BCE & MES/ “Non aspettiamo l’Europa, risolviamoci la crisi da soli: ecco come”
di IL SUSSIDIARIO (Lorenzo Torrisi, Gustavo Piga)
Il problema dell’Italia è la sua bassa crescita. Occorre reperire risorse per lo sviluppo con una vera spending review che elimini gli sprechi
Torna a far capolino nel panorama politico e mediatico italiano la ratifica del Mes, con nuove proposte per modificare la natura e le funzioni del Meccanismo europeo di stabilità. Questo pochi giorni dopo gli appelli e le richieste da parte italiana alla Bce per rivedere le sue scelte di politica monetaria. Secondo Gustavo Piga, professore di economia politica all’Università Tor Vergata di Roma, siamo però di fronte ad “armi di distrazione di massa per cercare di mettere sotto il tappeto qualcosa che è ormai difficile nascondere”.
Cosa intende dire?
Possiamo discutere quanto vogliamo se sia corretto o meno alzare i tassi in un momento in cui l’inflazione ha natura principalmente esogena ed è diversa da quella degli Stati Uniti, ma ormai la Bce ha scelto di perseguire una politica monetaria restrittiva che certamente non ci aiuta, visto anche che se aumenta la spesa per interessi bisogna tagliarne su altri capitoli per lasciare inalterato il deficit su Pil. Si parla anche del Mes, che ritengo uno strumento inutile per curare i problemi dell’Italia, ma mi fa sorridere chi evidenzia che corriamo il rischio di essere obbligati a fare una politica fiscale restrittiva: in realtà la stiamo già facendo visto che tra le condizioni del Pnrr c’è anche quella di un percorso di rientro del deficit che, come ci hanno mostrato i Governi Conte, Draghi e Meloni, purtroppo stiamo passivamente seguendo. Il che è ancora più folle visto che nel 2023 ci troveremo ad affrontare un momento di recessione gravissima.
Secondo il Governo, il 2023 si chiuderà con un Pil in rialzo…
La stima di una crescita del Pil dello 0,6% è poco plausibile. In realtà, registreremo una recessione, oltretutto quando il Pnrr sarà al pieno delle sue forze. Questo perché non sappiamo spendere bene le risorse e in tempo. È un segnale chiarissimo della necessità di un cambiamento profondo. I mercati ci considerano un Paese rischioso, con un debito su Pil molto alto, ma secondo me abbiamo un Pil su debito molto basso, nel senso che il vero problema dell’Italia è che cresce troppo poco. È inutile, quindi, andare a solleticare Francoforte, occorre lasciare da parte le armi di distrazione di massa e parlare finalmente di questo problema e di come risolverlo, soprattutto in un momento di recessione che colpisce le fasce più deboli, visto che l’inflazione aumenta il divario tra ricchi e poveri.
In effetti, aumentano soprattutto i prezzi relativi a spese incomprimibili, come gli affitti, i beni alimentari e le bollette, dunque chi guadagna meno non ha scampo.
Il rischio è che si inneschi un pericoloso conflitto sociale. Per questo occorre che si parli non di politica monetaria, ma di quella fiscale, che ancora in parte, visto che siamo condizionati dal Patto di stabilità e crescita e dal Pnrr, è nelle nostre mani. È ovvio che non si può semplicemente dire che la politica fiscale che dobbiamo perseguire è quella mirata alla riduzione del deficit, perché non è quella che serve al Paese per rimettersi sulla via della crescita e quindi dell’abbattimento del debito su Pil. Occorre trovare risorse per aiutare l’economia, soprattutto chi è più fragile, e se non siamo capaci di ottenere in maniera negoziale risorse con deficit più ampio per finanziare investimenti pubblici, allora c’è un’unica cosa da fare.
Quale?
La spending review. Dovunque si guardi si vede chiaramente che questo Paese spende male. Il Governo ha davanti cinque anni e sono convinto che se presentasse un piano per cambiare completamente il concetto di Pubblica amministrazione, ciò avrebbe effetti enormi sia interni che esterni, verso l’Europa e i mercati. Deve cambiare il patto sociale tra cittadini e Pa, il Governo deve comunicare che non intende spendere meno, ma rivoluzionare il modo in cui si spende, andando a cercare ed eliminare tutti gli sprechi, utilizzando poi le risorse reperite non per ridurre il debito, ma per fare tutto quello che occorre per avere una Pa a servizio dei cittadini e per far crescere l’economia. Il Governo rischia di avere vita breve non a causa dell’Europa, ma perché il Paese non tiene più. Occorre fare la madre di tutte le riforme che genera una marea di risorse per lo sviluppo.
Di spending review si parla da anni, ci sono stati anche commissari, ma i risultati sono stati piuttosto deludenti.
L’unica cosa che io ho visto in questi anni, in realtà, è stato un progetto che nulla ha che vedere con la spending review, ossia quello dei tagli indiscriminati alla Pa. L’idea era quella di ridurre il pubblico, visto come qualcosa di negativo, per lasciare posto al privato. Questo schema non ha portato da nessuna parte e i commissari sono stati presi in giro perché gli sono stati nel tempo affidati una decina di funzionari per coordinare sforzi assolutamente inutili: stiamo parlando, infatti, di una battaglia fondamentale, di una rivoluzione organizzativa che deve essere condotta in prima persona dal presidente del Consiglio, con ampie risorse per controlli, perché c’è una vasta disponibilità di dati utili per individuare gli sprechi. Una volta trovati e denunciati i primi, saranno le stesse amministrazioni pubbliche a mettersi immediatamente in riga. Ovviamente va portata avanti anche una battaglia contro la corruzione.
Sta parlando di un’operazione lunga e complessa da portare a termine, ma, come evidenziava prima, le risorse per lo sviluppo servirebbero subito…
Gli sprechi si annidano principalmente su appalti e stipendi. Intervenire sulla seconda voce, che ha a che fare con la produttività della Pa, è un’operazione che richiede più tempo, mentre sulla prima si può, a mio avviso, agire più rapidamente con una semplice rivoluzione della governance, in modo che non sia frammentata come oggi, ma nemmeno centralizzata come vorrebbe qualcuno, perché gare troppo grandi andrebbero a penalizzare enormemente l’importantissimo patrimonio di piccole imprese che generano competitività e Pil.
Qual è allora il sistema di governance migliore?
Il nuovo codice degli appalti di tutto questo purtroppo non parla, ma servirebbe un sistema con un centinaio di stazioni appaltanti che riflettono il territorio, quindi una per provincia, cui dare le poche necessarie risorse per attirare e assumere le persone più competenti. A quel punto, grazie anche a una collaborazione tra queste stazioni appaltanti, si potrebbe immediatamente e costantemente trasformare quel 15% di Pil di spesa per gli appalti, una cifra immensa, in sviluppo.
Quante risorse si possono reperire dalla riduzione degli sprechi in una voce di spesa così importante come quella per gli appalti?
Gli studi rigorosi dicono che c’è uno spreco del 20% su questa voce di spesa, dunque il 3% di Pil, circa 60 miliardi di euro. Chiaramente è molto difficile recuperarli tutti subito, ma se anche si arrivasse solo a un quinto ogni anno, ci sarebbero già 12 miliardi l’anno per i prossimi cinque anni. Se a ciò aggiungiamo l’effetto positivo di credibilità sui mercati che una rivoluzione di questo tipo potrebbe portare, che potrebbe tradursi in una riduzione dello spread, si potrebbero liberare altre risorse da destinare a investimenti sul territorio: sanità, scuole, università, forze dell’ordine, riassetto idrogeologico del Paese. Sarebbe facile a quel punto passare da una recessione a un Pil in territorio positivo.
Vuol dire che andranno riviste anche alcune priorità di spesa. Dopo la Legge di bilancio continuano a esserci richieste per sostegni, aumento delle pensioni, riduzione del cuneo fiscale…
Tutte queste manovre, alcune emergenziali o una tantum, non risolvono il problema della bassa produttività che continua a scendere. Sei nei primi anni Duemila l’Italia rappresentava il 18% del Pil europeo, oggi siamo arrivati al 12%.
Nel frattempo non bisognerà comunque trascurare i tavoli europei in cui si discuterà anche di riforma del Patto di stabilità e crescita.
Sì, ed è evidente che, un po’ come sta facendo ora col Mes, l’Italia dovrebbe evitare di dare il proprio assenso alla riforma del Patto di stabilità finché non ci saranno regole più intelligenti. Chiaramente se cominciasse a rivoluzionare il modo in cui spende, l’Italia sarebbe più credibile e potrebbe chiedere un percorso di rientro del deficit molto più flessibile. Credo sia importante, in ogni caso, comprendere che dobbiamo risolverci noi il problema della nostra scarsa crescita senza aspettare di ottenere qualcosa dall’Europa. E con un Governo che ha prospettive di medio periodo ritengo che questo lo si possa fare.
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