva la “operazione speciale”, con un incremento dei “sì” del 4% nell’ultimo mese. Il 55% ritiene che ora si debba andare avanti e proseguire nel conflitto (più 8% nell’ultimo mese). Il 52%, anche se potesse, non vorrebbe tornare indietro nel tempo e annullare l’invasione. Il 72% è convinto che il Governo saprà trovare le giuste misure per rispondere alle sanzioni economiche occidentali.
Non siamo così ingenui da non capire che di questi tempi, con la stampa di opposizione di fatto chiusa e quella putiniana che pompa a pieno regime, e le leggi speciali in agguato per chi dissente, ogni sondaggio va preso con buone molle. Tanto più che, dice lo stesso sondaggio VTsIOM, per il 59% dei moscoviti la Tv resta il mezzo principale di informazione. Però, come dicono gli stessi esiti del sondaggio, ci sono molti che non temono di andare contro corrente. E poi siamo a Mosca, che con San Pietroburgo è stata l’epicentro delle proteste contro la guerra. Il dato nazionale, sempre censito da VTsIOM poco tempo fa, infatti, parla di un 68% di favorevoli alla spedizione in Ucraina.
Quindi, fatte le debite tare e considerati tutti gli elementi, non resta che concludere che l’idea di invadere l’Ucraina e di scatenare una guerra che in due mesi ha già fatto più morti che gli otto anni di guerra nel Donbass, ancora piace a una porzione significativa di russi. Restando a Mosca: se non è il 58% la quota dei favorevoli ma “solo” il 50 o il 45%, la sostanza cambia poco. Sono sempre tanti. Anche perché assai alta (addirittura sopra l’80%, sondaggio Levada) è pure la quota di approvazione riservata a Vladimir Putin. Pare insomma ripetersi, almeno per ora, il fenomeno del 2014, quando la riannessione della Crimea e il sostegno alla ribellione del Donbass russofono procurò al Presidente i più alti rating della sua storia politica.
Tutto gonfiato da istituti di ricerca compiacenti? In parte forse sì. Ma questo ci riporta a certi discorsi del passato. Quando alcuni di noi (pochi, in verità) scrivevano che il consenso per Putin non era solo di “regime” ma conteneva un’ampia quota di consenso spontaneo, veniva facile etichettarli come “putiniani” e amici del giaguaro. Ma la verità era quella. E sostenere il contrario non rendeva più democratici e illuminati ma solo un po’ meno esperti dei meccanismi reali della Russia e di quelli mentali del popolo russo. Errore che puntualmente si ripete anche ora presso i molti che sperano che un golpe, una malattia o un accidente qualunque tolga di mezzo Putin, e si risolva così anche il problema della Russia e del suo posto nel mondo. Quando invece il problema sta nella testa di ogni singolo russo.
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