La festa dei lavoratori nasce per ricordare le dure lotte combattute per i diritti dei lavoratori.
Lotte che sono state rese quasi del tutto vane da più di 30 anni di controriforme – o meglio di riforme regressive – del mercato del lavoro.
Dal taglio della scala mobile – che consentiva l’adeguamento automatico dei salari all’inflazione – del 14 febbraio dell’1984 alla sua abolizione nel 1992.
Dal pacchetto Treu del 1997 alla legge Biagi del 2003 che hanno introdotto l’odioso lavoro interinale.
Dal DL 368/2001 al Jobs Act, passando per la legge Fornero, che modificando la legge 230 del 1962 hanno di fatto progressivamente liberalizzato i contratti atipici. Quelli cioè a tempo determinato.
Dal decreto Sacconi del 2011 che ha consentito accordi sindacali al ribasso rispetto ai Contratti Collettivi Nazionali del Lavoro al decreto Poletti del 2014 che ha ulteriormente favorito la precarizzazione facendo aumentare i contratti a tempo determinato e quelli di apprendistato.
L’ultima ciliegina sulla torta è il DL Lavoro del Governo Meloni che estende l’uso dei contratti a termine, cioè di quelli precari.
Prima dell’ingresso nella UE, l’Italia aveva un mercato del lavoro più tutelato della maggior parte dei Paesi europei. Tra cui Francia e Germania.
Un mercato del lavoro troppo rigido e poco flessibile, secondo gli aedi della neolingua.
Oggi dopo 30 anni di riforme regressive imposte dai Governi di tutti i colori al grido di “ce lo chiede l’Europa”, il mercato del lavoro italiano è più flessibile (cioè meno tutelato) di quello francese e tedesco.
Non è un caso se dal 1992 a oggi i lavoratori precari siano raddoppiati passando da 1,5 milioni a più di 3 milioni.
Come non è un caso se negli ultimi 20 anni i poveri assoluti siano triplicati, passando da neanche 2 milioni di italiani a 6 milioni.
Non è colpa del destino cinico e baro se oggi ci sono 15 milioni di italiani tra disoccupati e inattivi (quasi 13 milioni di inattivi tra i 15 e i 64 anni, 9 escludendo la fascia 15/24, più 2 milioni di disoccupati).
Non è colpa della sfortuna se negli ultimi 20 anni gli italiani più o meno costretti a scappare all’estero in cerca di lavoro, salari dignitosi e migliori condizioni di vita siano quasi triplicati passando dai 2,3 milioni del 2000 ai 6 milioni attuali (di cui quasi 2 milioni di giovani laureati).
Non è un caso se oggi in Italia 1 lavoratore su 10 è povero e 2,8 milioni sono costretti al part-time involontario (li pagano cioè così poco da dover fare più lavori).
Oggi, dopo 30 anni di riforme che hanno quasi del tutto annullato i risultati ottenuti dalle lotte per i diritti dei lavoratori combattute tra la seconda metà del 19esimo secolo e la prima metà del 20esimo, non ci sarebbe niente da festeggiare.
Ci sarebbe solo da organizzarsi per ricominciare le lotte per i diritti perduti dei lavoratori.
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