La rivoluzione non è un pranzo di gala, diceva Mao. E tanto meno lo è una guerra. Se vai in guerra lo devi sapere. Ma noi non siamo in guerra, almeno teoricamente, e non abbiamo fatto nulla per meritarci questa stampa da Minculpop, che si è consegnata mani e piedi alla propaganda e vive di pessime veline. Prendiamo l’ultimo caso, il sabotaggio dei gasdotti Nord Stream 1 e Nord Stream 2 nel Mar Baltico. È stato ovviamente un sabotaggio: i sismografi degli svedesi hanno subito registrato le esplosioni e non esiste che si producano 4 falle nello stesso tempo in due gasdotti diversi. Ovviamente, la “stampa di qualità” parla subito, addirittura pochi minuti dopo i fatti, di un complotto della Russia. Con il corollario indispensabile che, se ne dubiti, se un alleato di Putin. È l’ennesimo, ridicolo contrordine compagni a cui dovremmo ubbidire.
Mettiamo in fila qualche fatto. Per anni, gli stessi che oggi accusano la Russia di questo sabotaggio ci hanno spiegato che la Russia putiniana prosperava sul “ricatto energetico”, cioè sul fatto di fornire all’Europa circa il 40% del gas necessario alle industrie e alle gas. L’emblema di questo “ricatto” erano proprio i Nord Stream, i gasdotti che collegavano la Russia alla Germania, i Nord Stream: il numero 1 varato all’epoca del cancelliere Schroeder, il 2 dalla cancelliera Merkel. Che infatti, in tempi recenti, è stata coperta di contumelie: aveva sbagliato tutto, ci aveva consegnati al “ricatto”, appunto, del Cremlino. Quindi, tornando al sabotaggio: i russi avrebbero distrutto un’infrastruttura strategica che consentiva loro di ricattare, dal punto di vista energetico, l’Europa. Bravi, 7 più.
Non solo. Venendo a questi tempi infami della guerra: quante volte ci è stato spiegato che proprio con il “ricatto energetico” (che è poi vendere a noi, grazie al Nord Stream, il gas di cui abbiamo bisogno) la Russia attuale finanzia la guerra? Quante volte ci è stato detto che negli ultimi sei mesi Gazprom ha fatto i profitti che normalmente farebbe in due anni? Giusto, vero. Ma allora perché la Russia avrebbe dovuto bombardare uno dei gasdotti che le consentono tali profitti? Proprio mentre in Europa crescono le proteste contro il caro-prezzi, la Ue stenta a varare il tetto al prezzo del gas e in Italia si afferma una maggioranza di Governo che molti, a torto o a ragione, considerano freddo verso la Ue e non indifferente alle ragioni del Cremlino?
Terzo. Diciamo che, per qualche misteriosa ragione, la Russia aveva interesse a tagliare questa specie di cordone ombelicale gasiero che la legava all’Europa. E non bastava, allora, chiudere il rubinetto alla fonte? Interrompere il flusso del gas senza danneggiare in modo forse definitivo una struttura che le è costata decine di miliardi di dollari e su cui, al limite, avrebbe potuto contare in futuro, quando la guerra e le tensioni con l’Occidente fossero eventualmente placate?
Certo, questi sono argomenti razionali. Non sono affascinanti come le fanfaluche dei soliti noti, che da sei mesi vanno in Tv a fantasticare di congiure anti-Putin, rivolte dei generali, ammutinamenti dei ministri, smentiti ogni giorno dalla realtà. Altrettanto razionale (quindi lo faranno in pochi) è guardarsi intorno è vedere quali Paesi profittano da questo sabotaggio. In primo luogo l’Ucraina, ovviamente. I gasdotti sotto il Mar Baltico, nel progetto russo, servivano appunto a evitare il passaggio sul territorio ucraino, cioè sul territorio di un Paese percepito prima come insicuro (si veda la Rivoluzione arancione del 2004, la presidenza di Viktor Yushcenko, i maneggi di Yuliya Tymoshenko) e poi, dopo il 2014 e l’Euromaidan, decisamente ostile. E anche a risparmiare i 3 miliardi di dollari che ogni anno vengono pagati, appunto come diritto di transito, al Governo di Kiev. Finiti i gasdotti sotto il Baltico, è ovvio che diventano molto più preziosi i transiti sul territorio ucraino: se la Russia vorrà o potrà continuare a esportare gas verso Ovest, non potrà più evitare di passare per l’Ucraina.
Ma non solo. Il transito ucraino diventa ancor più prezioso in futuro, proprio nel quadro di quell’affrancamento dal “ricatto energetico” russo di cui gli Usa e la Ue parlano da anni. Tre giorni fa, i primi ministri di Polonia e Danimarca e il ministro dell’Energia della Norvegia hanno simbolicamente inaugurato il nuovo gasdotto Baltic Pipe, una linea da 10 miliardi di metri cubi l’anno che collega la Norvegia alla Polonia via Danimarca e che dovrebbe garantire quella che i polacchi chiamano “sovranità energetica”. Anche in quella occasione la premier danese Mette Frederiksen ha ripetuto il discorso del “ricatto energetico” della Russia. L’ambizione della Polonia, però, non è solo quella di affrancarsi dalle forniture russe ma di diventare il perno di un sistema europeo di distribuzione dell’energia, in collaborazione proprio con l’Ucraina. Lo ha spiegato bene e senza ipocrisie il premier polacco Mateusz Morawiecki: “Essendo il più grande Stato dell’Europa centrale e orientale, ovviamente, pensiamo alla responsabilità della sicurezza energetica non solo in Polonia, ma anche in altri paesi che fanno parte dell’iniziativa dei Tre mari e, ad esempio, l’Ucraina. Vogliamo essere un partner che contribuirà davvero alla diversificazione delle fonti di approvvigionamento energetico per i Paesi della nostra regione. Nella prospettiva degli anni 5-10, la Polonia potrebbe diventare un centro regionale per la distribuzione del gas al di fuori della Russia, ma tutto dipende dalla cooperazione con i nostri amici dell’iniziativa dei Tre mari e dalle condizioni economiche”. Progetto che, una volta realizzato, e in coincidenza con il declino politico ed economico della Germania, farebbe di fatto della Polonia il Paese più influente nella Ue.
A guadagnare dalla distruzione dei gasdotti russi, poi, non ci sono solo Polonia e Ucraina. C’è anche la Norvegia che zitta zitta è diventata il primo fornitore europeo di gas, prendendo il posto che per decenni era stato appunto della Russia. Le sue esportazioni di gas sono quadruplicate rispetto al 2021 e infatti il Paese ha registrato il più alto surplus commerciale della sua storia: 15,6 miliardi di euro. E ci guadagnano anche gli Usa, come spesso capita: nel 2022 hanno esportato in Europa il 74% della loro produzione di gas liquefatto, contro il 34% del 2021. E lo hanno venduto a noi a un prezzo 7 volte superiore a quello praticato sul mercato interno.
È difficile capire come si possa, in questo quadro, puntare subito il dito contro la Russia per i sabotaggi del Nordstream. Può farcela, appunto, solo la propaganda. Che cerca di non farci notare qualche altro fatto. È la Russia che ha chiesto la convocazione urgente del consiglio di Sicurezza Onu per parlare dei sabotaggi. Mentre, al contrario, né gli Usa né la Ue sembrano arsioni di indagare sull’accaduto. La per il solito ciarliera Von der Leyen tace. Borrell, alto rappresentante europeo per la politica estera e la difesa, invita i gay a lasciare la Russia. contrordine compagni, anche sul Nordstream.
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