Ma Roman Abramovich, l’oligarca russo residente nel Regno Unito, sanzionato dal Governo inglese a causa dell’invasione russa dell’Ucraina e nel maggio del 2022 costretto a vendere il famoso club calcistico Chelsea di cui era proprietario da vent’anni, che vuol fare? Il club è stato rilevato da un gruppo americano e ad Abramovich sono andati 2,3 miliardi di dollari, che il magnate aveva promesso di destinare agli ucraini vittime della guerra. Adesso, però, al momento di finalizzare l’accordo con il Governo inglese e di far partire i soldi, Abramovich ha cambiato idea: vuole che metà della somma vada, sì, agli ucraini ma l’altra metà finisca invece alle famiglie dei russi vittime della guerra. Cosa che, ovviamente, fa infuriare il Governo di Sua Maestà e l’intera Commissione Europea. Tanto più che, senza la firma dell’oligarca, i quattrini non possono partire.

I media russi, prevedibilmente, sghignazzano. Un po’ perché Abramovich, che è sempre stato un gran furbo, non è simpaticissimo neppure a loro. I più maligni ipotizzano che, non essendo crollata la Russia sotto le sanzioni e non essendo, almeno finora, così trionfale la controffensiva ucraina, l’oligarca senta la necessità di tenersi buono il Cremlino. Ma poi c’è l’imbarazzo del Governo britannico, uno dei più decisi nel sostenere l’Ucraina (ricordiamo, per esempio, la recente decisione di fornire a Kiev munizioni all’uranio impoverito), a far godere la stampa russa.

Nel complesso, però, tutta la vicenda è strana. Al di là dei quattrini e del calcio, in tutta la prima fase della guerra Abramovich ha avuto un ruolo importante nelle trattative di pace, poi abortite, tra Russia e Ucraina. Era presente anche a Istanbul quando fu siglato il famoso “accordo sul grano” che consentì all’Ucraina di riprendere le esportazioni di cereali, vitale per il suo settore agricolo. E proprio a Istanbul, secondo molte fonti, Abramovich fu anche vittima di un misterioso tentativo di avvelenamento  che avrebbe colpito anche alcuni membri della delegazione ucraina.

Le ragioni della sua presenza a quei tavoli non si sono mai capite fino in fondo. Si è fatta l’ipotesi di un’intesa di fondo con il presidente ucraino Zelensky grazie alle comuni radici ebraiche (ed è comunque certo che, in quel periodo, Zelensky ha chiesto al presidente Usa Biden di non sanzionare Abramovich), e si è detto che Vladimir Putin abbia un buon rapporto con Abramovich che, quand’era intimo del presidente Boris Eltsin e della sua cerchia, avrebbe parlato bene di Putin, che allora iniziava la sua ascesa verso il vertice del potere. Poi, nella stessa maniera sorprendente con cui era comparso, Abramovich è sparito dalle trattative. Sembra che, almeno all’inizio, ci sia stata la sua mano negli scambi di prigionieri tra Russia e Ucraina e nella gestione degli accordi sul grano ma nulla di particolarmente significativo o evidente.

Il tutto potrebbe essere collegato all’andamento stesso delle trattative, naufragate in poche settimane. Molti pensano che siano stati gli Usa, convinti della necessità di infliggere alla Russia una sconfitta sul campo, a convincere l’Ucraina a tener duro e a rifiutare qualunque ipotesi di accordo. Comunque sia andata, anche Zelensky ha cambiato atteggiamento: Abramovich è stato sanzionato dall’Ucraina, anche se con la condizionale: le sanzioni scatteranno se i prigionieri di guerra ucraini non faranno ritorno a casa. Adesso quest’ultimo colpo di scena sui soldi del Chelsea. In un modo o nell’altro, Abramovich resta protagonista.