Sinistra per Conte: l’agguato della palude camarina
di La Fionda (Matteo Bortolon)
Il 22 ottobre si è tenuta a Roma un’assemblea ampiamente partecipata, patrocinata dagli ex parlamentari Stefano Fassina e Loredana de Petris, per costituire un coordinamento di sostegno al Movimento 5 Stelle da una prospettiva più specificamente di sinistra. Il titolo dell’incontro era Verso il polo progressista, ed il nascente soggetto che l’ha lanciato si chiama Coordinamento 2050. Civico, ecologista e di sinistra.
Gli interventi che si sono succeduti per oltre 4 ore sono stati di militanti e attivisti critici del Partito Democratico – e ovviamente della coalizione di destra di Giorgia Meloni – che non hanno aderito alle forze più antagoniste di Unione Popolare. Ci sono persone di assoluto spessore, e pare inadeguato bollare il tutto come un riposizionamento opportunistico.
Dà un effetto singolare sentire persone di tale provenienza riporre tante speranze nel M5S e nel presidente Conte. Chi ha memoria ricorda bene gli attacchi, talvolta scomposti ed irragionevoli – oltre a molti altri assai più condivisibili – rivolti al tempo al MoV, ben prima della alleanza governista con la Lega, al punto di considerarlo qualcosa come nuovo fascismo, il fetido populismo qualunquista. Nel periodo di emersione di tale soggetto, quando era oramai plateale la connivenza fra destre berlusconiane e progressismo piddino nel sostegno al dispositivo di spietata austerità coronata dal governo Monti e di schietto classismo a tutela delle banche e dei poteri forti garantiti dalle cancellerie europee e dalla Commissione, il tiro al M5S sembrava diventato lo sport preferito di alcuni commentatori sedicenti di sinistra. Dai discutibili parallelismi con l’Uomo Qualunque di Giannini, alle accuse di criptofascismo e xenofobia, ai rilievi di eccessivo verticismo decisionale (in larga parte vero, allora, ma si può considerare il Pd qualcosa di diverso da una oligarchia correntizia che si autoperpetua calpestando il proprio statuto?), e simili. Qualcuno potrà ricordare che dieci anni fa (non quaranta) in diversi ambiti coloro che erano orientati per una valutazione del MoV con una certa apertura di credito vennero severamente isolati.
Perciò pare singolare che Conte, sotto cui il M5S ha governato assieme a Salvini prima e col Pd poi, e che ha poi aderito alla maggioranza guidata dal più velenoso e ributtante apostolo delle oligarchie e dei ricchi, Mario Draghi, sia diventato un riferimento di quest’area.
È senza dubbio una inversione di rotta di una certa area, da accogliere con pieno rispetto; essa, in generale più attrezzata culturalmente rispetto a formazioni più antagoniste ma gruppettare, e politicamente un po’ meno erratica, quanto meno non ha proposto a Conte una alleanza per rivolgergli accuse velenose subito dopo aver ricevuto un rifiuto.
Bisogna però valutare nel merito il contenuto dell’iniziativa, che non possiamo giudicare del tutto positivamente. Iniziando dall’obiettivo specifico: posto che valutare il M5S più a sinistra del Pd (qualcunque cosa esattamente si intenda: più orientato ai lavoratori, all’eguaglianza, ecc.) è un approdo auspicabile, non è del tutto chiaro a cosa serva un coordinamento. “Iniziare un percorso”, aiutare il profilo progressista del M5S; sono comprensibili, ma perché non iscriversi direttamente al MoV se questo ha un profilo politico avanzato o solo promettente? Un percorso dovrebbe avere una direzione, cioè un qualche fine specifico.
Sentendo i vari interventi si sentono snocciolare temi importanti e ricorrrenti: il lavoro, la sanità, l’ambiente, la guerra, la democraticità del sistema politico (legge elettorale), ecc. Gli obiettivi polemici sono il Pd, le cui contraddizioni non solo dell’era renziana vengono sviscerate e il nascente governo di destra di Giorgia Meloni. È quindi comprensibile che il partito di Conte sia più accettato di quanto lo sarebbe stato mai il grillismo delle origini, che aveva una postura ideologica ancora incerta e indecifrabile.
Intendiamoci: quasi tutti gli interventi dicono cose ragionevoli e più che condivisibili – molto incisivo quello di Maurizio Brotini e di Moni Ovadia, fra gli altri. Solo che siamo nella solita cornice progressista e non si va un passo al di là. Rigettare il Pd è cosa buona e giusta, ma questa base basta?
Entriamo nello specifico. Per capire quel che non va entriamo nel non detto. Fino al discorso di Conte nessuno nomina l’Ue. Lui lo fa denunciandone – giustamente – l’inanità geopolitica, e richiamando la necessità di un protagonismo senza la subordinazione agli Usa. E l’austerità, l’euro, il Patto di Stabilità, il MES? Nulla. Solo nel penultimo intervento, per bocca di Tommaso Nencioni sentiamo evocare, di fronte all’uditorio, già carico di quasi quattro ore e mezzo di interventi, il vincolo esterno in tono critico.
Nel “decennio populista” 2010-19 il M5S ha robustamente capitalizzato il malanimo contro le istituzioni comunitarie, ponendosi come avversario di tutto l’arco parlamentare (salvo qualche frangia trascurabile, destinata a diventare meteora nei sondaggi) che le considerava come un totem indiscutibile. L’Europa come destino, l’euro come grande conquista, gli equilibri di bilancio come vincoli inderogabili. Poi, al sorgere di un competitor su tale fronte (la Lega di Salvini), il MoV con l’emergere del ruolo di Giuseppe Conte ha gettato alle ortiche tutto ciò (praticamente senza dibattito interno!) e dall’oggi al domani si è scoperto europeista associandosi al Pd nel Conte II. Dal settembre 2019 al febbraio 2021 i due soggetti hanno proceduto mano nella mano, fino al “peccato mortale” di mettere in discussione la (assai evanescente) agenda Draghi.
Ue ed euro non sono i soli problemi. Altri temi fondamentali sono il concetto di sovranità dello Stato ed il suo ruolo come motore di sviluppo; la declinazione democratica di quello di nazione; l’energia rinfrescante di un populismo come elemento per reincontrare i ceti subordinati ed unire le lotte dal basso; e l’importanza della moneta e della banca centrale per il controllo politico dell’economia, sottraendolo ai mercati.
Una acquisizione che pare difficile considerare reversibile è che senza recuperare questi temi, anche gli altri, sbandierati molto più facilmente in campo progressista – welfare, lavoro, eguaglianza – non possono essere assunti seriamente, perché la centralità della concorrenza come elemento di regolazione sociale inficia e distrugge la solidarietà e la coesione sociale. In diversi interventi si fa menzione del fatto che i ceti meno abbienti andrebbero recuperati sul piano economico, del welfare; ma come si fa se vengono attuati restrizioni di bilancio come nel periodo pre-Covid? Come difendere i diritti sindacali in una economia export-led in cui la compressione salariale, in assenza di robusti investimenti, è la più facile leva per essere competitivi? Come garantire servizi pubblici efficienti e a basso prezzo se gli appetiti dei settori imprenditoriali che mirano a mungere la vacca del partenariato pubblico-privato possono fare sponda con la Ue che mette la concorrenza sopra a tutto?
Oggi l’emergenza è il deterioramento economico dovuto ai prezzi dell’energia e la guerra. In questa situazione i temi Ue-euro-sovranità ecc. possono essere messi fra parentesi? La risposta è: dipende dall’obiettivo. Uno dei punti più divisivi è diventato, curiosamente, il reddito di cittadinanza. Nella maggioranza ci sono spinte chiare per eliminarlo o ridurlo notevolmente, il Pd dopo averlo avversato alla sua nascita si è ridotto a proporsi come suo difensore (dopo aver constatato che le folle non andavano in estasi per l’agenda Draghi), il M5S può giustamente rivendicarlo. Tale strumento effettivamente si è dimostrato necessario per tenere a galla parte del paese, come indicano ricerche dell’INPS, assieme ad altri strumenti improvvisati dal Conte II.
Questa agenda può essere un punto valido per una convergenza contingente. Nella vita politica si sono fasi in cui è indispensabile fare sponda con chi c’è. La purezza ideologica deve dare spazio al realismo e alla responsabilità di convergere verso fini comuni, soprattutto se la posta in gioco è significativa sul versante sociale. Per una alleanza più strutturata, quale pare evocare il proposito di costruzione di un “polo progressista” occorre di più. Occorre un approccio analitico che indichi da un lato una lettura della società funzionale alla sua trasformazione, dall’altro la possibilità di costruire un consenso popolare funzionale ad essa. In base ad esse ci si può porre obiettivi e pure dei salutari paletti. Il punto è: il Pd potrà far parte o associarsi a tale polo, e nel caso su quali basi e con quali condizioni? Il MoV non lo ha rigettato, è stato Letta ad evitare l’alleanza in nome della “agenda Draghi” (una mossa di così gigantesca inettitudine da lasciare inebetiti, fra l’altro); Conte, se i sondaggi spingeranno il Partito Democratico a tornare verso di lui con la coda fra le gambe, che farà? E se la nomenclatura piddina capisce che il sostegno talebano alla NATO si va rivelando catastrofico la spingerà a mettervi la sordina? Ammazzerà il vitello grasso al ritorno del figliuol prodigo? E se ciò avvenisse con una riedizione della maggioranza del Conte II, la sinistra del Coordinamento 2050 accetterebbe i miasmi di tale palude Camarina presumibilmente guidata dalla nuova stella Elly Schlein o dal presidente Bonaccini (freschi di una esperienza di governo della Regione Emilia-Romagna non proprio rivoluzionaria)? Senza una risposta chiara e motivata l’intero percorso appare un azzardo pericoloso. Nel dibattito diverse volte si è evocato il reddito di cittadinanza e il Decreto dignità come baluardi da difendere, ma occorrerebbe ricordare che il M5S lo ottenne nel Conte I contro il Pd guidato allora da Maurizio Martina (non più dall’indigeribile Renzi).
L’ex parlamentare Stefano Fassina, promotore dell’evento e del percorso che da esso prende le mosse, afferma che occorre sciogliere gli ormeggi perché “sinistra è chi sinistra fa” (richiamandosi, umoristicamente, a Forrest Gump). Giusto. Ma invece che prendere il largo, la sua area si allontana tranquilla ma ben in vista del porto in cui riparare alla bisogna. Il motivo è questo: non è dal Pd che occorre allontanarsi ma dall’intento di intestarsi, sotto Conte o altri, uno spazio politico “progressista” o “di sinistra” cementato da un collante di temi identitari-culturali e non da una impostazione i cui paletti di esclusione corrispondano a saldi clivage sul terreno dei diritti economico-sociali, dei salari, della democrazia reale, delle prerogative parlamentari, ecc. Altrimenti si resta “in area” con un azzardo che può pure trasformarsi in piano inclinato. Non vorremmo ritrovare – una volta rotolati a valle – comodamente accomodati nel costituendo “polo progressista” i renziani che hanno difeso il Jobs Act o i progressisti che adesso si sono fatti l’altarino della NATO cui offrire incensi e offerte votive. Questo magari no.
Fonte: https://www.lafionda.org/2022/11/04/sinistra-per-conte-lagguato-della-palude-camarina/
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