Daniele Dell’Orco: «La rivolta di Prigozhin è stata inattesa, ma ha rafforzato Putin»
di DIARIO DEL WEB (Fabrizio Corgnati)
Il giornalista esperto in geopolitica Daniele Dell’Orco analizza ai microfoni del DiariodelWeb.it la fallita insurrezione militare di questo weekend in Russia
Quello appena trascorso è stato un fine settimana ad alta tensione sul fronte interno in Russia. Tra venerdì e sabato Yevgeny Prigozhin, capo del gruppo paramilitare di mercenari Wagner che per mesi aveva combattuto a fianco dell’esercito regolare, ha infatti sconvolto il mondo tentando una rivolta militare contro il governo di Vladimir Putin. Ma l’insurrezione armata ha avuto vita breve: giunti a poche centinaia di chilometri da mosca, infatti, i rivoltosi hanno interrotto la loro marcia e il loro condottiero alla fine è stato spedito in esilio in Bielorussia. Sulle cause e, soprattutto, sulle conseguenze di questa mossa si interrogano da giorni gli analisti di tutto il mondo. Il DiariodelWeb.it ha interpellato Daniele Dell’Orco, giornalista esperto in geopolitica.
Daniele Dell’Orco, che impressione si è fatto su quanto accaduto negli ultimi giorni in Russia?
Come molti, sono rimasto interdetto. Le analisi si sprecano, ma sempre a posteriori: durante lo svolgimento degli eventi, ciascuno rincorre l’attualità come può, cercando di far vedere che ne sa più degli altri, per riempire gli spazi informativi e appagare il pubblico. Ma stavolta è stato davvero difficile, se non impossibile. Questo sviluppo è stato inaspettato anche per gli addetti ai lavori che stanno sul campo: dagli esperti ai corrispondenti di guerra agli analisti militari. Sono più o meno tutti rimasti con il fiato sospeso.
Allo stato delle cose, quale interpretazione può dare?
La situazione si protraeva ormai da diversi mesi, ma nessuno si aspettava che potesse precipitare nel giro di poche ore. Ovvero da giovedì, da quando per la prima volta, da un anno e mezzo a questa parte, Prigozhin si è abbandonato a dichiarazioni che hanno innescato un effetto domino.
Quali?
Fino a quel momento aveva sempre contestato gli equilibri interni al ministero della Difesa e allo Stato maggiore russo, ma non si era mai esposto più di tanto circa le cause che hanno portato la Russia a intervenire militarmente in Ucraina. Giovedì scorso l’ha fatto, in modo anche piuttosto veemente, quasi appoggiando la narrazione occidentale.
Che cosa gli è preso? È stato solo un momento di follia o era una strategia pensata in funzione di un obiettivo?
L’obiettivo è sempre stato lo stesso: porsi come alternativa al ministro della Difesa. Fin da quando, nel maggio dello scorso anno, la Wagner è stata istituzionalizzata, cioè le è stata appaltata una parte anche piuttosto delicata del fronte, quella intorno a Bakhmut, Prigozhin ha voluto dimostrare che l’opinione pubblica e i soldati russi si fidavano più di lui che di Shoigu. Quindi che, se qualcuno avesse davvero voluto difendere la madrepatria e i suoi interessi, avrebbe preferito combattere sotto la sua guida.
Aveva ragione?
Per certi versi non ha torto ad accusare Shoigu e il capo di Stato maggiore Gerasimov di aver condotto male questa sedicente operazione militare speciale. E non è nemmeno l’unico a sostenerlo.
Quindi quello di Prigozhin era un obiettivo politico?
Sì, ma non per forza antitetico a Putin. Ecco perché è stata inedita la frattura che si è creata sabato mattina. Il Cremlino ha dovuto inevitabilmente prendere posizione a supporto dei suoi ministri, altrimenti sarebbe crollato tutto.
Un obiettivo con vista sulle elezioni presidenziali?
Magari non quelle del 2024, ma le successive. Prigozhin è più giovane di Putin, quindi nel corso del tempo non sarebbe stato così irrealistico qualificarsi come principale responsabile di un’eventuale successo sul fronte ucraino. Ricordiamoci che lo stesso Putin è diventato il vero leader assoluto della Russia non dopo aver vinto le elezioni, ma quando ha potuto sbandierare la vittoria in Cecenia. Questo aspetto conta molto nell’opinione pubblica.
Se è così, tuttavia, il risultato che ha ottenuto non è stato quello di indebolirsi e di rafforzare ulteriormente Putin?
Questa è una lettura che può corrispondere al vero, almeno nell’immediato, al contrario di quanto ha sostenuto praticamente in coro tutta la stampa occidentale. È anche vero che la guerra non è finita e che Prigozhin è stato inviato in esilio a Minsk, ma la Bielorussia è sostanzialmente Russia. Quindi resta una parte in causa e potrebbe costituire un esercito ombra per evitare ai soldati regolari bielorussi di esporsi direttamente in Ucraina.
Quindi la carriera di Prigozhin non è finita.
Assolutamente no. E bisognerà vedere come andrà a finire questa storia. Una Russia che fatica a ottenere i propri obiettivi militari significa anche una leadership, compresi Shoigu e Putin, che si sta giocando la faccia. Dal momento in cui una ribellione solleva proteste reali di inefficienza, inefficacia, corruzione, in alcuni casi incompetenza, ora devono dimostrare che le accuse fossero infondate. Altrimenti, se Prigozhin avesse avuto ragione, da Minsk a Mosca sono tre ore di macchina.
Questo significa che la rivolta potrebbe avere ricadute anche a livello militare?
Assolutamente sì. Per salvaguardare l’unità politica in Russia si è raggiunto il compromesso e Prigozhin è stato parcheggiato in Bielorussia. Ma né l’opinione pubblica né i soldati al fronte si sono dimenticati di quello che è successo. L’esercito russo dovrà per forza dimostrare di potercela fare anche senza la Wagner e questo li metterà alla prova parecchio.
Quanto accaduto ha fatalmente influenzato anche la narrazione occidentale. Che ha sempre dipinto Putin come il nemico assoluto, ma di fronte all’alternativa di vedere un cane sciolto come Prigozhin con il dito sul pulsante atomico, forse ha dovuto rivedere un po’ il suo punto di vista…
Questo è un effetto collaterale che la narrazione occidentale ha palesato fin dall’inizio di questa storia. Hanno raccontato Putin come il nuovo Hitler, voglioso di arrivare al cuore dell’Europa per annientare il mondo occidentale, ma nel corso dei mesi più volte si è dimostrato che in alcuni casi possa rappresentare un argine ad altre figure politiche e militari che potrebbero fare anche peggio. Si è parlato spesso della minaccia dell’uso di armi nucleari tattiche eppure, nonostante la situazione non proprio felice del suo esercito al fronte, in un anno e mezzo Putin non l’ha fatto. Magari qualcun altro, al posto suo, l’avrebbe già fatto eccome.
Questo vale anche per lo stesso Medvedev, che pure ci era presentato come il più filo-occidentale.
Appunto. Il problema è che vent’anni di putinismo in Russia hanno raso completamente al suolo tutte le alternative. La figura di Prigozhin è saltata fuori perché c’è stata la necessità di appaltargli un’intera linea del fronte, dove non sarebbe convenuto far agire l’esercito regolare. I morti dell’esercito qualcuno li piange, quelli della Wagner molto meno. Prigozhin è stato bravo a sfruttare questa contingenza per trasformarsi in un punto di riferimento per la base militare. Ma fino a quel momento di lui si diceva che fosse un oligarca molto potente, con affari in Africa, ma veniva definito lo «chef di Putin», un uomo assolutamente leale. Al netto di questa sua svolta, altre figure realmente antitetiche a Putin in Russia non ce ne sono, nemmeno dalla sua parte.
Neanche lui si è creato una successione.
Probabilmente apposta, perché il suo stile è sempre stato quello di fare terra bruciata anche tra gli alleati, quando aveva la percezione che stessero diventando scomodi.
Le sembra credibile la voce secondo cui Putin non si ricandiderà alle presidenziali del 2024?
No, non ci credo assolutamente, anche alla luce di quanto è successo. È vero che la «marcia per la giustizia» di Prigozhin ha creato una faglia, ma Putin ha dimostrato di tenere ancora le redini del Paese. Mentre le colonne della Wagner marciavano verso Mosca sarebbe bastato pochissimo a mettere pressione sul Cremlino e deporre il presidente o alcuni dei membri del suo governo. Invece il fatto che i servizi segreti, l’esercito e la politica si siano tutti schierati a suo favore ha dimostrato che abbia ancora presa. Ammesso e non concesso, poi, che effettivamente si voti tra un anno, perché chissà se interverranno la legge marziale o una mobilitazione generale e si creeranno le condizioni per congelare tutto.
Manca, in questa visione un punto importante, ovvero CUI PRODEST?