Il salario minimo non ci salverà, anzi
DA LA FIONDA (Savino Balzano)
Parlare dell’introduzione del salario minimo legale, senza ragionare sulle cause della regressione delle retribuzioni italiane non ha alcun senso, proprio nessuno. Questo perché se non comprendiamo pienamente le ragioni di fondo, ovviamente, non riusciamo a individuare la strada giusta che conduca alla risoluzione del problema: se somministriamo un antinfiammatorio a un paziente col braccio fratturato, i limiti della nostra terapia verranno a galla piuttosto rapidamente.
Bene, ormai ossessivamente vediamo citati i dati OCSE sulle retribuzioni italiane (menomale, era ora!): unico caso di regressione in Europa. I dati aggiornati parlano di una lievissima crescita nell’ultimo trentennio, ma ci posizioniamo comunque all’ultimo posto nel Vecchio Continente. Ora: mettere in relazione questo dato col salario minimo legale vuol dire correlare due questioni che tra loro non c’entrano assolutamente nulla, proprio niente.
La regressione delle nostre retribuzioni, infatti, non riguarda solo coloro i quali oggi sono al di sotto della soglia minima legale eventualmente individuabile, bensì anche i settori coperti e protetti da contrattazione collettiva, anche delle migliori. Chiedetelo ai bancari, ad esempio: trent’anni fa con due/tra stipendi acquistavano un’auto, oggi non ne parliamo.
In questo contesto si deve necessariamente essere sintetici e schematici, ma la prima cosa da dire è questa: col salario minimo legale non incidi, se non in minima parte, sul problema generale dei salari italiani. Quindi questa correlazione per cortesia leviamola di mezzo perché facciamo solo confusione.
Ebbene, quali sono le cause della regressione o stagnazione dei nostri salari? A mio avviso sono due e sono gravi, gravissime, al punto da farci capire che il salario minimo legale è una vacua illusione perché risolvere il problema necessiterebbe di ben altro: dimentichiamoci la via facile del legislatore che ci tira fuori dai guai perché tale resta, un’illusione.
I salari stanno messi male per due ragioni: una strutturale e l’altra sovrastrutturale. Quella strutturale è economica: l’abbandono di politiche economiche espansive, costituzionali, e indirizzate alla piena occupazione ha generato un eccesso di offerta di lavoro. Quello del lavoro è un mercato, più romantico ovviamente, ma tale resta e funziona come quello del latte: che succede se nel mercato del latte abbiamo troppo latte? Cala il potere contrattuale di quelli che lo producono e il costo del prodotto.
Calando il potere contrattuale del fronte del lavoro, schematizzo al massimo, è stato possibile mettere in piedi la seconda causa, quella sovrastrutturale (in quanto conseguenza diretta di quella strutturale): la precarizzazione. Da essa non siamo stati in grado di ripararci principalmente a causa di tale calo (oltre che per l’inadeguatezza del sindacato, ça va sans dire). Abbiamo un mercato del lavoro precario come non lo è mai stato nella nostra storia e non mi riferisco solo ai contratti atipici di cui ho scritto in questa rivista a iosa. Penso alle cessioni abusive di rami d’azienda, al nero, ai contratti di formazione illeciti, ai contratti di rete, ai finti autonomi e chi più ne ha più ne metta. La precarietà ha ulteriormente spuntato le frecce del potere contrattuale della comunità del lavoro, alimentando il circolo vizioso (per noi), e le ricadute sono tantissime anche, per quanto qui ci riguarda, sul piano retributivo. Il decreto Lavoro di Meloni acuisce tale tendenza, purtroppo.
È cosi che si è di fatto esautorata la contrattazione collettiva in Italia: indebolendola sul piano strutturale e sovrastrutturale. E, dunque, se vogliamo risolvere i problemi dei salari nel Paese, la strada è molto più lunga e pericolosa di un banalissimo salario minimo fissato per legge: tocca tornare alle politiche orientate alla piena occupazione e, conseguentemente, allo smantellamento della precarietà. Buona fortuna a noi!
E adesso qualcuno mi potrebbe dire: si, ma col salario minimo legale aiutiamo tutti i poveri cristi che sono sotto tale soglia, non coperti da contrattazione collettiva o destinatari di contratti collettivi al ribasso (i quali, tengo a precisare, non sono solo firmati dai sindacati cosiddetti di comodo, gialli, ma anche dal grande sindacato tradizionale).
Vero, risponderei, perché una immediata esternalità positiva si potrebbe anche produrre. Di fatto però, si andrà a indebolire ancora la contrattazione collettiva: per forza di cose accadrà perché un elemento fondamentale della trattativa sarà oggetto di legislazione, peraltro ricorrente ed esposto ad aggiornamenti, e dunque lo sguardo del tavolo di confronto sarà fisiologicamente rivolto altrove. Sarà così. La soluzione potrebbe essere nell’attuazione del 39 della Costituzione? Non saprei, si apre un altro capitolo: il rischio di “normalizzare” il variegato panorama sindacale italiano è alto e spesso sono le piccole organizzazioni a pungolare i giganti dormienti, ma potremo eventualmente parlarne.
Tornando a noi, alla luce del fatto che il problema salariale nel Paese si è creato principalmente a causa dell’indebolimento del potere contrattuale del fronte del lavoro, ve la sentite di indebolire ulteriormente la trattativa? E non mi rispondete con la solita storia del sindacato indegno perché sullo schifo che regge i sindacati italiani ho scritto decine di volte e sono perfettamente d’accordo: ma non è lanciando la palla in tribuna che la sfanghiamo.
Vi esorto a considerare due posizioni: Bonomi ha detto che l’introduzione del salario minimo legale lascia indifferente Confindustria. Penso basti questo: gli industriali italiani, sensibilissimi alla minimizzazione del costo del lavoro, se ne fregano del salario minimo legale. Visco, poi, che a più riprese si è detto preoccupato circa i rischi connessi alle dinamiche prezzi/salari e dunque favorevole al contenimento dei secondi, ha dichiarato il suo apprezzamento verso l’idea del salario minimo legale. Secondo voi chi è più sveglio: Bonomi è Visco da un lato o Landini e Schlein dall’altro?
La politica dà e la politica toglie: ve la sentite voi di firmare questa cambiale in bianco in favore di chi per almeno trent’anni ha ampiamente dimostrato di perseguire un’agenda autenticamente neoliberale? Sicuri che non ci sia una fregatura sotto?
La direttiva europea, a più riprese citata in questi mesi, è una zozzeria: indica la produttività come parametro principe per la determinazione del salario minimo e autorizza gli stati a operare trattenute, anche per singoli settori, che portino al di sotto di tale soglia in casi emergenziali, urgenti: non vi ricorda nulla?
E tutto questo senza nemmeno entrare nel merito dello strumento, che andrebbe visto e strutturato in maniera adeguata e approfondita. Come pure nulla sto dicendo del fatto che non di sola retribuzione campiamo: lo stato sociale? Pure quello è stato destrutturato a causa della fine della partecipazione democratica del lavoro, sia nel «piccolo» stato, l’impresa, che nel «grande stato», il paese (per citare e ricordare il compianto maestro, Umberto Romagnoli).
Non vi illudete: solo i lavoratori possono salvare i lavoratori e solo il lavoro può salvare il lavoro. Il resto finirà come l’articolo 18: prima ce lo danno e poi ce lo tolgono quando siamo più deboli.
Il rischio che vedo addensarsi è quello di un indebolimento ulteriore della contrattazione collettiva che potrebbe essere un ottimo preludio a ulteriori attacchi nei confronti del mondo del lavoro: attacchi dai quali sarebbe ancora più complicato difendersi. Occhio.
FONTE: https://www.lafionda.org/2023/07/05/il-salario-minimo-non-ci-salvera-anzi/
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