“In Cile la rivoluzione è scoppiata per l’aumento del prezzo dei biglietti della metro, magari in Francia saranno le pensioni la goccia che farà traboccare il vaso,” dice Valérie, una manifestante in piazza a Parigi. Da mesi, la Francia è attraversata da scioperi e proteste diretti contro la riforma delle pensioni di Macron, che ha innalzato l’età pensionabile da 62 a 64 anni. Le parole di Valérie mostrano però come la collera della popolazione vada ormai oltre la riforma in sé, e si rivolga contro il governo stesso.
“La riforma delle pensioni è un sintomo, il problema di fondo è la politica neoliberale di Macron che sta distruggendo il welfare francese”.
François, studente 21enne
I manifestanti lamentano scelte politiche che avvantaggiano i più ricchi e le grandi aziende, come i numerosi sgravi fiscali concessi alle imprese o l’abolizione dell’imposta sui grandi patrimoni, e sempre più lontane dagli interessi della popolazione.
Agitazioni Oltremanica
Non è solo la Francia a essere toccata da scioperi e proteste. Da mesi, il Regno Unito è teatro di una serie di mobilitazioni, culminate l’1 febbraio in quella che è stata definita la più grande giornata di azione sindacale in oltre un decennio, con oltre 500 mila persone in strada. I lavoratori inglesi – tra cui insegnanti, macchinisti e dipendenti pubblici – lamentano la stagnazione dei salari a fronte dell’aumento del costo della vita, e domandano un aumento di stipendio superiore a quello del tasso d’inflazione.
“Nel settore pubblico i salari sono rimasti pressoché costanti da vent’anni, mentre il costo della vita continua ad aumentare, con conseguente perdita di potere d’acquisto” dice Alessio Kolioulis, professore universitario a Londra. Per esempio, la National Education Union ha dichiarato che dal 2010 gli insegnanti hanno visto la loro retribuzione in termini reali ridursi di almeno il 23%.
Dalla Spagna alla Germania
A fine gennaio, anche la Spagna è stata teatro di malcontento popolare, con centinaia di migliaia di persone scese in piazza per lamentare la riduzione dei salari e lo sgretolamento del welfare, in particolare del sistema sanitario. Per queste ragioni, gli operatori sanitari spagnoli sono in sciopero da mesi.
Nemmeno la Germania è immune a questa ondata di mobilitazioni popolari. Lo scorso 27 marzo il paese è stato infatti bloccato dallo sciopero di oltre 400mila lavoratori nel settore dei trasporti. La richiesta dei manifestanti: salari più alti per fronteggiare l’aumento dei costi della vita dovuto all’inflazione. Anche quello tedesco è stato definito il più grande sciopero che il paese ha visto negli ultimi decenni.
Un’insoddisfazione crescente
Nonostante le differenze, secondo l’economista Charles Oman le proteste hanno una radice comune: la situazione economica sempre più precaria delle classi medie e lavoratrici europee.
“Fino a qualche decennio fa la maggior parte della popolazione traeva beneficio dal capitalismo di mercato, e ci si aspettava che la generazione successiva sarebbe stata sempre meglio della precedente,” dice l’economista, “adesso invece sempre più persone sono insoddisfatte del modello economico: l’ondata di proteste è simbolo di questo malcontento, fomentato dalla crisi energetica e dall’inflazione record degli ultimi mesi.”
Oman spiega che i governi europei si stanno orientando verso una dottrina economica sempre più neoliberista, che nuoce a un’ampia fascia della popolazione. L’economista punta il dito contro le politiche che favoriscono la concentrazione del potere economico nelle mani di poche aziende. Queste agiscono come monopoli, riducendo i salari e realizzando enormi profitti: le vittime sono le classi medie e lavoratrici, per le quali i salari sono sempre più bassi e il costo della vita sempre più alto.
“In Europa, la crescita economica è ancora molto forte, ma questa crescita viene assorbita solo da una minoranza di persone – qualche azionista e manager di grandi aziende – a scapito dei lavoratori e delle piccole e medie imprese”.
Di conseguenza, il tenore di vita di una vasta fascia della popolazione è in declino e le disuguaglianze aumentano. Nel Regno Unito, nel 2022, il reddito del quinto più povero della popolazione è diminuito del 3,4% rispetto al 2021 mentre il reddito del quinto più ricco è aumentato del 3,3%. In Francia, nel 2022, ci sarebbero tre volte più miliardari rispetto al 2002, e la loro ricchezza sarebbe quadruplicata negli ultimi dieci anni. Tutto questo mentre il numero di persone che vivono in povertà in entrambi i paesi continua ad aumentare e i sostegni alle fasce più vulnerabili della popolazione diminuiscono.
Stretti fra privatizzazione e povertà
Parallelamente al declino del loro tenore di vita, i cittadini europei assistono infatti allo smantellamento del welfare. I tagli fiscali alle aziende fatti in nome della competitività, e la progressiva privatizzazione dei servizi prima offerti dal settore pubblico, portano al progressivo peggioramento dei sistemi di welfare statali degli stati europei, fino a qualche decennio fa tra i più sviluppati al mondo. Per esempio, nel 1980 in Spagna c’erano 5,4 letti in ospedale per 1000 persone, ma nel 2018 il numero era sceso a soli 3 letti. In Francia, nello stesso arco di tempo, il numero di letti in ospedale per 1000 persone è passato da 11.1 a 5.9.
“In molti paesi europei, per esempio la Francia, il welfare viene visto quasi come una questione di identità nazionale,” sostiene Oman, “motivo per cui lo sgretolamento dei servizi pubblici porta a un fortissimo malcontento nella popolazione.” Il rischio? Che questo malcontento porti sempre più elettori a votare per partiti populisti e anti-sistema, conclude Oman: “Le classi medie impoverite e arrabbiate con i politici che non ritengono abbiano a cuore i loro interessi, compongono l’elettorato principale dei partiti populisti e anti-sistemici, che rappresentano un rischio per la democrazia”.
FONTE:https://kriticaeconomica.com/leuropa-scende-in-piazza/
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