Gli Stati Uniti stanno perdendo il controllo dell’America Latina
da PICCOLE NOTE (Davide Malacaria)
Una delegazione degli Stati Uniti è giunta in Venezuela: ufficialmente per tentare di liberare alcuni americani detenuti nel Paese, in realtà per una missione distensiva tesa a ricostruire i legami con Caracas, come spiega l’Associated Press.
In questi tempi di sanzioni contro Mosca, il mondo è affamato di petrolio e per evitare incrinature all’interno del fronte anti-russo serve anche il petrolio del Paese sudamericano (già Eni e Repsol sono state autorizzate ad acquistarlo).
D’altronde è lo stesso motivo che ha spinto Biden ad annunciare un viaggio in Arabia Saudita: un’inversione di marcia dell’agenda della sua amministrazione, che aveva messo nel mirino Riad a causa dell’omicidio Khasshoggi.
Gli Stati Uniti hanno così sotterrato l’ascia di guerra brandita dall’amministrazione Trump che, sotto la pressione di John Bolton, tentò in tutti i modi di porre fine al governo di Maduro, usando allo scopo il povero Juan Guaidò, il presidente Parlamento venezuelano che Bolton, e quasi tutto il resto del mondo, incoronarono re.
Svaporata la follia Guaidò, ora ai giardinetti, è venuto il tempo di un ritorno alla realtà, da cui la missione Usa a Caracas, che in questi ultimi tempi è tornata ad affacciarsi nell’agone internazionale, come dimostra il suo recente viaggio in Turchia e Iran, Paesi con i quali ha rispettivamente allacciato e rinsaldato i legami.
Non solo: la vittoria di Gustavo Petro nelle recenti presidenziali in Colombia sembra possa portare a una distensione anche con Bogotà, da tempo usata dagli Stati Uniti per far pressioni sul Venezuela (val la pena ricordare che, nel pieno della crisi succitata, Bolton si presentò a una conferenza stampa brandendo un piano di invasione che prevedeva l’invio di 5mila soldati Usa in Colombia).
Ex guerrigliero, Petro ha annunciato che avrebbe rimesso mano ai rapporti con Caracas, anzitutto riaprendo le frontiere chiuse da tempo (annuncio distensivo che ha portato sfortuna: lo stesso giorno, nel corso di una corrida, è crollata una tribuna, provocando 8 morti e 60 feriti).
La vittoria di Petro, al di là dello sviluppo o meno dei rapporti con il Venezuela, è un ulteriore tassello di un puzzle che, componendosi, ha disegnato un quadro del tutto nuovo dell’America Latina, che appare sempre più autonoma dagli Stati Uniti.
Un’autonomia che si è palesata in tutta evidenza al recente vertice delle Americhe, quando il nuovo presidente del Messico, López Obrador, ha disertato l’assise per protestare contro la decisione di Biden di escludere dalla riunione Cuba, Nicaragua e Venezuela.
Paese simbolo di tale autonomia è diventato ormai il Brasile, che non solo è membro dei Brics, a trazione russo-cinese, ma con Jair Bolsonaro è in entrato in un conflitto aperto con Washington, che vede nell’emulo carioca di Trump un avversario esistenziale, così come lo è l’ex presidente in patria.
Il senso di Bolsonaro per la Russia è palese, come dimostra peraltro la recente telefonata con Putin, con il quale ha parlato dell’emergenza alimentare provocata dalle sanzioni anti-russe, che rischia di causare fame e destabilizzazione generalizzata nel Sud del mondo.
Bolsonaro è in scadenza, ma le elezioni del prossimo ottobre non sembra possano cambiare più di tanto la direttrice del suo Paese. Il suo competitor alla presidenza, infatti, è Ignacio Lula da Silva, il quale, parlando della guerra ucraina – diventata, grazie all’estremismo dei falchi Usa, spartiacque delle sensibilità internazionali – ha dichiarato che anche Zelensky è responsabile della sua genesi (aggiungendo: ” Ok, sei stato un simpatico comico. Ma non facciamo la guerra per farti apparire in TV”).
A rendere Lula poco incline alla sirene di Washington non sono solo le divergenze in politica estera Usa. Egli sa bene, infatti, anche chi ha armato la mano di Sergio Moro, il giudice che lo incarcerò per corruzione costringendolo ad abbandonare la corsa per la rielezione l’11 settembre del 2018, e in caso di vittoria conserverà la dovuta prudenza nei rapporti con Washington.
A chiudere il puzzle latinoamericano, l’Argentina, che per bocca del suo presidente Alberto Fernandez si è candidata a essere membro effettivo dei Brics. Se la candidatura fosse accettata, come presumibilmente accadrà, i due più importanti Paesi del Sud America sarebbero parte di un organismo verso il quale gli Stati Uniti nutrono un’enorme diffidenza, per usare un cauto eufemismo.
Insomma, a quanto pare gli Usa, nella loro ossessione di dominare il mondo, stanno perdendo il controllo del proprio giardino di casa, come usano considerare l’America Latina. Piccolo, ma significativo segno di come l’ossessione di cui sopra rischia di avere esiti opposti alle pretese.
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