Turchia, Grecia, Cipro. Le elezioni scaldano le acque del Mediterraneo orientale
di TERMOMETRO GEOPOLITICO (Giacomo Natali)
Nel giro di pochi mesi una sequenza di elezioni in Turchia, in Grecia e a Cipro potrebbe ridisegnare gli equilibri in tutto il Mediterraneo orientale. Non solo per le molte questioni di politica interna dei rispettivi Paesi e, nel caso della Turchia, per il ruolo che questa svolge in uno scenario più ampio che va dall’Ucraina alla Siria. Ma ciò che preoccupa di più alcuni osservatori è soprattutto il fatto che queste scadenze elettorali ravvicinate (a Cipro a febbraio, in Grecia ad aprile e in Turchia a giugno) stiano portando il rapporto tra questi Paesi, già tradizionalmente complesso e conflittuale, a un livello di intensità che non si vedeva di decenni. Finendo per coinvolgere anche la Libia, l’Egitto, Israele, la gestione dei rifugiati, le esplorazioni per risorse energetiche nel Mediterraneo e altre situazioni potenzialmente esplosive.
Nelle scorse settimane un piccolo anticipo di questa stagione elettorale si è svolta a Cipro, con il voto per eleggere il nuovo arcivescovo, cui hanno fatto seguito le elezioni locali nell’autoproclamata Repubblica Turca di Cipro Nord (non riconosciuta internazionalmente, se non dalla stessa Turchia). Come sempre nel caso della piccola isola nel Mar di Levante, anche queste elezioni minori avevano un forte carattere internazionale. Nel caso delle elezioni locali a Cipro Nord, la vittoria degli esponenti vicini a Erdoğan è stata interpretata come un buon auspicio per il leader turco in campagna elettorale. Ma anche l’elezione dell’arcivescovo è stata profondamente politica, sia per il ruolo che la Chiesa ortodossa ha nell’opporsi a una soluzione per la divisione dell’isola, sia soprattutto perché il sinodo era spaccato in due sulla posizione da tenere nei confronti della Russia. In particolare, il voto preliminare dei fedeli aveva indicato al primo posto il vescovo di Limassol, che era contrario al riconoscimento dell’autonomia della Chiesa ortodossa ucraina da Mosca. Il sinodo dei vescovi ha però ribaltato la graduatoria, incoronando arcivescovo il metropolita di Pafos, che ha confermato la posizione filo-ucraina mantenuta dal proprio predecessore, fino alla morte avvenuta lo scorso novembre.
Proprio nella Repubblica di Cipro si svolgeranno a febbraio le prime elezioni di questo filotto mediterraneo. Il favorito per la vittoria nelle presidenziali è l’indipendente Nikos Christodoulides. Indipendente in questo momento, ma fino a pochi mesi fa ministro degli Esteri dell’attuale partito di maggioranza e prima ancora portavoce del governo Anastasiades, anche durante la catastrofica crisi finanziaria del 2013. Nonostante questo, Christodoulides è riuscito a farsi considerare come una scelta nuova e fresca, nell’incertezza della pandemia e del crollo di turismo e affari con la Russia, che rappresentavano una buona fetta dell’economia dell’isola. Nei sondaggi Christodoulides sovrasta quindi ampiamente i candidati dei partiti che si sono tradizionalmente alternati al governo della Repubblica, fin dall’indipendenza ottenuta nel 1960. Sul fronte della divisione di Cipro, la sua elezione rappresenterebbe la prima volta dagli anni Ottanta con su entrambi i lati dell’isola (quello turco-cipriota e quello greco-cipriota) due leader al governo fortemente e anche ufficialmente contrari alle proposte di riunificazione avanzate negli anni dalla comunità internazionale. Ma se questo non dovrebbe cambiare molto rispetto alla posizione portata avanti negli ultimi anni dell’attuale governo Anastasiades, molto diversa potrebbe essere la politica di Christodoulides nel conflitto tra Russia e Ucraina, con la possibilità di un riavvicinamento del nuovo governo a Mosca. A livello europeo ciò è visto con preoccupazione, fin da quando sono emersi possibili finanziamenti russi alla travolgente campagna di Christodoulides.
Tra aprile e maggio, in due turni, sarà poi la volta delle elezioni in Grecia, i cui risultati appaiono, però, assai più incerti. L’attuale coalizione di governo di centrodestra era stata indebolita dalle difficoltà economiche e da uno scandalo intercettazioni, equiparato al Watergate. Ma le scoperte sulla rete di corruzione al Parlamento europeo, che vede al centro la deputata socialista greca Eva Kaili, ha in un certo senso riportato la palla al centro su questo fronte. In tutto ciò, il primo ministro Mitsotakis ha deciso di puntare gran parte della propria campagna elettorale sul sentimento nazionalista e sul confronto con la Turchia.
L’operazione è stata largamente facilitata dal fatto che altrettanto, anzi ancora di più, sta facendo Erdoğan in vista delle elezioni turche di giugno. Per la prima volta la sua vittoria è seriamente considerata in dubbio, soprattutto per via della disastrosa situazione economica turca, che vive ormai da anni altissimi livelli di inflazione e nessuna soluzione in vista. Per recuperare consenso, Erdoğan ha quindi puntato, da un lato, sulla propria immagine di statista internazionale, intervenendo come mediatore tra Ucraina e Russia e in altre situazioni calde, dall’altro, sull’aggressività militare e nazionalista, sia nei confronti dei Curdi, sia proprio della Grecia.
Dopo i conflitti del Novecento, Grecia e Turchia da decenni avevano avviato proficui rapporti diplomatici e quasi di amicizia, soprattutto per via dei vantaggi economici portati dalla cooperazione tra i due Paesi. Ormai da mesi, però, il presidente Erdoğan si alterna con il suo ministro degli Esteri, Mevlüt Çavuşoğlu, in attacchi quotidiani nei confronti della Grecia. I due, ai quali si unisce occasionalmente il ministro della Difesa, Hulusi Akar, si sono spinti a minacciare missili su Atene e a dirsi pronti ad «arrivare di notte» quando i greci meno se lo aspettano. Al punto che quando, alcune settimane fa, le forze aeree greche hanno festeggiato il proprio patrono con esibizioni sopra alle città, le basi hanno iniziato a ricevere chiamate di cittadini convinti fosse in corso un attacco turco.
Se un conflitto aperto tra due Paesi membri della NATO appare estremamente improbabile, sono però ormai all’ordine del giorno le invasioni degli spazi aerei e gli incontri ravvicinati da parte di unità navali nel Mare Egeo e nel Mare Libico. Il motivo principale del contendere, infatti, ha a che fare con la sovranità degli spazi marittimi. Nel caso del Mare Egeo, per il disegno di legge greco sull’estensione delle acque territoriali da 6 a 12 miglia. Una mossa che, per via della vicinanza di molte isole greche alla terraferma turca, taglierebbe di fatto fuori ampi territori turchi dall’accesso diretto alle acque internazionali. Di conseguenza, la Turchia si oppone a questa estensione, reclamando anzi la demilitarizzazione delle isole greche, prevista da vari trattati internazionali ma mai attuata. La situazione è ulteriormente complicata dal fatto che la Turchia non ha mai aderito alla Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare.
Nel Mare Libico, invece, sono i greci a protestare contro la Turchia per un accordo siglato con il governo libico per la ricerca e lo sfruttamento di giacimenti sottomarini. Le aree interessate andrebbero a collegare direttamente Turchia e Libia, incrociandosi con le acque territoriali cretesi, dove in queste settimane si trovano unità navali e di ricerca di entrambi i Paesi. E dove lo stesso presidente greco Mitsotakis ha deciso di piantare una bandiera simbolica, passando le vacanze dell’Epifania nella minuscola isola di Gavdos, a sud di Creta nonché punto più meridionale dell’Unione Europea.
A completare l’intreccio, una situazione analoga prosegue notoriamente da anni nel Mar di Levante, coinvolgendo Cipro, Turchia e varie compagnie energetiche internazionali, tra cui l’Eni. Se tutto ciò non costituisce una novità, dunque, la preoccupazione di molti analisti è che questa peculiare sequenza di elezioni ravvicinate e incerte possa continuare a far spingere l’acceleratore del confronto ai governi in carica, nel tentativo di riconquistare i consensi perduti. Nessuno dei soggetti in questione ha certamente intenzione di entrare in guerra, ma che qualche incidente possa sfuggire di mano non è purtroppo da escludere. Se invece nuove forze dovessero vincere le elezioni in agenda, la situazione potrebbe paradossalmente ribaltarsi ancora, riportando in auge la cooperazione interrotta. Con effetti anche su un più ampio scenario regionale. Ciò che è certo è che, in un modo o nell’altro, quest’estate il Mediterraneo orientale potrebbe presentarsi completamente diverso.
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[Fonte: https://www.treccani.it/magazine/atlante/geopolitica/Turchia_Grecia_Cipro.html]
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