La guerra di Putin: l’imbarazzo delle repubbliche ex sovietiche
di AVANTI! (Lucia Abbatantuono)
La guerra di Putin contro l’Ucraina ha messo in imbarazzo le repubbliche dell’Asia Centrale. Indipendenti dal 1991, Kazakistan, Kirghizistan, l’Uzbekistan, Tadjikistan e Turkmenistan mantengono stretti rapporti con Mosca, pur coltivando buone relazioni con Kiev. Nell’arena ONU, al momento di votare le risoluzioni di condanna dell’aggressione armata russa, questi paesi hanno tutti mostrato una prudente posizione di neutralità: i loro leader si sono astenuti o non hanno neanche presenziato al voto. Ma dietro la loro facciata unitaria, le loro singole percezioni del rischio assumono varie sfaccettature. I vertici politici di Turkmenistan e Tadjikistan, temendo di allinearsi a Putin che garantisce la loro sicurezza ai confini con l’Afghanistan, si sono guardati bene dal rilasciare la minima dichiarazione. Il Kirghizistan si è invece mostrato più ballerino: dopo le prime concessioni agli attacchi russi, il paese ha finito col riconoscere a Kiev il diritto di stato sovrano di gestire autonomamente la propria politica estera.
Uzbekistan e Kazachistan, forti di una grande presenza di russi nei loro territori settentrionali, sono tutt’ora gli Stati più schierati a favore dell’Ucraina, confermando così la posizione già presa nei riguardi di Putin nel 2014, al momento dell’annessione russa della Crimea.
Quando Mosca ha, di recente, cercato di arruolare i lavoratori stagionali originari dell’Asia Minore, tutti i cinque paesi hanno ricordato ai loro espatriati che servire in un esercito straniero li avrebbe esposti alla condanna della reclusione una volta rientrati nei propri paesi.
Sul piano della sicurezza, la Russia ha legami molto forti con Kazachistan, Kirghizistan e Tadjikistan. Si tratta di paesi che, insieme a Bielorussia e Armenia, hanno stretto con Mosca nel 2022 un patto di difesa reciproca in caso di attacco straniero. Questo patto ha dato vita all’organizzazione del trattato di sicurezza collettiva (OTSC) nel cui ambito la Russia è autorizzata a mantenere alcuni suoi siti strategici in ciascuno degli altri stati membri, come le basi militari in Kirghizistan e Tadjikistan, o come l’aerodromo militare con annessa stazione radar e il centro missilistico antibalistico in Kazachistan.
L’Uzbekistan ha invece lasciato l’OTSC nel 2012, nonostante avesse contribuito attivamente alla sua creazione, e rifiuta tuttora di rientrarvi.
Il Turkmenistan, da parte sua, sembra essere lo stato più legato a Mosca: nel 2017 ha siglato con Putin un partenariato strategico contente accordi difensivi multipli, cosicché oggi centinaia di soldati russi sorvegliano la frontiera turkmeno-afghana.
Se l’OTSC rischia di essere (a somme fatte) un potenziale vettore di ingerenze russe in Asia Minore, che oltrepassano le velleità tecnicamente militari, un’altra organizzazione regionale consente a Putin di influenzare militarmente l’intera Asia Centrale: si tratta della OCS, l’organizzazione di cooperazione di Shangai. Stabilita nel 2001, vi aderiscono tutti i paesi dell’Asia Centrale tranne il Turkmenistan, più China, India, Pakistan, Iran e (ovviamente) Russia. Nel suo contesto, sui territori dei partner si svolgono non solo regolari esercitazioni belliche ma anche manovre congiunte con finalità antiterroristiche e antidroga, ma soprattutto funge da teatro preferito per Mosca, che la utilizza ormai come piattaforma di dialogo allargato per un vero fronte antioccidentale.
Tuttavia, quando i leader dei paesi OCS si sono riuniti lo scorso settembre a Samarcanda, Xi Jinping, Erdogan e Modj – il premier indiano – hanno fatto un appello a cessare le ostilità in Ucraina, chiamando a gran voce una soluzione diplomatica degli scontri: un chiaro segnale di volontà emancipatrice nei riguardi di Mosca, che mal nasconde altri espedienti già realizzati per indebolire l’onnipotenza regionale russa. Del resto, Pechino ha in corso trattative ad hoc con Kazachistan e Turkmenistan per siglare nuove e biunivoche alleanze militari, unitamente a specifici accordi economici su petrolio e gas naturale. Inoltre, periodiche retate antidroga si svolgono da tempo tra Cina e Kirghizistan e Tadjikistan.
Senza dimenticare i costanti rifornimenti d’armi che dalla Cina raggiungono regolarmente il Turkmenistan, tra cui un ultramoderno (e ultracostoso) sistema di difesa antiaerea.
L’interesse cinese per la sicurezza e la stabilità dell’Asia Centrale non potrebbe essere più palese.
Interesse identico a quello nutrito da Erdogan: se fino allo scorso febbraio la Turchia si limitava a cooperazioni culturali ed economiche con i paesi turcofoni dell’Asia Centrale, oggi la dimensione è anche militare. In meno di tre mesi, durante la scorsa primavera, Ankara ha chiuso un trattato di partnership strategica contenente prossimi piani difensivi militari con l’Uzbekistan, un accordo quadro di cooperazione militare con il Tadjikistan e soprattutto un trattato strategico col Kazachistan, che prevede non solo manovre militari congiunte ma anche l’attivazione di una fabbrica di droni ANKA (leader nel settore) in area kazaka.
Quando due mesi fa ad Astana, nel summit tra Russia e paesi dell’Asia Centrale, il presidente tajiko ha richiamato Putin a rispettare i “piccoli paesi” , molti hanno notato accedersi la spia evidente di un malcontento ormai generale che accomuna i protagonisti sulla scacchiera centroasiatica: a Mosca si chiede non solo meno imperialismo ma anche più attenzione nel difendere una regione che potrebbe avere ben maggiore risalto nelle prossime decisioni di equilibrio mondiale.
Se Mosca nicchia, Pechino e Ankara agiscono già. E Washington non starà ancora a lungo alla finestra.
Fonte: https://www.avantionline.it/la-guerra-di-putin-e-limbarazzo-delle-repubbliche-dellasia-centrale/
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