UNA POSSIBILE DEFRAMMENTAZIONE RUSSA, L’OCCIDENTE È PRONTO A TALE SCENARIO?
di NOTIZIE GEOPOLITICHE (Lorenzo Pallavicini)
Il tentativo operato dal leader del gruppo paramilitare Wagner, Prigozhin, di sostituire il comando delle forze armate regolari russe, ovvero il ministro della Difesa Shoigu e il comandante Gerasimov, messo in atto con modalità senza precedenti nell’era Putin, ha mostrato alle cancellerie mondiali qualche crepa nel monolite politico russo, pur essendo chiaro che il tentativo di Prigozhin non aveva l’appoggio delle forze armate e neanche dei servizi segreti, ad oggi ancora in buona parte fedeli al regime attuale.
Tale episodio ha dato nuovo slancio ad alcuni paesi europei, in particolare quelli più timorosi di Mosca, ovvero i paesi baltici e la Polonia, per sostenere politicamente le istanze del forum delle libere nazioni di Russia, nella considerazione che solo una Federazione Russa divisa in tanti stati autonomi possa cessare di essere una minaccia militare e politica, ritenendo il governo russo odierno uno stato imperialista che ha nel suo DNA l’espansionismo territoriale, perseguito anche in modo militare.
Tale organizzazione si compone di “movimenti interni alla Federazione”, in crescita rispetto al passato, provenienti da ogni angolo russo (Siberia, Urali, Ingria, Daghestan, Kaliningrad etc.), ma ancora esigui, non strutturati e senza referenti politici di rilievo in patria. Il loro scopo è sostenere, in modo non violento, la “decolonizzazione” delle regioni indigene sotto Mosca e porre fine all’imperialismo russo guidato da Vladimir Putin.
Tali teorie rappresentano per Mosca il peggior scenario possibile come esito finale del conflitto in Ucraina, ovvero la disintegrazione dello stato unitario russo che vedrebbe così, dopo la caduta nel 1991 dell’URSS, una nuova deframmentazione in stati indipendenti dove il centralismo di Mosca finirebbe per controllare solo più uno stato con confini e risorse assai ridotte.
Il progetto non è condiviso da tutti i paesi europei, ma l’apparizione di prime crepe nella maginot putiniana potrebbe favorire approfondimenti di tale pensiero, nella considerazione che una Russia fatta a pezzi sia più gestibile in un futuro post guerra, una eventualità che prevede una sconfitta militare completa sul campo, compresa la penisola della Crimea, essenziale affinché i vertici militari russi possano avere reale interesse a rovesciare chi avrebbe portato la Russia alla sconfitta militare più grave dai tempi della fallita invasione dell’Afghanistan degli anni Ottanta.
E’ nella tradizione russa avere, a seguito di sconfitte militari, cambi di regime, sin dalla disastrosa guerra nippo russa degli inizi del Novecento, il cui esito fu la miccia che accese la prima rivoluzione russa del 1905 con l’istituzione di un parlamento, la Duma, passando per il fallimento afghano, determinante per far prendere coscienza ai russi e anche al politburo dell’ineludibile crollo del sistema sovietico.
E’ significativo che persino il parlamento europeo, sotto l’egida del gruppo dei Conservatori Riformisti di cui il Partito Diritto e Giustizia polacco è membro di maggioranza, a gennaio abbia ufficialmente ospitato tale forum, una indicazione di come una parte dell’Europa non tema troppo le conseguenze che potrebbero potenzialmente derivare da una disintegrazione dello stato russo così come lo conosciamo ora.
Tale prospettiva non pare essere sostenuta dal vero king maker occidentale, gli Stati Uniti, i quali nutrono forti riserve su questa possibilità considerando che la parte asiatica, quella più ricca di materie prime come gas, petrolio e minerali, finirebbe sempre di più sotto l’influenza cinese, vero spauracchio per Washington.
Nonostante l’amministrazione Biden sia prima per forniture militari per Kiev, essa è conscia del pericolo di una divisione della Federazione Russa in molti stati autonomi con un arsenale nucleare che avrebbe necessità di essere collocato in modo appropriato e sicuro, ritenendo difficile, stanti le condizioni politiche, arrivare ad accordi come quelli del 1994 del Memorandum di Budapest in cui l’Ucraina rinunciò volontariamente alle testate nucleari ereditate dalla ex Unione Sovietica di cui era in possesso.
Le future elezioni europee del 2024, specie in caso di accordo politico tra il gruppo dei Conservatori Riformisti e quello dei Popolari Europei, potrebbero portare ulteriore acqua al mulino del forum dei paesi indipendenti, specie se la Polonia continuasse ad accrescere il suo peso politico all’interno della UE e della NATO, mantenendo un ruolo di primo piano nel gruppo europarlamentare dell’ECR.
Sebbene la questione della deframmentazione della Russia non possa essere all’ordine del giorno del prossimo consiglio NATO, sarà interessante verificare quale atteggiamento l’alleanza atlantica terrà nei confronti delle richieste, sempre più pressanti, dell’Ucraina per un futuro ingresso nella NATO, per Kiev unica garanzia possibile affinché l’invasione russa non possa ripetersi.
Se l’iter per l’ingresso nella Nato dovesse essere più semplice del previsto, sarebbe il segnale che la Nato non avrebbe più timore delle reazioni russe, anche verso ciò che è più difficile accettare per Putin in quanto minaccia per la sicurezza russa, ovvero l’ingresso di una nazione come l’Ucraina nella NATO, una mossa che renderebbe implicito anche il non considerare più un tabù una possibile deframmentazione russa come seguito naturale di una caduta del regime russo.
Ad oggi, il forum dei paesi indipendenti non rappresenta una minaccia per il sistema putiniano, non essendo ancora entrata nella maggioranza dei paesi occidentali l’idea che tale sistema possa davvero cadere. Tuttavia, i sostenitori di una Russia “sistemata una volta per tutte”, ovvero ridotta nel suo areale e sfera di influenza con la creazione di tanti nuovi stati, potrebbero aumentare e, specialmente se la sconfitta militare totale per Mosca diventasse una concreta possibilità, vi sarebbe benzina per aprire la strada a scenari impensabili ad oggi.
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