“The Covid consensus”, assalto globale alla democrazia: intervista a Thomas Fazi
da L’INDIPENDENTE ONLINE (Andrea Legni)
Durante la pandemia il mainstream politico ha convenuto che seguire la scienza con restrizioni e mandati di vaccinazione obbligatoria fosse il modo migliore per tutelare la vita, ma le conseguenze sono state devastanti per i diritti democratici e le popolazioni di tutto il mondo. Mentre le fortune dei più ricchi aumentavano, i lockdown hanno devastato le piccole imprese, le classi lavoratrici e le economie informali del Sud globale. La violenza di genere è aumentata e la salute mentale dei giovani è stata gravemente compromessa. Nel frattempo, restrizioni sanitarie senza precedenti hanno impedito la partecipazione alla vita quotidiana dei non vaccinati. Questa, in estrema sintesi, la tesi esposta nel libro The Covid Consensus, The Global Assault on Democracy and the Poor: A Critique from the Left (trad.: Il consenso sul Covid – L’assalto globale alla democrazia e ai poveri: una critica da sinistra). Una lettura molto interessante, perché capace di allargare lo sguardo sulla gestione pandemica, cogliendone le conseguenze dirette e indirette sulla democrazia e sulle classi popolari. Ne abbiamo parlato con Thomas Fazi, giornalista e scrittore socialista, coautore del testo – per ora edito solo in lingua inglese – insieme al professore britannico Toby Green, professore di Storia africana al King’s College di Londra.
Partiamo dal sottotitolo del vostro libro: in che senso sostenete che le politiche pandemiche abbiano rappresentato un assalto globale alla democrazia?
A questa conclusione siamo arrivati semplicemente basandoci sull’analisi dei dati. È oggettivo che non tanto il Covid, ma le politiche teoricamente di contrasto alla pandemia messe in atto dai governi hanno drasticamente accelerato processi di aumento delle disuguaglianze che erano già in corso. Sappiamo che le politiche pandemiche hanno provocato un drammatico aumento delle persone in povertà, soprattutto nei Paesi del Sud globale, dove le restrizioni hanno avuto le conseguenze più nefaste in assoluto. Secondo alcune stime della Banca Mondiale si parla di 100 milioni di persone in più che sono cadute in
povertà. Quindici anni di progresso socioeconomico a livello mondiale sono stati cancellati da queste politiche, mentre abbiamo assistito a un’enorme concentrazione di capitale nelle mani di pochi che erano già super ricchi. Parliamo di alcuni tra i principali blocchi di potere del mondo capitalistico occidentale, quindi le grandi industrie farmaceutiche, quelle tecnologiche e le grandi piattaforme. Per loro la pandemia è stata una manna dal cielo. Allo stesso modo, ovunque ma in particolar modo nei Paesi più poveri, la pandemia è stata utilizzata per attuare strette repressive di ogni sorta, per bandire le manifestazioni, per attaccare violentemente qualunque forma di opposizione. Lo stesso è avvenuto anche in molti Paesi occidentali, Italia innanzitutto, dove si è fatto un ricorso massiccio alle politiche emergenziali, marginalizzando il controllo dei parlamenti e attuando forme di controllo sociale mai viste nella storia. Non si tratta di opinioni, ma di fatti oggettivi, certificati, ad esempio, anche da Amnesty International.
Sempre nel sottotitolo dichiarate che il vostro testo intende effettuare una critica da sinistra: una rarità, visto che specialmente nel mondo della sinistra si è assistito spesso a un appiattimento acritico e totale alle politiche pandemiche…
Ci è stato raccontato che le politiche messe in campo erano solidali e servivano a proteggere i più deboli e la comunità, ma questo è uno degli aspetti più paradossali di questo periodo pandemico, perché in realtà proprio i più vulnerabili, deboli e poveri hanno pagato il prezzo maggiore. Questo è stato vero sia dal punto di vista economico, con milioni di piccoli imprenditori e precari ridotti sul lastrico, sia da quello sociale e psicologico. Ad esempio, trascorrere il lockdown nei piccoli appartamenti senza spazi all’aperto dei quartieri popolari è stata certamente un’esperienza ben diversa rispetto a farlo nelle lussuose ville dei politici e dei ricchi.
In The Covid Consensus sostenete che la trasformazione dell’economia politica degli ultimi quattro decenni è la causa principale della catastrofe legata alla pandemia, cosa significa?
Il sistema neoliberista, con la progressiva erosione del settore pubblico a vantaggio dell’avanzata del potere privato e la perdita della sovranità nazionale, con il suo trasferimento a organismi sovranazionali dove sono fortemente rappresentati gli interessi delle grandi industrie, ha plasmato la risposta alla pandemia. Quando è arrivato il Covid c’era già quello che potremmo definire un complesso bio-securitario che include le grandi compagnie farmaceutiche, le grandi compagnie tecnologiche e i grandi monopoli di internet. L’industria della sanità globale, che domina anche l’Organizzazione Mondiale della Sanità tramite istituti pseudo-filantropici come la Gates Foundation, ha avuto buon gioco a determinare fin nei minimi dettagli le politiche pandemiche seguite da buona parte degli Stati del mondo.
Anche nella risposta sanitaria, basata essenzialmente sulle vaccinazioni di massa, avete riscontrato un collegamento con il contesto del sistema neoliberista?
Una risposta del tutto basata su vaccini ultratecnologici (che oltretutto in merito a profili di efficacia e sicurezza si sono poi dimostrati fortemente lacunosi) anziché, ad esempio, sulla medicina territoriale (che non a caso negli ultimi decenni è stata del tutto smantellata) è cartina di tornasole del sistema di potere che ci governa. Abbiamo assistito a un cambiamento storico delle politiche sanitarie all’interno delle democrazie occidentali. Nella sua costituzione originaria l’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) definisce la salute uno stato che non riguarda solo lo stare in vita ma un benessere molto più generale, fisico e sociale, in una concezione olistica. Abbiamo invece visto all’opera una concezione puramente medicalizzata della salute, incentrata sull’uso di tecnologie sempre più avanzate in cui l’essere umano diventa una sorta di computer da aggiustare attraverso interventi di carattere sempre più genetico. Una concezione completamente diversa in cui tutta l’enfasi è posta sull’utilizzo di medicinali ad altissima tecnologia, come i vaccini ad mRna, che tra le altre cose rappresentano un orizzonte di profitto sconfinato per l’industria farmaceutica. Ci troviamo di fronte a un nuovo processo di accumulazione capitalistica che vede la salute e il corpo umano come terreno di conquista.
Anche all’interno delle politiche e degli obblighi vaccinali, che pure esistono da lungo tempo, il vostro studio trova degli elementi di novità relativi alla gestione del Covid-19: quali sono?
I vaccini esistono da lungo tempo e sono una grande conquista medica, visto che hanno giocato un ruolo fondamentale nella eradicazione di malattie molto gravi, però fino a ieri parlavamo di vaccini che avevano richiesto anni per essere sviluppati e testati per quanto riguarda l’efficacia e la sicurezza: questo è un primo dato. E poi c’è la questione degli obblighi vaccinali. Anche qui, gli obblighi vaccinali esistono da
lungo tempo, ma in forme assai diverse da quelle alle quali abbiamo assistito negli ultimi due anni, dove l’obbligo – introdotto addirittura in forma surrettizia senza essere dichiarato – ha comportato la negazione di buona parte dei diritti civili e costituzionali, come il lavoro e la libertà di movimento ai renitenti all’inoculazione di un vaccino oltretutto sperimentale. Si tratta di qualcosa che nella storia non si era mai visto. La conseguenza è molto seria e tragicamente sottovalutata, specialmente dai movimenti di sinistra che storicamente hanno maggiormente a cuore i diritti civili: si è accettata senza fiatare l’idea che i diritti costituzionali non siano qualcosa di intrinseco, ma di revocabile dai governi. Anche in questo senso, come scriviamo nel libro, le politiche pandemiche hanno rappresentato un assalto globale alla democrazia.
Da giornalista penso che anche nel mondo della comunicazione abbiamo assistito a un restringimento degli spazi di libertà: censura delle proteste, emarginazione delle voci dissonanti, con un apparato mainstream che ha rinunciato a fare giornalismo per trasformarsi in cassa di risonanza delle istituzioni. Uno schema che poi si è sostanzialmente ripetuto all’emergenza successiva, quella della guerra in Ucraina. Cosa ne pensa?
Sono d’accordo, assolutamente. Anche qui credo che l’accento vada posto sull’accelerazione drammatica imposta dalla pandemia a tendenze che erano già in corso. La parzialità degli organi di informazione dominanti non è certo una novità, la propaganda di regime è sempre esistita anche in Occidente. Ma quello a cui abbiamo assistito ha rappresentato un’accelerazione poderosa di queste dinamiche. Abbiamo visto una uniformazione totale dell’informazione non solo sui media verticali, come la televisione e la stampa, ma anche nel mondo presunto libero ed orizzontale della rete internet, dove le principali piattaforme sono state sottoposte a forme di censura e controllo delle informazioni veramente capillari. Il risultato è stato il tentativo di fare emergere una sola narrazione ufficiale. La faccenda diventa ancora più incredibile se si pensa che questa stessa narrazione è stata armonizzata quasi a livello mondiale, con miliardi di persone in centinaia di Paesi sottoposte a una narrazione pressoché identica gestita in maniera fortemente centralizzata sotto l’egida di organizzazioni transnazionali come l’OMS. Un fatto reso ancor più grave dalla considerazione che molte di quelle veicolate come verità scientifiche indiscutibili – dall’efficacia dei vaccini contro le infezioni, all’utilità delle mascherine, alla necessità di vaccinare anche i più giovani – si sono rivelate fake news. In conclusione si può dire che la vera disinformazione, durante la pandemia, è stata quella fornita dalle autorità ai cittadini, che in questi ultimi tre anni hanno dovuto subire conseguenze estremamente gravi anche in termini di salute pubblica.
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