Gazebo, voto online… ma davvero serve questo al PD per ritrovare se stesso?
di STRISCIA ROSSA (Oreste Pivetta)
“Io ho viste cose che voi umani non potreste immaginarvi. Navi da combattimento in fiamme al largo dei bastioni di Orione. E ho visto i raggi B balenare nel buio vicino alle porte di Tannhäuser. Tutti quei momenti andranno perduti come lacrime nella pioggia. È tempo di morire”. Citazione, facile, dal celeberrimo film di Ridley Scott e dal celeberrimo romanzo del grande Philip K.Dick. Frase memorabile che ci siamo ripetuti, nel tono giusto, tante volte. Solo che per noi, mediocri terrestri di sinistra, non ci sono di mezzo i bastioni di Orione o le porte di Tannhäuser. Siamo solo intristiti, sconcertati, depressi, a veder cose che non ci saremmo mai immaginati, a scrutare il Pd e il suo “tempo di morire”, perché, purtroppo i sondaggi li leggiamo e i sondaggi saranno un po’ farlocchi, qualcuno calcherà la mano, giornali o giornalacci della destra se la rideranno, ma certi numeri qualche fondamento lo avranno e se ormai si gravita attorno al quattordici per cento qualcosa significherà e qualcosa di brutto dobbiamo davvero attenderci.
I Magnifici Sette (che sono quattro)
Ci sentiamo sparsi e impotenti, in attesa che arrivino i nostri, che i “magnifici sette” ci restituiscano coraggio, voglia di combattere, orgoglio, consensi, simpatie e poche parole chiare per i disoccupati, per i giovani, per i vecchi malati, per l’aria inquinata. Peccato che i nostri magnifici sette siano solo quattro e che abbiano pensato prima che a guidare le truppe (che per miracolo non mancherebbero) a discutere se si debba o no accedere al voto on line o rimanere fermi ai tradizionali gazebo. Bel quesito quello posto dalla quarantenne Elly Schlein, già iscritta, poi cancellata, reiscritta all’ultimo minuto per poter partecipare alla gara: on line e gazebo, on line o gazebo? Conclusione della Direzione con l’intesa: online a scartamento ridotto, cioè riservato a disabili, malati, residenti all’estero. Con autocertificazione…,
Alcuni, nella Direzione, si sono sottratti al lacerante interrogativo. Così come è successo probabilmente alla maggioranza dei militanti del Pd, quelli che ancora tengono aperti i circoli, quelli che organizzano le feste dell’Unità, che distribuiscono i volantini e altro materiale di propaganda quando si tratta di andare alle urne (quelle vere), che gestiscono il tesseramento e la raccolta dei contributi, quelli che s’appassionano ancora a parlare di case popolari, di affitti, di lavoro, dei medici che non si trovano, del 25 Aprile e della Costituzione, militanti, tesserati, ai quali dell’on line non gliene frega proprio niente. Il 26 febbraio – la data delle primarie, come deciso – andranno ai gazebo, raccoglieranno le schede, considereranno questa consultazione un bel momento di “mobilitazione” e penseranno: finalmente ci facciamo vedere, dopo tanto silenzio, dopo tanto occultamento, dopo tante liti siamo al traguardo.
Ricorrere alla novità che corre nell’etere, alla scuola dei precursori grillini, è ovviamente lecito, ma forse non si sarebbe dovuto aspettare l’ultimo minuto, perché non si dovrebbe mai cambiare le regole a partita cominciata, perché non si dovrebbe confondere le acque scambiando modernità ed efficienza con l’interesse di parte (chi favorirà l’online?). Senza contare che allestire un’elezione on line non è semplice, è costoso, chiede tempo e non dà garanzie assolute (avendo partecipato a numerose consultazioni di quel genere, sono anche a conoscenza di tanti ricorsi presentati ai tribunali e non vorrei assistere all’invasione del Nazareno stile Bolsonaro per una disputa sui conteggi, come è già accaduto ai tempi di OccupyPd proprio a Bologna).
Astensionismo devastante
Dal 25 settembre scorso, siamo però solo ad una puntata, non siamo alla fine del teleromanzo, cioè al congresso di un partito che avrebbe dovuto cominciare il giorno dopo a riflettere e a discutere sulla via per tornare in prima fila allora, considerando l’esito elettorale disastroso, i contenuti della propria campagna elettorale, la politica delle alleanze, guardando anche al passato meno vicino, perché quel passato sta a spiegare un astensionismo devastante (di cui ovviamente non è l’unico colpevole), astensionismo che deprime le ragioni stesse della democrazia. Invece la parte del Pd sembra ancora quella del pugile suonato che aspetta il gong per tirare il fiato, senza sapere se ce la farà, mentre la destra picchia e governa combinando il peggio di quanto aveva promesso: una legge di bilancio di scarse risorse usate però in direzione opposta all’interesse comune; la flat tax per gli autonomi che discrimina fra redditi uguali, frena la crescita delle micro imprese, spinge a “travestire” da autonomi i dipendenti; le modifiche delle pensioni; la scadenza imposta al reddito di cittadinanza; gli aiuti alle società del calcio; le nuove norme sull’immigrazione; i prossimi incentivi ai “balneari”, eccetera eccetera. Chissà quali altre nefandezze.
Meloni non vorrebbe farci mancare il presidenzialismo, sconvolgendo il nostro sistema istituzionale, proposta ancora assai vaga, presidenzialismo che si affiancherebbe alla cosiddetta autonomia regionale differenziata, che sta a cuore a Salvini: possiamo solo immaginare il caos che ne conseguirebbe, il conflitto aperto tra stato centrale e regioni…
Due o tre problemi
Ma la presa di potere della destra va oltre: i posti cardine della burocrazia statale, la Rai, l’informazione, eccetera eccetera. Giorno dopo giorno pare che il fascismo di Meloni e di La Russa (non tocchiamo la “fiamma” identitaria, eredità del Msi di Almirante, del Movimento sociale italiano, nato a ricordare la Repubblica sociale di Salò: persistenza dei simboli e delle parole) si rimetta vendicativamente in piedi. Loro, con i loro seguaci (anche con il cognato di Giorgia, il ministro Lollobrigida, celebratore del criminale Rodolfo Graziani) non perdono occasione per provare a riscrivere la storia. Cominciando dai nomi: che ormai si debba sentire “Nazione”, cancellando il popolare “Paese” può apparire ridicolo, ma alla lunga diventa uno stigma culturale, un momento di indottrinamento collettivo… Sarebbe gustoso capire perché la Meloni ha scelto “Nazione”: specificità etnica, identità culturale, consanguineità, riconoscimento comune di una Costituzione?
Tutto questo ed altro (dai rincari della benzina alle due prossime elezioni regionali in Lombardia e nel Lazio, anche in questo caso con polemiche non da poco), mentre il Pd discute di on line e di date congressuali (per un congresso senza tesi a confronto), cercando una intesa: tra un mese o più avanti ancora?
Sarà anche giusto pensare di rifondare un partito, ma intanto non si dovrebbe restare alla finestra, lasciare ad altri l’obbligo e il merito della opposizione. In attesa della rinascita, non dovrebbe essere difficile indicare due o tre problemi per i quali dare battaglia, con i quali ricostruire un orizzonte, sventolare una bandiera.
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