Mobilitazione popolare e società di sicurezza: Taiwan si prepara all’invasione
da ANALISI DIFESA (Pietro Orizio)
L’invasione russa dell’Ucraina e la conseguente ambiguità cinese hanno ravvivato i timori di una prossima operazione militare di Pechino per riprendersi la “provincia ribelle” di Taiwan. Un ipotetico copione già visto sul fronte europeo in questi mesi: una potente entità statuale che ne aggredisce un’altra più debole, ma anche una popolazione civile attivamente impegnata contro l’invasore ed il coinvolgimento di Compagnie Militari e di Sicurezza Private.
Nonostante l’impegno degli Stati Uniti ad intervenire militarmente in difesa dell’isola-stato e lo scetticismo dei vertici del Pentagono circa la possibilità che Pechino possa organizzare una vasta operazione anfibia per invadere l’isola, i taiwanesi sono infatti, convinti di doversi arrangiare in caso di attacco, prendendo parte ad un estremo tentativo di resistenza.
Così molti cittadini si sono mobilitati autonomamente e hanno frequentato corsi di addestramento per difendere sé stessi, le loro famiglie e la propria terra. Un contributo prezioso, questo, che si sta cercando di capitalizzare riformando la Riserva e coinvolgendo Compagnie Militari e di Sicurezza private a fornire personale ed addestramento.
L’impressione, sulla scia di quanto accaduto in diversi Paesi Ucraina in primis, è che si punti sulla disponibilità della popolazione per organizzare una vera e propria Forza di Difesa Territoriale in grado di esercitare un sufficiente livello di deterrenza nei confronti della Cina o, qualora necessario, di condurre una rilevante insorgenza.
C’erano una volta Mao e Chiang Kai-Shek
La Repubblica di Cina, più comunemente nota come Taiwan, è uno stato insulare a riconoscimento limitato – solo 13 i Paesi con relazioni diplomatiche ufficiali, tra cui non figura alcun membro permanente del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite – che comprende l’isola principale di Taiwan o Formosa, i tre arcipelaghi di Penghu, Kinmen e Matsu ed altre isole minori.
Con i suoi quasi 24 milioni di abitanti ed un governo democratico, Taiwan è ai ferri corti con la Cina da più di settant’anni. Nel 1949, infatti, la sanguinosa guerra civile scoppiata nell’agosto del 1927 ha visto prevelare le forze del Partito Comunista Cinese di Mao Zedong su quelle del Partito Nazionalista Cinese – Kuomintang – di Chiang Kai-Shek.
Quel che restava dei nazionalisti ed il loro leader si sono rifugiati sull’isola di Taiwan – a circa 161 chilometri dalle coste sudorientali cinesi – dove hanno governato per decenni con la legge marziale; fino a cedere a malincuore alle istanze democratiche del popolo a fine anni 80.
Nel frattempo, sia il partito nazionalista che quello comunista si sono autoproclamati governi legittimi della Cina. Inizialmente, è stato il Kuomintang ad essere riconosciuto da una nutrita maggioranza di Paesi, con tanto di seggio della Repubblica di Cina alle Nazioni Unite.
Il Partito Comunista Cinese, però, è riuscito a legittimare la sua posizione dimostrando un effettivo controllo sulla Cina continentale e sul 98% dei cinesi. Le Nazioni Unite hanno così espulso la Repubblica di Cina – Taiwan – nel 1971 ed hanno assegnato il suo posto alla Repubblica Popolare Cinese.
Gli Stati Uniti stessi, dopo aver riconosciuto l’indipendenza di Taiwan per trent’anni, nel 1979 hanno ufficialmente tagliato i legami con Taipei per stringerli con Pechino. Tuttavia, si sono ripetutamente impegnati a proteggere Taiwan e, come la maggior parte dei Paesi, hanno intrattenuto con essa relazioni de facto.
Taiwan contro Cina
Seppure Taiwan si sia da sempre ritenuta indipendente e la Cina invece la consideri una “provincia ribelle” da riportare sotto il proprio controllo, finora minacce, esercitazioni e sconfinamenti non sono sfociati in un coflitto aperto-
Eccezion fatta per ostilità su scala ridotta come le Crisi dello Stretto di Taiwan del 1954-55 e del 1958 con bombardamenti cinesi di isole strategiche controllate da Taiwan, non si sono più verificati scontri rilevanti.
Nel corso degli anni, però, gli animi non si sono mai placati, sfociando occasionalmente in pericolose escalation come quella del 1995-96 o quella dell’agosto scorso con la visita di Nancy Pelosi, speaker della Camera dei Rappresentanti degli Stati Uniti a Taiwan; ribattezzate rispettivamente Terza e – l’inizio della – Quarta Crisi dello Stretto di Taiwan.
Quest’ultima, aggravata da un decennale contesto politico di fondo particolarmente infiammabile. Il presidente cinese Xi Jinping ha, infatti, collegato il recupero di Taiwan ai progetti prioritari del “sogno cinese di ringiovanimento nazionale” fin dalla sua elezione nel 2013. Xi, prossimo al suo terzo mandato, nel discorso di apertura del XX Congresso Nazionale del Partito Comunista Cinese ha ribadito l’inevitabilità di un’unificazione, pacifica o meno.
Dall’altra parte, nel 2016 è stata eletta presidente di Taiwan, Tsai Ing-wen che ha attuato una politica di riarmo. Il Partito Progressista Democratico di cui fa parte, inoltre, è orientato alla dichiarazione formale di indipendenza di Taiwan, da sempre ritenuta da Pechino una linea rossa invalicabile.
In caso di confronto militare i numeri sono a favore della Cina. Pechino può contare su 2 milioni di militari in servizio attivo e 510.000 riservisti rapidamente mobilitabili. Taiwan su 170.000 uomini e 1,657 milioni di riservisti. Per quanto riguarda carri armati e artiglieria, la Cina dispone di 5.250 corazzati e 5.854 pezzi d’artiglieria, mentre Taipei arriva a schierarne rispettivamente 1.110 e 1.667.
L’Aeronautica cinese, poi, ha 3.285 aerei contro i 741 di Taiwan, nonché una flotta di 777 navi rispetto alle 117 taiwanesi. Per non parlare della tecnologia missilistica di Pechino e le sue possibilità di lanciare attacchi cyber.
La Cina, inoltre, ha il budget della difesa più elevato al mondo ad eccezione degli USA: 230 miliardi contro i 16,8 di Taiwan. Certo il confronto numerico di truppe e mezzi lascia il tempo che trova tenuto conto che i cinesi dovrebbero sbarcare a Taiwan forze sufficienti a conquistarla ma i piani di Pechino per conquistare l’isola vengono aggiornati costantemente, così come ripetute sono le grandi manovre che simulano l’operazione anfibia su vasta scala.
In seguito alla visita di Pelosi si sono tenute le esercitazioni aeronavali più imponenti di sempre, con lancio di missili balistici in una serie di aree prospicienti l’isola contesa.
I sorvoli della Zona di Identificazione Aerea taiwanese, atti a testare i tempi di reazione della difesa aerea di Taiwan, addestrare i piloti cinesi e nutrire la propaganda interna sono raddoppiati nel 2021 rispetto al 2020. Nei mesi di ottobre e novembre dell’anno scorso sono stati complessivamente oltre 156 gli aerei militari cinesi a sconfinare.
Quindi, i tempi sarebbero ormai – o quasi – maturi per una complessa invasione anfibia che il ministro della difesa di Taiwan, Chiu Kuo-cheng prevede per il 2025. Secondo la dottrina militare di Taipei l’obiettivo delle proprie Forze Armate è quello di rallentare e rendere più dolorosa possibile un’avanzata cinese, in attesa dell’aiuto militare e diplomatico degli Stati Uniti.
Perciò, è stata predisposta da tempo una “strategia a porcospino” con l’impiego di mine navali, missili anti-nave, anti-aereo, anti-carro ed unità litoranee d’attacco rapido, sfruttando anche la topografia dell’isola: in gran parte montuosa, con poche spiagge adatte ad uno sbarco in forze.
Qualora le inesperte forze dell’Esercito Popolare di Liberazione cinese – l’ultimo loro impegno in combattimento risale al 1979, contro il Vietnam – dovessero comunque mettere piede sull’isola, i difensori sono preparati alla guerriglia; tanto nelle aree metropolitane più grandi – Tapiei e Tainan – quanto nelle regioni rurali e montane.
Tuttavia, le Forze Armate di Taiwan presentano una serie di problematiche non solo di inferiorità numerica, ma anche di carattere qualitativo: carri armati, pezzi di artiglieria e aerei per lo più sono vecchi, la Marina non possiede sottomarini moderni e le unità di superficie mancano di un adegiato numero di moderni sistemi radar e missilistici.
A livello di personale, fatta eccezione per un solido nucleo di eccellenti professionisti, vi sarebbero scarso addestramento e motivazione e i circa 80.000 coscritti che ogni anno vengono chiamati alle armi, nonché dei riservisti.
Riserva e Forza di Difesa Civile
Consapevoli delle debolezze della propria Riserva e Forza di Difesa Civile, le autorità dell’isola hanno iniziato a discuterne delle riforme ancora nell’aprile 2021.
Le Forze Armate di Taiwan, nonostante il tentativo di una loro totale professionalizzazione, a causa di problemi di arruolamento (carriere meno attrattive e remunerative rispetto al mondo civile e diffidenza verso le Forze Armate, considerate retaggio del passato autoritario del Paese) hanno optato per un modello ibrido: volontari e coscritti.
Attualmente i coscritti devono servire nelle Forze Armate per 4 mesi, per poi essere periodicamente richiamati – ogni due anni – come riservisti per 2 settimane, fino ai 36 anni di età. Un addestramento, il loro, ritenuto troppo breve ed inutile, con attività – spazzare foglie, strappare erbacce, guardare film o disegnare – assegnate unicamente per occuparli nei frequenti tempi morti.
La Riserva, il cui compito è quello di supportare le Forze Armate e di costituire una seconda linea di difesa in caso di invasione, è costituita da 1,657 milioni di uomini di cui solo 300.000 combat-ready; vale a dire che potrebbero immediatamente venire impiegati al fronte.
A gennaio la forza è stata riorganizzata sotto il coordinamento della All-Out Defense Mobilization Agency – Agenzia di Mobilitazione Generale della Difesa – che prenderà anche il controllo del sistema civile di difesa in caso di emergenza. Uno dei primi interventi è stato quello di aumentare la durata dell’addestramento periodico dei riservisti da una a due settimane a partire dal marzo scorso.
Riforme sono in cantiere anche per la Forza Civile di Difesa. Inquadrata sotto l’Agenzia di Polizia Nazionale, è costituita principalmente da persone che, pur avendo raggiunto o superato il limite di età della Riserva, vogliono comunque servire il Paese.
La Forza di Difesa Civile si occupa di allertare la popolazione in caso di attacco aereo, di dirigere evacuazioni e accessi ai rifugi, di attività di protezione civile e risposta a gravi emergenze, nonché di formazione della popolazione ad affrontare – non militarmente – attacchi e disastri naturali.
Resistenza spontanea
Le immagini di migliaia di cittadini ucraini richiamati in servizio nella Riserva o arruolatosi nelle Forze di Difesa Territoriale per combattere l’invasore russo hanno risvegliato anche lo spirito di resistenza dei taiwanesi.
Dall’inizio dell’Operazione Militare Speciale russa – complice anche la cosiddetta “ambiguità strategica” americana – il 73% degli abitanti dell’isola si è dichiarato pronto a combattere, non necessariamente inquadrato nelle Forze Armate o unità regolari.
Le richieste per corsi specifici sono cresciute del 50%; in certi casi con un numero di donne iscritte pari al 40-50% dei partecipanti. Più di 1.000 persone hanno seguito lezioni sulla difesa civile con la fondazione Open Knowledge Taiwan.
Altre hanno partecipato a seminari di primo soccorso, specificatamente dedicati a situazioni di calamità naturali o attacchi militari; come i 15 che il think tank Forward Alliance organizza ogni mese. Il fondatore, Enoch Wu ritiene che “il miglior modo di scongiurare un conflitto sia di dimostrare una credibile volontà nazionale di resistere”, combinando prontezza militare con preparazione civile.
Sono stati presi d’assalto corsi di softair, paintball ed addestramento al maneggio e all’uso delle armi da fuoco, con civili in completo assetto da combattimento, giubbotti antiproiettile e sistemi di comunicazione professionali.
Pur trattandosi, nella maggior parte dei casi, di armi ad aria compressa – viste le stringenti leggi locali sul possesso di armi – sono comunque realistiche, così come lo sono il loro maneggio e le tattiche insegnate.
Insomma, veri e propri addestramenti paramilitari che molti veterani ritengono più utili e stimolanti di quelli forniti dalle autorità a coscritti e riservisti. Iniziative private a parte, è fondamentale un coordinamento governativo al fine di evitare dispersioni di sforzi e risorse che possano far calare la motivazione dei cittadini.
Ad aprile, ad esempio, è stato pubblicato dal Ministero della Difesa Nazionale un manuale di difesa civile. In realtà, l’iniziativa è stata un flop. Contenente istruzioni base su ciò che i cittadini avrebbero dovuto fare in caso di guerra, con tanto di QR codes e hotlines per richiedere aiuto, il volume si è rivelato decisamente meno utile di tanti manuali di sopravvivenza già presenti in commercio.
Il Ministero lo sta, quindi, rivedendo e conta di renderlo nuovamente disponibile ancora quest’anno. Maggior successo è stato ottenuto dall’amministrazione comunale di Nuova Taipei a luglio, organizzando un’esercitazione su larga scala con il Ministero della Difesa ed il proprio servizio di emergenza.
Per la prima volta è stato inserito l’addestramento alla guerriglia urbana per testare la risposta dei soccorritori in caso di attacchi a stazioni ferroviarie o a porti.
Il coinvolgimento delle PMSC
Per consentire al Ministero della Difesa Nazionale di Taiwan di farsi carico dell’addestramento del personale di alcune Private Security Companies locali, in modo che possano rientrare nel sistema di difesa civile nazionale in tempo di guerra, sono stati proposti emendamenti al Private Security Service Act – Legge sul Servizio di Sicurezza Privata – e al All-out Defense Mobilization Readiness Act – Legge sull’Approntamento alla Mobilitazione Generale della Difesa.
Il personale di queste società private in realtà è già parzialmente formato ed impegnato in compiti di vigilanza a edifici residenziali, uffici commerciali, stazioni ferroviarie, cantieri, industrie, ospedali e centrali energetiche. Gli operatori conoscono il territorio e la popolazione e possono, pertanto, contribuire in maniera rilevante alla difesa del Paese.
Una delle proposte prevede di estendere l’Articolo 15 dell’All-out Defense Mobilization Readiness Act anche alle guardie di sicurezza private. Secondo tale articolo, infatti, in tempo di guerra le autorità devono integrare “professionisti, forze di difesa civile, vigili del fuoco volontari e personale di soccorso, così come studenti, veterani” e altre categorie di cittadini nei piani di difesa.
Gli emendamenti proposti sono indirizzati, attraverso un coinvolgimento diretto dei militari, ad implementare l’addestramento delle guardie di sicurezza private per poterle impiegare nel sistema di difesa civile in tempo di guerra.
Ad esse potrebbe essere affidato l’incarico di aiutare la popolazione a trovare rifugi antiaerei, ad accedervi ordinatamente, ad evacuare edifici residenziali e strutture commerciali o portare in salvo le persone, così come di vigilare infrastrutture più o meno sensibili o partecipare a vari livelli allo sforzo logistico e non solo.
Robert Tsao, 75enne taiwanese magnate della tecnologia, ha donato parte del proprio patrimonio personale per sostenere tale sforzo: 33 milioni di dollari per addestrare per 3 anni più di 3 milioni di “civilian warriors” per la difesa dell’isola in caso di invasione.
A fornire tale addestramento sarà la società Kuma Academy, nota anche come Black Bear Academy. Dei soldi donati da Tsao, 13 milioni di dollari sarebbero stati destinati all’addestramento di 300.000 marksmen o tiratori scelti. Non si è ancora compreso, però, se ad essere addestrati saranno riservisti che riceveranno ulteriore formazione, civili oppure entrambi.
Verso una vera e propria Forza di Difesa Territoriale?
Su War on the Rocks, sito di analisi e discussioni di strategia, difesa e relazioni internazionali è stato pubblicato un articolo di Michael Hunzecker, esperto di Taiwan e veterano di Iraqi Freedom e di Lee Hsi-min, ammiraglio in congedo della Marina della Repubblica di Cina.
Sullo sfondo di un annoso dibattito istituzionale sulle modalità per rendere le Forze Armate regolari di Taiwan maggiormente performanti, i due autori hanno ampiamente argomentato l’importanza di istituire anche una vera e propria Forza di Difesa Territoriale.
Secondo loro “la resistenza popolare può fare la differenza tra la vittoria o la disfatta di Taiwan in caso di attacco cinese” e “una forza […] credibilmente organizzata, addestrata ed equipaggiata può scombussolare i piani di Pechino, costituendo un pilastro fondamentale di deterrenza”.
L’idea è quella di creare una nuova branca delle Forze Armate a sé stante, sotto l’egida del Ministero Nazionale della Difesa e con un generale al comando.
Distinta dalla Riserva, il compito della Forza di Difesa Territoriale sarebbe quello di organizzare un’insorgenza prolungata che, attaccando la catena logistica del nemico, unità più vulnerabili o di supporto, possa rendere un’occupazione di Taiwan quanto più sanguinosa ed onerosa possibile per l’invasore.
Per quanto toccanti possano essere le mobilitazioni spontanee in tutta l’isola, infatti, è impensabile che privati cittadini diano, da soli, del filo da torcere all’Esercito Popolare di Liberazione cinese.
La creazione di una Forza di Difesa Territoriale, invece, deve essere uno sforzo massiccio per cui solo il Governo ha autorità e risorse a sufficienza; garantendo, inoltre, che tutto l’impegno profuso sia completamente integrato in uno schema olistico e stratificato.
Ad essere reclutati giovani – uomini e donne – su base volontaria, che si addestrino “part-time” e si mettano al servizio del Paese. Per sfruttarne una maggior motivazione nella difesa del proprio territorio, dovrebbero essere organizzati in unità geograficamente orientate, operanti vicino a casa.
Ogni unità, poi, dovrebbe essere costituita attorno ad un nucleo di uomini o veterani delle forze speciali e condurre assalti di squadra ed operazioni a livello di plotone. In termini numerici, una forza del genere non necessiterebbe nemmeno di una particolare consistenza: sono stati sufficienti 20.000 combattenti per logorare gli americani durante il primo anno del conflitto in Iraq!
Dovrebbe, quindi, essere dotata di armi leggere, missili anticarro Javelin o NLAW, missili antiaerei spalleggiabili Stingers, esplosivi, “tecniche” (veicoli tattici non-standard), ma anche droni, kit medici e sistemi di comunicazione satellitare per coordinarsi con il resto delle unità convenzionali.
Fondamentale l’addestramento per, sostanzialmente, dei “combattenti part-time” con poco tempo a disposizione: altamente specializzato e mirato a rendere ogni unità in grado di operare autonomamente ed efficacemente.
Una particolare attenzione dovrebbe essere dedicata anche alla infowar, documentando prontamente il reale andamento dei combattimenti e denunciando qualunque crimine commesso dagli occupanti per accattivarsi il sostegno dell’opinione pubblica internazionale. Come diceva Mao Zedong: la macchina da stampa è l’arma più importante della guerriglia!
All’inizio di un’invasione i cittadini della Forza di Difesa Territoriale dovrebbero presentarsi alle infrastrutture militari di riferimento, ritirare armi ed equipaggiamenti e ritornare alle proprie case. Dopo aver permesso alle unità d’assalto e corazzate nemiche di avanzare e prendere, eventualmente, il controllo di aree urbane, inizierebbero a condurre una campagna d’insorgenza prolungata, con azioni mordi e fuggi contro la catena logistica per seminare il caos: attacchi a convogli di rifornimenti, depositi e posti di comando per poi concentrarsi sulle truppe.
In tempo di pace la Forza di Difesa Territoriale potrebbe, comunque, partecipare ad attività di assistenza umanitaria e di soccorso durante calamità naturali; come nel caso dei tifoni e terremoti che interessano l’isola di sovente.
Alcune considerazioni
L’idea di addestrare civili a difendere il Paese e le proprie case non è certamente una novità. Negli ultimi anni, però, diversi Paesi confinanti con la Russia come Estonia e Finlandia vi hanno mostrato un rinnovato interesse.
In Polonia, ad esempio, l’Esercito ha recentemente annunciato corsi di addestramento di un giorno al maneggio armi, tiro, combattimento ravvicinato e cartografia offerti a tutti i cittadini tra i 18 e 65 anni, nei sabati di ottobre e novembre. Ad agosto si è parlato di corsi simili, addirittura, per gli studenti delle scuole superiori a partire da settembre.
Una Forza di Difesa Territoriale ben organizzata ed equipaggiata può rendere il prezzo di un’invasione eccessivamente oneroso, oltre a mandare un forte segnale di risolutezza e di identità nazionale.
La risolutezza da sola, però, non è sufficiente. Per funzionare la deterrenza deve poggiare, oltre che sulla volontà di combattere di un popolo, anche sulla sua capacità di costituire una minaccia credibile grazie alle possibilità economiche, politiche e militari.
L’attuale accozzaglia di milizie e gruppi di difesa civile di Taiwan si trova in uno stato di assoluta impreparazione e, seppur importanti ed apprezzabili, gli attuali sforzi di riforma sono ancora insufficienti. Difficilmente, inoltre, una Forza di Difesa Territoriale troverà molto supporto al Ministero della Difesa di Taiwan che, storicamente, ha sempre progettato di contrastare un’invasione cinese con le forze convenzionali.
Perciò è probabile che le riforme in corso continueranno ad interessare esclusivamente la Riserva, indirizzandola verso un modello operativo più di supporto diretto alle Forze Armate, seguendo il modello degli Stati Uniti.
Qualunque strada si dovesse percorrere, già il fatto che vi sia un dibattito su argomenti una volta considerati tabù – tra cui l’estensione del periodo di servizio dei coscritti e dei riservisti – dimostra quanto a fondo la guerra in Ucraina abbia smosso coscienze ed abitudini a Taiwan.
Il popolo taiwanese si è attivato ed è disposto a giocare un ruolo importante nella propria difesa; l’unica scelta sbagliata sarebbe quella di sprecare lo slancio che la guerra in Ucraina ha generato. Per quanto riguarda l’impiego di Compagnie Militari e di Sicurezza Private, i vantaggi per Taipei rientrano nella norma di una più ampia casistica globale degli ultimi anni e/o decenni.
Innanzitutto l’ufficiosa presenza di truppe americane a Taiwan, presumibilmente per scopi addestrativi, che ha provocato proteste cinesi ed alimentato l’attuale escalation si sarebbe potuta evitare.
Impiegando dei contractors, infatti, si sarebbe potuto esercitare un’opzione di negabilità plausibile su ingerenze straniere. Allo stesso tempo si sarebbe ulteriormente alimentata anche quella strategia di “ambiguità” su Taiwan che, a parte qualche recente dichiarazione del presidente Biden su di un impegno diretto di truppe americane in caso di attacco cinese, Washington ha da sempre deciso di mantenere.
Facendo ricorso a contractors e PMSC – stranieri e non – Taiwan potrebbe, inoltre, accrescere rapidamente numero e livello qualitativo delle proprie forze di difesa. Una sorta di “democratizzazione della partecipazione ai conflitti”; una più facile trasformazione del potere economico in potenza militare che consente a Paesi con forze armate inesperte o con pochi effettivi di acquisire rapidamente sul mercato ciò di cui hanno bisogno, stravolgendo rapporti di forza e la necessità di stringere alleanze.
I Paesi arabi ne rappresentano l’esempio più lampante: grazie alla propria ricchezza sono da sempre ricorsi a mercenari e/o Compagnie Militari e di Sicurezza private per rinfoltire i propri ranghi.
Le guardie private funzionano anche da moltiplicatori di forze. Sgravate da incarichi secondari, le Forze Armate possono concentrarsi sui combattimenti o altre attività “più” militari. Basti pensare che solo G4S, multinazionale della sicurezza privata presente a Taiwan da più di 20 anni, conta almeno 3.000 dipendenti: un discreto contingente da poter impiegare all’occorrenza!
I contractors consentono, inoltre, di ridurre un eventuale bilancio ufficiale dei caduti agli occhi della propria opinione pubblica; un vantaggio decisamente non da sottovalutare in una società benestante, sviluppata e tradizionalmente diffidente verso le Forze Armate come quella taiwanese. Figuriamoci, quando si tratta di body count!
Il sorprendente successo delle Forze Territoriali di Difesa ucraine dovrebbe aver fatto abbandonare il preconcetto che “cittadini-soldato” o “part-time” non possano avere un ruolo nei moderni conflitti.
La citazione “non si possono invadere gli Stati Uniti. Ci sarebbe un fucile dietro ogni filo d’erba”, erroneamente attribuita all’ammiraglio giapponese Isoku Yamamoto, quindi, sembra aver riacquisito una certa importanza. Perlomeno, diversi analisti e think tank taiwanesi così auspicano!
Che quei fucili, poi, siano di truppe regolari, di unità di difesa territoriale, di contractors o di privati cittadini, nulla o poco cambia per Taiwan.
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