[L’articolo è stato redatto diversi giorni prima della firma del memorandum di Madrid da parte di Turchia, Svezia e Finlandia. L’autore ha preferito non modificare il pezzo, anche in virtù del fatto che i contenuti del memorandum confermano quanto riportato nella prima parte del testo.]
Come spesso capita negli ultimi mesi, mi alzo dal letto all’alba, malvolentieri. Mi svegliano gli aerei e gli elicotteri militari che partono da una base aeronautica lontana pochi chilometri dal mio quartiere. Da aprile, mi sembrano in esercitazione costante. Mi faccio un caffè. Qui in Finlandia è estate. Nonostante siano le cinque e mezza del mattino, c’è un sole che sembra di stare a mezzogiorno. Mezzo rincoglionito, comincio la mia rassegna stampa mattutina. Rituale ormai fisso, dai tempi dell’inizio della pandemia.
A leggere i commenti di molti, sui media e sui social italiani, mi viene da pensare che preferivo di gran lunga i giorni della famigerata dittatura sanitaria. Il termine raccapricciante «ucronazisti», spesso in bocca a sedicenti militanti da social, è quello che più mi infastidisce. Ha un disgustoso sapore para-leghista, colonialista, etnicizzante. Gli ucronazisti. I brasiliani col ballo nel sangue. Gli africani stupratori. Twitter mi suggerisce dei post in cui un paio di intellettuali pubblici chiedono, con parole accorate, di bloccare l’ingresso nella Nato di Svezia e Finlandia. Eppure, dovrebbero abbastanza contenti in questi giorni.
Il processo di accesso è in una fase di stallo. Erdogan sembra intenzionato a farsi pagare profumatamente da Svezia e Finlandia l’ingresso nell’Alleanza Atlantica. Le ragioni del contingente ostruzionismo del leader turco sembrano essere relative sia a questioni di politica interna che di relazioni internazionali.
Sul fronte interno, Erdogan si trova a fronteggiare una crisi del debito e della lira turca che dura dal 2018, e le elezioni generali del 2023. Da questo punto di vista, usare la voce alta in politica estera vuol dire spingere i suoi alleati militari a prender più seriamente le preoccupazioni turche in tema di sicurezza militare e antiterrorismo. Questo serve a Erdogan per guadagnare punti sul fronte elettorale, rinsaldare le alleanze coi partiti più nazionalisti, rinvigorire la fiducia verso il governo di quei settori della popolazione turca più colpiti dalla difficile situazione economica.
Le questioni di sicurezza militare e le relazioni internazionali sono l’aspetto che è forse più visibile nella querelle fra Turchia, Svezia, e Finlandia. Erdogan non mira solo ad ottenere dagli USA la riammissione al programma F-35, da cui la Turchia era stata espulsa dopo l’acquisto dalla Russia del sistema di difesa missilistico S-400. Vuole assicurarsi che Svezia e Finlandia pongano fine all’embargo sulla vendita di armi imposto dai due paesi a causa del violento intervento turco nel conflitto siriano. Ma, soprattutto, vuole spingere i due paesi a tagliare i rapporti con YPG e PKK. Nel fare questo, Erdogan chiede che i due paesi nordici (in particolare la Svezia, che ospita circa 100000 rifugiati curdi) modifichino radicalmente le loro politiche in tema di estradizione e accoglienza dei richiedenti asilo.
La mossa è stata, prevedibilmente, mal tollerata dall’establishment svedese e finlandese. Da un lato, Svezia e Finlandia sono giustamente orgogliose della loro natura democratica avanzata, e non accettano di farsi dettare l’agenda su diritti politici e civili da parti terze. Dall’altro, i due governi nordici e i loro cittadini si sentono presi in giro del governo di Ankara. Quest’ultimo prima aveva dato informalmente il nulla osta alla procedura veloce di ammissione dei due paesi alla Nato. Solo in un secondo momento, ha iniziato ad accampare richieste pesanti e minacce di veto, pochi giorni prima che le camere svedesi e finlandesi votassero per l’invio della richiesta di ammissione.
Ma come si è arrivati a questo punto? Perché la Finlandia ha deciso nel giro di poche settimane di mettere da parte una decennale politica di non-allineamento militare? In un articolo su Limes, Nicola Guerra sostiene che questo cambio di rotta è dovuto principalmente a paure ed emotività inconsce. Questi timori sarebbero radicati nella memoria collettiva finlandese della invasione sovietica seguita al patto Molotov-Ribentropp, e nei traumi prodotti dalla Guerra d’Inverno e da quella di Continuazione.[1] Donatella Di Cesare ha bollato l’evento (nientemeno) come una provocazione gratuita nei confronti della Russia e una annessione operata dalla Nato. Franco Cardini ha sostenuto che Svezia e Finlandia hanno inoltrato la domanda sotto pressione statunitense.[2]
Nei prossimi paragrafi, proverò a fare delle considerazioni di carattere militare, economico e politico su alcuni fatti che, mi pare, sono importanti per comprendere le ragioni che stanno dietro alla storica decisione della Finlandia. La mia speranza è di mostrare quanto poco le emozioni, l’inconscio, la paura dei finlandesi contino in tal senso. Al netto della geopolitica reazionaria e del realismo da bar tanto in voga in Italia.[3]
La neutralità armata e l’idea di sicurezza onnicomprensiva in Finlandia.
Con buona pace di Cardini e Di Cesare, la Finlandia ha votato democraticamente l’invio di richiesta di ammissione alla Nato dopo aver sentito, fra febbraio e maggio, il parere della Commissione della Difesa[4] e di una decina di altre commissioni, la posizione del presidente della Repubblica Niinistö,[5] i 212 interventi di un dibattito parlamentare durato quattordici ore e conclusosi con 188 voti a favore, 8 contrari[6] e 3 assenti.[7] L’intero processo è avvenuto sulla scorta del crescente sostegno popolare all’application. Con lo scoppio della guerra in Ucraina, infatti, il sostegno all’adesione, nei sondaggi, è cresciuto dal 53% di febbraio al 62% di marzo e del 76% a maggio. Prima dell’attacco russo all’Ucraina, la maggioranza dei finlandesi si era opposta per lungo tempo all’adesione.[8]
Un primo punto da chiarire a tal riguardo è quello della neutralità finlandese. Il concetto di «finlandizzazione» è usato spesso a sproposito dall’opinione pubblica, dai media, e da molti intellettuali italiani. Il principio di non-allineamento militare non è visto dai finlandesi solo come una scelta nobile in termini politici e di giustizia internazionale, sulla falsa riga della tradizione neutralista svedese. Molti, qui, lo hanno piuttosto inteso come un’opzione funzionale, determinata dal fatto di condividere con l’URSS prima, con la Russia poi, un confine di circa 1300 km. Fino al febbraio 2022, dunque, i cittadini e le istituzioni finlandesi hanno ritenuto che la neutralità fosse la scelta pragmaticamente migliore per il paese, date però due condizioni fondamentali: il rispetto del diritto internazionale e la deterrenza militare.
Parlando del primo aspetto, per i finlandesi il non-allineamento ha avuto senso nella misura in cui i paesi della comunità internazionale hanno rispettato l’idea che la guerra sia ammessa solo come mezzo di autodifesa in caso di aggressione; che sia legittimo aiutare o assistere qualsiasi altro paese che subisca un’aggressione militare; che ogni altro uso della forza militare non sia né giusto né legittimo. Come vedremo più avanti, per almeno tre diverse ragioni, i finlandesi ritengono che i gruppi dirigenti russi si siano messi intenzionalmente fuori dal sistema di leggi internazionali che l’Unione Sovietica aveva contribuito a definire e legittimare dopo la Seconda Guerra Mondiale. Non solo.
In Finlandia pensano anche che uno degli obiettivi di Putin e della sua classe dirigente sia quello di mettere il diritto internazionale definitivamente in soffitta. Si porta avanti e si cerca di legittimare, agli occhi altri paesi della comunità internazionale, quella che è ormai chiaramente una barbara guerra di annessione territoriale, con russificazione forzata dei territori occupati, distruzione delle infrastrutture vitali per il paese, saccheggi, terrorismo e bombardamenti contro la popolazione civile.
Sotto il secondo rispetto, va detto innanzitutto che la particolare condizione orografica del paese ha portato i finlandesi a sviluppare, a partire dalla fine della Second Guerra Mondiale, public policies di sicurezza totali che coinvolgono tutti gli aspetti della vita sociale della nazione. In base al principio della sicurezza onnicomprensiva (Comprehensive Security Model o CSM), le autorità pubbliche, l’esercito, le aziende pubbliche e private, i cittadini sono chiamati a collaborare per garantire il funzionamento dei gangli vitali della società finlandese nei momenti di emergenza.[9]
Un simile modello di policy non ha comportato una totale militarizzazione della società finlandese, per quanto il paese abbia mantenuto la coscrizione obbligatoria e le spese militari fra l’1.3% e il 2% del PIL.[10] Il CSM si è sviluppato sulla base di una idea socialdemocratica di vita comune volta a minimizzare i conflitti interni e valorizzare il consenso sociale; la cooperazione fra i diversi attori sociali, politici, istituzionali; la fiducia fra cittadinanza e istituzioni pubbliche.
Le attività economiche, sociali, politiche finlandesi sono quindi organizzate e sviluppate, nella vita di tutti i giorni, tenendo conto degli interessi strategici del paese e della massimizzazione della sicurezza della società finlandese. La sicurezza nazionale riguarda aspetti della vita collettiva e comunitaria come le politiche ambientali e i disastri naturali (importanti in un paese con un clima così estremo come la Finlandia), le emergenze sanitarie e, ovviamente, la guerra.
La Finlandia ripudia costituzionalmente la guerra come strumento di risoluzione dei conflitti politici e di politica estera. Tuttavia, il paese ha sviluppato, nel pieno rispetto del diritto internazionale e in armonia col principio di sicurezza onnicomprensiva, una fra le forze di difesa più grandi e strutturate d’Europa. Si tratta di un esercito di 280.000 soldati regolari, capace di superare le 800.000 unità in caso di mobilitazione generale, dotato di uno dei sistemi di artiglieria più grandi del continente.
La dottrina militare finlandese si regge sull’idea che le principali minacce belliche arrivino da est e che la migliore strategia sia prevenirle tramite la deterrenza. Deterrenza, in questo caso, significa organizzare la propria forza armata in maniera tale da indurre il potenziale aggressore a desistere. Questi deve infatti considerare i costi che si troverebbe a pagare da un punto di vista umano, economico, e politico in caso di attacco. Qual è il prezzo di invadere un territorio insidioso per il dispiegamento di truppe corazzate e battaglioni di fanteria, controllato da un esercito costruito con l’unico obiettivo della difesa territoriale e aerea del paese?
A tal proposito il generale Kivinen ha dichiarato: «Abbiamo sistematicamente sviluppato la nostra difesa militare proprio per questo tipo di guerra che si sta conducendo lì (in Ucraina), con un massiccio uso di potenza di fuoco, forze armate e anche forze aeree».[11] Tale organizzazione militare si è sviluppata, a partire dall’inizio degli anni 2000, sulla base di studi cha hanno funzionato da linea guida per la pianificazione strategica e l’approvvigionamento di armi nel paese. La guerra della Russia in Ucraina ha perciò confermato l’accuratezza di analisi iniziate venti anni fa.
La crescita dell’apparato militare russo e la guerra ibrida del Cremlino
Lo storico delle spese militari russe e l’intensificarsi di azioni di guerra convenzionale e ibrida nel corso degli ultimi venti anni sono i primi fattori che hanno allarmato i finlandesi. La Russia ha fatto infatti registrare un aumento esponenziale delle spese militari fra la fine degli anni ’90 e il 2022. Nel 1993, la spesa militare russa si attestava intorno ai 7.7 miliardi di dollari. Ad oggi la Russia spende in armi e ricerca militare circa più del 6% del PIL, circa 60 miliardi di dollari, con spese superiori agli 80 miliardi nel 2013 e nel 2014.[12]
Questi soldi sono stati poi utilizzati per costruire non un esercito di difesa, ma di attacco. Basta osservare numeri e proporzioni esagerate delle forzate armate russe rispetto a quelle americane e cinesi. La Cina ha 1 miliardo e 400 milioni di abitanti; 2,18 milioni di soldati; 5750 carri armati. Gli Stati Uniti hanno 332 milioni di abitanti; 1,4 milioni di soldati; 6612 carri armati. Ed ora i numeri della Russia: 142 milioni di abitanti; un esercito da più di 1 milione di soldati; più di 12 mila carri armati.[13]
Come ormai dovrebbe essere noto, l’impiego di questo esercito enorme non è rimasto sulla carta: due sanguinose guerre in Cecenia; l’invasione della Georgia nel 2008; l’intervento in Siria al fianco di Assad; l’annessione della Crimea nel 2014; la guerra in incognito iniziata in Donbass lo stesso anno. Allo stesso tempo, la Russia ha manifestato un certo protagonismo militare in Africa, avviando cooperazioni con più di 20 paesi africani, piazzando mercenari in Mali, Libia, Sudan, Repubblica Centrafricana, e aumentando la vendita di armi nel continente.
A questo approccio militarmente aggressivo, la Russia ha affiancato strategie di guerra ibrida (o non lineare, se si preferisce).[14] Negli ultimi quindici anni, le azioni russe hanno colpito in particolare i paesi baltici e nordici, inclusa la Finlandia: cyberattacchi (per esempio, quello massivo contro l’Estonia nel 2007); disinformazione atta a destabilizzare le opinioni pubbliche di altre nazioni (in questo la Russia, si è dimostrata attiva e particolarmente efficace anche in altri paesi europei, come il caso italiano dimostra); minacce nucleari (come la simulazione di un attacco nucleare contro Stoccolma avvenuta nel 2013); frequenti violazioni dello spazio aereo e marittimo dei paesi confinanti o vicini. Consapevole di quanto la Russia basi le campagne di guerra non-lineare sulla disinformazione e la guerriglia informatica, la Finlandia, a partire dal 2008, non ha solo mantenuto le spese militari ad un livello piuttosto elevato per gli standard europei (mai sotto l’1,3% del PIL, fino a toccare l’1.9% per l’anno corrente). Il paese ha investito molto nello sviluppo della cyber security e nelle strategie di preparedness correlate; e si è impegnato a promuovere la digital literacy dei suoi cittadini fin dalla scuola primaria, piazzandosi al primo posto della classifica Media Literary Index 2021 (l’Italia si attesta al ventunesimo posto).
L’alto livello di educazione digitale della popolazione ha impedito, negli anni, che nel paese diventassero radicate idee antivacciniste, credenze sbagliate riguardo alla denazificazione dell’Ucraina e alla guerra in Donbass,[15] idee ridicole circa la minaccia costituita dalla Nato per l’integrità territoriale russa. Per quest’ultimo punto, vale la pena spendere due parole in più.
Chi, in Finlandia, è contrario all’adesione del paese alla Nato lo è per ragioni che riguardano l’eventuale scarsa deterrenza militare e nucleare che la nazione acquisirebbe in caso di adesione; la poca considerazione che diversi membri dell’Alleanza hanno per i diritti civili e politici; il timore di essere coinvolti in operazioni militari disastrose e fondamentalmente ingiuste come quelle avvenute in Afghanistan e Iraq. Qui tutti sanno bene che la Nato non è un pericolo strategico-militare per la Russia, che anzi aveva collaborato con l’Alleanza Atlantica in Afghanistan nella war on terror,[16] e partecipato alle sue esercitazioni fino al 2014.[17] Attaccare una potenza nucleare come la Russia sarebbe suicida, vista anche la disinvoltura con cui Mosca mette l’opzione sul piatto. Occupare e controllare il suo territorio immenso con eserciti di difesa e proiezione come quelli Nato è militarmente e logisticamente impossibile. Se la Nato vede con favore l’ingresso di Finlandia e Svezia nell’Alleanza, è perché le loro forze di difesa meglio garantirebbero la protezione della regione baltica e di stati come Estonia, Lettonia, e Lituania, che non hanno un organico militare capace di reggere l’impatto di un eventuale attacco russo. A sua volta, se la Finlandia ha deciso per una svolta in tal senso è perché, oltre alla dimensione militare, diversi segnali economici e politici provenienti dalla Russia sono apparsi poco rassicuranti. Di certo, un paese di meno sei milioni di abitanti non si sogna di aderire alla più grande alleanza militare del mondo per invadere il suo irrequieto vicino e riconquistare la Carelia.
L’economia russa fra dipendenza energetica, integrazione globale, politica di potenza
L’attivismo militare russo riflette le scelte di economia politica compiute dal Cremlino. Proprio queste scelte e la loro ventennale traiettoria costituiscono il secondo elemento alla base delle preoccupazioni finlandesi. La Russia post-sovietica, e in particolare la Russia di Putin, è caratterizzata da un capitalismo estrattivo, basato principalmente sull’esportazione di risorse naturali, e di guerra, dato che il paese è il secondo al mondo per export di armi, dopo gli USA. Il commercio di gas naturale e petrolio, in particolare, rappresenta un punto di intersezione importante fra interessi economici e politici: il 13% delle entrate dello stato russo è rappresentato dai rubli versati da Gazprom. In generale, la metà dei soldi che entrano nelle casse dello stato derivano dal gas e del petrolio, che costituiscono anche 2/3 delle entrate in valuta estera. Un’economia fortemente dipendente dalle risorse naturali, dunque, con importanti carenze strutturali in termini di capacità di innovazione tecnologica, limitata capacità manifatturiera e una bassa produttività per ora lavorata (sotto il livello di Gracia e Cile). Ilya Matveev ha evidenziato come la Russia sia passata da una fase in cui le sue élite politiche, militari e politiche ambivano ad affermare il paese come potenza regionale, a una in cui mirano a vendere il paese come un player geopolitico di caratura globale sullo scacchiere internazionale.[18] Una superpotenza, al pari di Cina e USA, con una chiara postura imperialista di tipo reattivo, nonostante un’economia debole e una situazione demografica non favorevole.
La prima fase va dall’inizio della presidenza di Putin fino al 2014. È stata caratterizzata dall’idea che la Russia potesse essere un agente politico dominante nello spazio post-sovietico e, al tempo stesso, un attore pienamente integrato nel mercato globale e nelle sue logiche di libero scambio. Dopo il default del 1998 e gli aiuti ricevuti da IMF e World Bank (pari a 22 miliardi di dollari), gli interessi militari e strategici del Cremlino e quelli economici dei grandi capitalisti russi sono sembrati coincidere, o per lo meno andare di pari passo, per un decennio almeno. Sulla spinta di un crescente aumento dei prezzi del gas e del petrolio, la Russia aveva favorito all’interno la privatizzazione di settori strategici dell’economia. Al tempo stesso, aveva creato organizzazioni come l’Unione Economica Euroasiatica (EAEU), che mirava a mettersi in diretta concorrenza col mercato unico dell’Unione Europea. Espansione economica e politica, ed egemonia sugli stati vicini basata sul soft power, piuttosto che sull’uso della forza.
La seconda fase inizia con l’annessione della Crimea e segna un passaggio deciso alle politiche di potenza da parte del Cremlino, anche a scapito dello sviluppo socioeconomico del paese e degli interessi economici del gruppo dominante. La paura di perdere il controllo delle basi navali a Sebastopoli, la volontà ucraina di entrare nella UE piuttosto EAEU, la stagnazione dell’economia interna, il crollo interno di consensi, spingono Putin ad adottare una soluzione di tipo militare per risolvere questioni di tipo politico e economico.[19] Matveev nota come questa svolta militarista e imperialista abbia prodotto conseguenze prevedibili che sono andate a minare direttamente l’economia del paese e la sua integrazione nel sistema economico globale: la distruzione di terminali e infrastrutture russe in Ucraina (come la raffineria di Lisichansk di proprietà Rosneft); l’imposizione di sanzioni da parte occidentale; la perdita di valore di molti asset russi in Ucraina; la fuga dei capitali stranieri; una dipendenza crescente e asimmetrica dalla Cina, che vede invece aumentare la sua quota di investimenti diretti all’estero nella stessa finestra temporale.
Osservando il bilancio pubblico, in Finlandia si sono resi conto che il passaggio di Putin e dei suoi accoliti da una logica razionale di calcolo in termini di costi/benefici a una logica di tipo bellico e imperialista non è stato solo l’esito di una fatalità o di una serie di eventi avversi. Nonostante le ingenti risorse naturali e un mercato globale a suo favore, a partire dai primi anni del 2000, il PIL della Russia rimane costante, mentre quello di Cina e India aumenta. Il debito pubblico russo rimane basso, con avanzi cospicui nella bilancia commerciale, ma il governo di Mosca non fa nulla per aumentare il tenore di vita dei suoi cittadini. Accumula riserve, ma non rilancia la domanda interna. Mosca non fa nulla per ristrutturare e innovare il proprio sistema economico, risolvendo le debolezze strutturali sopra elencate. Perché?
Perché la Russia, secondo gli analisti finlandesi, si stava preparando a organizzare la propria economia per reggere l’impatto di azioni politico-militari di grave portata. E, in effetti, già dal 2016 l’Istituto finlandese per gli affari esteri e il Supo, i servizi segreti finlandesi, mettevano in guardia Helsinki sue due aspetti: la militarizzazione del mercato energetico da parte della Russia[20] e gli acquisti di territorio finlandese, in posizioni strategiche rispetto ad alcune basi militari russe, da parte di privati russi.[21] I fatti del 2022 sembrano dare ragione all’intelligence finlandese e ai suoi analisti.
La politica russa fra «democrazia sovrana» e «russkiy mir»
L’ultimo aspetto che ha determinato le scelte finlandesi degli ultimi mesi è la parabola della politica interna ed estera di Putin. In tema di politica interna, non è passato inosservato il concatenarsi di riforme istituzionali e costituzionali che ha gradualmente portato, sotto il nome altisonante «democrazia sovrana», all’accentramento del potere politico russo nelle mani di Putin e del suo entourage. Di seguito elenco alcuni degli aspetti critici che più hanno ricevuto attenzione dagli analisti e studiosi finlandesi: il presidenzialismo spinto del sistema politico russo e lo strapotere dell’esecutivo, i cui ministri non devono rispondere alla Duma. Il ruolo pivotale dell’Amministrazione Presidenziale, i cui tecnici hanno cooptato i principali di opposizione e dirigono di fatto il dibattito politico russo. La passivizzazione politica dei cittadini, che si sono trovati stretti fra la repressione poliziesca del dissenso e lo smantellamento strutturale di spazi di agibilità politica nella società. La crescita del peso politico dei siloviki, gli uomini della sicurezza e dei servizi segreti russi (a cui, dal 2012, è di fatto proibito lasciare il paese), a scapito degli oligarchi, gradualmente estromessi dal controllo delle leve del potere del Cremlino.[22]
A questa evoluzione in senso autocratico del sistema politico russo, ha fatto da controcanto la progressiva promozione di una narrazione, estremamente inquietante per i finlandesi, riguardante la salvaguardia e protezione del mondo russo, il russkiy mir. Il revanchismo proposto da Putin non ha basi ideali e concettuali di tipo etno-nazionalista. Al contrario, concepisce la Russia come comunità delle comunità, la cui estensione non ha ancora raggiunto il suo apice. In questo spazio spirituale, i grandi russi hanno il compito storico di cementare quello stato russo (sia esso un impero o una federazione) che garantisce la coesistenza delle diverse etnie che abitano il mondo russo nel passaggio dalla Rus’, all’Impero Russo, all’Urss, all’attuale Federazione Russa. Un’idea, questa, esplicitamente rivendicata da Putin nell’articolo «Sull’unità storica dei russi e degli ucraini»[23], in cui sostiene che la cultura e l’identità nazionale ucraine (o piccolo-russe) siano derivative rispetto a quelle grandi russe.
In breve, il carattere allarmante di questa idea di russkiy mir, per i finlandesi, sta in una visione radicalmente storicista e reazionaria dei rapporti fra popoli, stati, nazioni. A leggere gli scritti e le dichiarazioni di Putin (così come gli editoriali di Akopov[24] e Sergejcev[25] apparsi negli ultimi mesi su Ria Novosti), le responsabilità politiche degli esseri umani di oggi paiono essere indistinguibili, ed esaurite, da quelle storiche degli antenati. La forma del mondo sembra dipendere dal carattere storico-universale che i fini di un popolo hanno, e dalla differente passionarietà delle nazioni. Una visione metafisica e teologica della dottrina Monroe che non può lasciare indifferenti i finlandesi.
Non sorprende quindi che il discorso visceralmente antibolscevico con cui Putin, nel febbraio scorso, annunciava l’inizio dell’«operazione speciale» in Ucraina li abbia particolarmente colpiti. In quell’occasione, l’autonomia politica dello stato ucraino e il processo di nation-building del suo popolo sono state dipinte da Putin come un errore tremendo di Lenin e del gruppo dirigente bolscevico. Nel creare uno stato federale sovietico incline a garantire le autonomie nazionali, questi avrebbero inferto una ferita profonda alla missione storica del mondo russo e alla sua stessa esistenza. Cosa dovrebbero pensare dunque i finlandesi, che raggiunsero la loro indipendenza anche in virtù delle scelte dei bolscevichi in tema di politica estera e autodeterminazione dei popoli?
I recenti commenti fatti da Putin a Mosca nella sede della VDNCh, poi, rafforzano questa visione del modo di intendere gli interessi russi sullo scenario internazionale. Putin ha infatti esplicitamente asserito che il mondo delle relazioni internazionali è definitivamente cambiato, che la città estone di Narva è russa, e che la Seconda Guerra del Nord contro la Svezia per il controllo di Estonia e Lettonia rappresentava una legittima riappropriazione di terre russe operata da Pietro I.[26]
A queste latitudini, è anche chiaro che la definizione stessa della guerra avanzata da Putin in termini di «operazione speciale» ha due diverse dimensioni di significato. Da un lato, mira a copiare le strategie comunicative con cui gli USA hanno promosso le loro disastrose «guerre preventive», o l’idea di esportare la democrazia, bypassando il diritto internazionale (specialmente nel caso iracheno). Dall’altro lato, ha l’obiettivo di negare l’esistenza politica e internazionale dell’Ucraina come stato e come nazione. Difatti, è chiaro che le guerre convenzionali avvengono solo fra stati sovrani che riconoscono la reciproca esistenza sul piano delle relazioni internazionali. E l’Ucraina, per Putin e la dirigenza russa, non è né uno stato né una nazione. Vedendo spuntare in rete meme che, sulla falsa riga di quelli a tema ucraino, mettono in dubbio l’esistenza stessa della Finlandia come entità culturale e politica, qualche legittima preoccupazione i finlandesi se la pongono.
E fin dove si estende il russkiy mir? Gli interessi vitali di cui parla Mosca coincidono con lo spazio politico-istituzionale della Federazione Russa o si estendono oltre, a dispetto dei paletti fissati dal diritto internazionale? E se così fosse, quale destino spetta alla Finlandia, che è stata sotto il controllo dell’Impero Russo, pur con una certa autonomia, fra il 1807 e il 1917, resistendo però ai tentativi di russificazione attuati dallo zar Nicola II?
Se l’idea di russkiy mir va presa seriamente, allora, gli interessi che l’élite russa percepisce come legittimi potrebbero estendersi fin dove ci sono persone che parlano russo e professano il cristianesimo ortodosso. Questo metterebbe la Finlandia in una posizione ambigua, se non pericolosa, dal momento che ospita decine di migliaia di russi residenti o con doppio passaporto.
Da qui, e anche alla luce dei fattori militari ed economici sopra considerati, la scelta dei cittadini e della classe dirigente finlandese di attuare chiaramente una svolta atlantista. Tale cambiamento è visto come il male minore in questa congiuntura storica, in cui il diritto internazionale è drammaticamente congelato e le politiche di potenza sembrano dominare i rapporti fra stati. Questa scelta non è il frutto di panico ed emotività, ma la naturale conseguenza di una decennale politica di deterrenza militare che ha nella sicurezza del popolo finlandese il proprio principio cardine e regolatore.
Note
[1] Nicola Guerra, “La profezia di Koivisto: così la Finlandia abbandona la neutralità”, Limes 5/2022, https://www.limesonline.com/cartaceo/la-profezia-di-koivisto-cosi-la-finlandia-abbandona-la-neutralita.
[2] Detto fuori dai denti, queste posizioni tradiscono una crassa ignoranza delle circostanze storiche e politiche inerenti ai rapporti fra Russia e Finlandia. Forse malafede. Di sicuro, una certa cecità ideologica e permeabilità intellettuale alla spazzatura informativa e propagandistica presente sui social. Difetti, questi, che mi pare affliggano una buona parte degli intellettuali italiani, giovani e meno giovani. Molti sembrano apparentemente proni, ormai, a seguire le logiche prosumer dell’industria culturale targata Facebook e Twitter, per affermarsi come influencer in qualche bolla virtuale.
[3] Contro il trend del momento, si legga: https://www.ilpost.it/2022/06/13/geopolitica-cosa-non-spiega/.
[4] https://yle.fi/news/3-12439150.
[5]https://www.presidentti.fi/en/press-release/joint-statement-by-the-president-of-the-republic-and-prime-minister-of-finland-on-finlands-nato-membership/. Il ruolo del presidente della Repubblica, in Finlandia, è particolarmente rilevante. Chi è in carica ha non solo il comando delle Forze di Difesa Finlandesi ma, storicamente, anche particolare peso nel gestire e determinare la politica estera del paese e la gestione delle emergenze. La necessità di una figura istituzionale alta e non soggetta ai marosi della normale vita politica per la gestione degli affari esteri nasce anche dall’esigenza di intrattenere rapporti diplomatici delicati con un paese confinante come la Russia.
[6] La posizione dei contrari, appartenenti principalmente all’Alleanza di Sinistra e al Partito Socialdemocratico Finlandese, è ben sintetizzata dalla prospettiva critica di Heikki Patomäki (Università di Helsinki): https://patomaki.fi/en/2022/05/finland-and-sweden-in-nato-where-we-stand-and-with-what-possible-consequences/.
[7] https://yle.fi/news/3-12449487.
[8] https://yle.fi/news/3-12437506.
[9] Per informazioni più dettagliate si legga Minna Branders, Vesa Valtonen “Tracing the Finnish Comprehensive Security Model”. In Sebastian Larson, Mark Rhinard (eds.) Nordic Societal Security: https://www.taylorfrancis.com/chapters/oa-edit/10.4324/9781003045533-7/tracing-finnish-comprehensive-security-model-vesa-valtonen-minna-branders.
[10] Questo al contrario, almeno fino al 2022, della maggior parte dei paesi europei, che ha ridotto le proprie forze armate e le spese per la difesa, spostando l’attenzione sulla gestione delle crisi e le politiche di peacekeeping.
[11] https://yle.fi/uutiset/3-12507617.
[12] https://www.statista.com/statistics/1203160/military-expenditure-russia/.
[13] https://armedforces.eu/compare/country_USA_vs_Russia.
[14] Per chiarire l’approccio russo alla guerra asimmetrica o ibrida si rimanda alle parole di Valery Gerasimov, capo di stato maggiore generale delle Forze armate russe: https://www.armyupress.army.mil/Journals/Military-Review/Online-Exclusive/2019-OLE/Jan/Gerasimov/; https://www.armyupress.army.mil/Portals/7/Army-Press-Online-Journal/documents/2019/Gerasimov-2019.pdf.
[15] Sul Donbass e la storia dei rapporti fra Russia e Ucraina, si rinvia alla lettura di “Il destino dell’Ucraina” di Simone Attilio Bellezza e “Storia e geopolitica dell’Ucraina” di Giorgio Cella. Si consiglia inoltre la visione della registrazione delle due sessioni del convegno “Alle radici della guerra in Ucraina” promossa dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Trento e Rovereto: https://www.youtube.com/watch?v=Z5S7iDsmgmk e https://www.youtube.com/watch?v=hnMcEYKtfAU.
[16] https://usrussiarelations.org/3/geopolitics/map/northern-distribution-network.
[17] https://www.nato.int/cps/en/natolive/news_75370.htm.
[18] Per l’analisi completa, si rimanda a Ilya Matveev, “Between Political and Economic Imperialism: Russia’s Shifting Global Strategy”, Journal of Labor and Society, 2021, https://doi.org/10.1163/24714607-bja10043.
[19] Questa è l’opinione di Sergei Guriev, ex consigliere economico di Putin professore di economia presso Sciences Po: https://www.ft.com/content/e58832c5-a35a-4bf4-8be7-359b4563c1c9.
[20] https://yle.fi/news/3-9130673.
[21] https://yle.fi/news/3-9266358.
[22] Questi aspetti sono stati evidenziati e ripresi dalle dichiarazioni di Giovanni Savino (Università di Parma) in questa intervista: https://contropiano.org/news/internazionale-news/2022/04/16/lopposizione-sociale-e-politica-ai-tempi-di-putin-0148476. Altri due significativi contributi di Savino sul tema sono “La Russia ostaggio del nazionalismo”, MicroMega, 2/2014, pp. 176-188; e con Fabio Bartoli “Da Brežnev a Putin”, Micromega, 2019, pp. 135-151.
[23] Vladimir Putin, “Ob istoričeskom edinstve russkikh i ukraincev” (“Sull’unità storica dei russi e degli ucraini”), kremlin.ru, 12/7/2021.
[24] Pëtr Akopov, “Nastuplenie Rossii i novyj mir” (“L’avanzata della Russia e il nuovo mondo”), Ria Novosti, 26/2/2022: «La Russia ristabilisce la sua integrità storica unificando mondo russo e popolo russo nell’insieme di grande-russi, russi bianchi e piccolo-russi. Se ci rifiutassimo di adempiere a tale compito permetteremo a questa divisione di radicarsi nei secoli e tradiremmo non solo la memoria dei nostri avi, ma verremmo maledetti dai nostri discendenti per aver consentito lo smembramento della terra russa». Trad. di G. Savino.
[25] Timofej Sergejcev, “čto Rossija dolžna sdelat’ s Ukrainoj”, (“Che cosa deve fare la Russia con l’Ucraina”), Ria Novosti, 3/4/2022.
[26] https://estonianworld.com/security/putin-vaguely-threatens-the-estonian-town-of-narva/.
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