Nuovi paradigmi cinesi imitano l’Italia che fu
di TELEBORSA (Guido Salerno Aletta)
Non deindustrializzare come fece l’America, ma aggiungere valore alle produzioni tradizionali
I modelli di crescita si basano sostanzialmente o sull’aumento delle quantità dei beni e dei servizi che vengono prodotti, ovvero sull’aumento del valore dei beni medesimi attraverso un loro miglioramento qualitativo e quindi sul loro prezzo. Il nuovo processo produttivo è in grado, in quest’ultimo caso, di “aggiungere” maggior valore.
Il vero dramma con cui si confronta l’America da decenni è stata la scelta di abbandonare le produzioni industriali tradizionali, la Old Economy, a favore della New Economy: niente più industria manifatturiera, da delocalizzare nei Paesi a basso costo del lavoro, per privilegiare la New Economy fondata sui servizi, ed in particolare sulle capacità innovative che sono consentite dall’applicazione di internet e dalla conseguente enorme riduzione dei costi di produzione.
Il settore dell’agricoltura è stato parimenti considerato a bassissimo valore aggiunto per via della enorme riduzione dei costi e conseguentemente dei prezzi a livello mondiale, che è stata consentita dalla meccanizzazione, dalle coltivazioni sempre più estensive e dalla selezione sempre più accurata delle sementi e dei concimi. Pur essendo coltivati milioni e milioni di acri, l’agricoltura americana che sfama molte centinaia di milioni di persone in tutto il mondo, ha pochissimi occupati e pesa pochissimi punti sul PNL, visto che non arriva al 5%.
Il paradosso americano è rappresentato dal fatto che la produzione interna di automobili pesa molto meno della commercializzazione delle auto complessivamente prodotte ed importate: l’intermediazione commerciale crea più valore della produzione. Purtroppo, visto che l’America importa molte più auto di quante non ne produca, ha una bilancia commerciale strutturalmente e drammaticamente deficitaria: in pratica, i consumatori americani spendono i loro soldi all’estero, e l’America si indebita con i Paesi fornitori di questi prodotti. Per quanto il costo del lavoro e della produzione manifatturiera nei Paesi asiatici ed in via di sviluppo sia più basso di quello americano, l’America non vende al resto del mondo abbastanza prodotti agricoli, che appunto valgono poco, ed abbastanza servizi per pareggiare il saldo negativo delle merci. Gli industriali sono restii a riportare indietro le produzioni, e quindi siamo in una fase di stallo.
In Cina si sta affrontando il tema della creazione del valore aggiunto in modo più articolato anche rispetto a quanto si sta facendo in Italia con il Programma Industria 3.0: non si tratta solo di intervenire sul processo produttivo integrando le tecnologie informatiche, o di immaginare reti di comunicazioni 5G che tengano costantemente in contatto gli oggetti con le piattaforme di gestione e di manutenzione.
In Cina si sta procedendo sulla implementazione delle “Three News” che investono tutto il sistema produttivo: l’agricoltura, l’industria ed i servizi.
La prima novità è la “New Industry”, che deriva dalla implementazione di nuove acquisizioni scientifiche e tecnologiche in grado di dare vita ad una vera e propria nuova attività industriale, che è tale quando ha queste caratteristiche: l’applicazione delle nuove tecnologie e delle acquisizioni scientifiche su scala industriale; l’adozione nell’ambito delle attività industriali tradizionali di moderne tecnologie dell’informazione; la combinazione tra queste ultime e le innovazioni tecnologiche e scientifiche in grado di promuovere differenziazione, miglioramento ed integrazione a livello industriale.
La seconda novità è il “New business format” che si riferisce ai nuovi collegamenti, ai nuovi canali ed alle nuove forme di attività che derivano dalle industrie esistenti nella misura in cui implementano la realizzazione di un prodotto o di un servizio che abbia le caratteristiche di diversificazione, pluralizzazione e personalizzazione, che a loro volta si basano sulle innovazioni tecnologiche e sulle applicazioni che se ne sono fatte.
E’ la classica customizzazione della produzione, di cui le imprese italiane sono sempre stati capacissime, basata sull’utilizzo delle soluzioni tecnologiche ed informatiche. Si agisce su tre livelli: le relazioni di business basate su Internet; l’innovazione del processo di business, delle modalità di erogazione del servizio o della realizzazione del prodotto; la fornitura di servizi in maniera più flessibile, veloce e personalizzata.
La terza novità è rappresentata dal “New Business model” che si riferisce alla integrazione e riorganizzazione di vari elementi interni ed esterni delle attività di impresa volti a raggiungere gli obiettivi di creazione di valore per il cliente e profitto sostenibile per le imprese. Il risultato si ottiene integrando Internet nella innovazione industriale, integrando l’hardware nei servizi, provvedendo il sistema di “one-stop service” per il consumo, l’intrattenimento, il divertimento ed i servizi.
Secondo l’Istituto nazionale di statistica della RPC, dal punto di vista dei risultati, queste “Tre novità” non solo stanno crescendo ad un ritmo superiore a quello del PIL, ma ormai le Nuove Industrie pesano per il 17% del PIL medesimo. Rispetto all’anno precedente, nel 2021 l’incremento del valore aggiunto di queste Nuove industrie in agricoltura è stato del 6, 6%, nell’industria del 19,1%, del 15,3 % nel settore dei servizi.
In Italia, da trent’anni a questa parte, l’unico obiettivo è stato quello della precarizzazione dei rapporti di lavoro e dell’abbattimento dei salari per rimanere competitivi, senza più investire nei grandi complessi produttivi come si faceva prima del disastro delle privatizzazioni e dello smantellamento delle Partecipazioni statali, quando eravamo la quinta potenza industriale al mondo. Le piccole e medie imprese sono rimaste sole, facendo affidamento solo sulla tempra dei loro proprietari e sulla capacità dei lavoratori: siamo rimasti gli unici ad occupare una nicchia di mercato che vuole flessibilità, velocità adattamento.
Ora la Cina ha capito che il vero valore aggiunto è in quello che l’Italia ha saputo fare da sempre: ha tante grandissime imprese che diventeranno sempre più flessibili con le tecnologie informatiche.
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