I prezzi alti hanno (forse) le ore contate ma quello che ci aspetta potrebbe essere peggio
di TODAY (Daniele Tempera)
Christine Lagarde ha alzato per l’ennesima volta il costo del denaro: l’inflazione per la Bce scende più lentamente del previsto. Ma la dinamica rende sempre più concreto il rischio recessione. Ne abbiamo parlato con l’economista Paolo Canofari
Di tagli non si parla categoricamente. A settembre si discuterà eventualmente se fermare l’aumento dei tassi di interesse nell’eurozona (attualmente al 3,75%) o proseguire sulla stessa strada tracciata ormai da mesi. Del resto l’espressione bellicosa, e piuttosto insolita, con cui Christine Lagarde ha annunciato lo scorso giovedì 27 luglio 2023, l’undicesimo rialzo consecutivo del costo del denaro, non lascia spazio a dubbi o interpretazioni. La banchiera centrale europea ha affermato che la Bce è determinata a “spezzare la schiena dell’inflazione”. Frase che ha fatto sorridere qualche italiano e ricordato proclami non proprio felici del nostro passato. Rimane l’evidenza: il costo del denaro non è stato mai così alto in Europa negli ultimi 23 anni e le conseguenze potrebbero non farsi attendere.
Quanto è concreto il rischio di una recessione in Italia e in Europa
Il dato è che in Italia e in Europa l’inflazione sta scendendo. Lo certifica l’Istat, con stime che potete vedere nel grafico sotto. L’aumento dei prezzi al consumo si è quasi dimezzato dallo scorso novembre, ma non per tutti i prodotti. Quelli alimentari, ad esempio, costano ancora l’11% in più dell’anno scorso. E anche i beni energetici, nonostante gli aumenti siano sensibilmente calati da quelli record degli scorsi mesi, fanno registrare incrementi non irrilevanti.
“L’inflazione scende, ma ancora a un livello abbastanza lento. Il tasso dell’inflazione dell’eurozona è del +5.5% a oggi, abbastanza superiore al 2% che è l’obiettivo dichiarato della Bce. Il rialzo dei tassi di interesse si inserisce in quest’ottica – sottolinea Paolo Canofari, professore associato in Politica Economica presso il dipartimento di Scienze Economiche e Sociali dell’Università Politecnica delle Marche – bisogna vedere cosa succederà a settembre e quali saranno i dati, di certo un rischio recessione è concreto al momento”.
Per ora la parola usata a Francoforte è “rallentamento”: tutte le economie europee stanno frenando a causa dell’aumento dell’alto costo del denaro. Ma le prime avvisaglie di una contrazione negativa del Pil e di una vera e propria recessione arrivano dalla locomotiva europea: la Germania. Il prodotto interno lordo tedesco ha fatto registrare due flessioni consecutive: nell’ultimo trimestre del 2022 (-0.5%) e nel primo trimestre del 2023 (-0.3%). E a giugno anche i prezzi sono tornati a crescere.
“L’aumento dei tassi di interesse della Bce agisce direttamente sull’economia con l’aumento del costo del credito concesso dalle banche a famiglie e imprese e ha quindi un impatto diretto sull’economia” spiega Paolo Canofari. Tradotto: più si alza il costo del denaro, più gli interessi che si pagano quando si chiede un credito sono alti. Lo sperimentiamo, nel nostro quotidiano con i mutui, ad esempio. Ma gli stessi principi sono validi anche per i finanziamenti alle imprese. È intuitivo che questa dinamica, se protratta, tende a contrarre le attività economiche e produttive. Più questa contrazione è rilevante e ripetuta nel tempo, più si rischia di avere una variazione del Pil negativa e quindi una recessione con tutte le conseguenze che ne derivano su lavoro, salari, occupazione, consumi ecc.
“Le ultime previsioni della Bce, dello scorso 15 giugno, scongiurano al momento il pericolo di recessione parlando di crescita per la zona euro di +0.9% per quanto riguarda il 2023 e del +1.5% per il 2024, ma in Europa ci sono già le prime avvisaglie – spiega Canofari che sottolinea – L’aumento dei tassi in questa fase è per molti aspetti inevitabile, ma può continuare ancora per poco. Dobbiamo capire per quanto andrà avanti ancora e quali saranno gli effetti sull’economia reale”.
Dalla pandemia all’Ucraina, la lunga strada del rialzo dei prezzi
Quello che è certo è che l’inflazione che stiamo attraversando è un fenomeno variegato. In Europa non sperimentavamo da decenni un rialzo così sostenuto dei prezzi. Per molti economisti è il frutto avvelenato di due sciagure: da un lato la guerra e dell’altro il Covid-19.
“Nel post-pandemia si sono create dinamiche che hanno portato a problemi di approvvigionamento, con rialzo delle materie prime e ritardi nelle forniture che hanno contribuito a far lievitare i prezzi – spiega Canofari – la guerra, con la conseguente crisi energetica ha di fatto aggravato uno shock già presente. Non scordiamo che, specialmente all’inizio, la Bce veniva accusata di inerzia rispetto alla Fed (la banca centrale Usa N.d.r.) che si è mossa prima con l’aumento dei tassi”.
Ma è indubbio che ci siano molti segnali che il trend stia cambiando: dalla deflazione in atto in Cina fino alla diminuzione della componente energetica dell’inflazione. Ed è innegabile che, anche per effetto dell’aumento dei tassi promosso da Francoforte, l’inflazione sia diminuita in quasi tutti i paesi europei, come certifica anche l’Eurostat.
Un trend di decrescita omogeneo su cui si inserisce anche il nostro Paese, con l’unica eccezione della Germania che fa registrare un lieve aumento dei prezzi a giugno. Colpisce invece il dato della Spagna, il primo paese europeo a riportare l’aumento dei prezzi sotto al 2%: ovvero a raggiungere l’obiettivo stabilito dalla Bce. Ma ha senso allora proseguire con l’aumento dei tassi? La chiave è forse scomporre l’aumento dei prezzi in più componenti e considerare l’aumento del costo del denaro come un farmaco che ha delle gravi conseguenze collaterali, ma che in determinati casi è essenziale.
“La cosiddetta ‘inflazione core’, ovvero il rialzo dei prezzi al netto di cibo ed energia, è persistente e sta scendendo molto più lentamente di quella generale – spiega Canofari – e quando l’inflazione diventa persistente, c’è il rischio di alimentare le aspettative inflazionistiche che poi influenzano l’inflazione reale o di creare una spirale prezzi salari, anche se non è certo il caso dell’Italia e dell’Europa in questo momento. Per questo si insiste su una politica economica di tipo restrittivo”. Ma il rialzo dei prezzi non colpisce tutti allo stesso modo.
Più colpiti i lavoratori, meno le imprese: se l’inflazione è da profitti
Il dato è che in Europa (a differenza che negli Usa), l’inflazione è trainata in maniera preponderante dai profitti delle imprese, come osservano l’Ispi e anche gli economisti della Bce. I profitti delle imprese avrebbero contribuito in Europa al 60% dell’inflazione complessiva tra il 2022 e il 2023. E se, nella prima fase, erano i beni energetici a fare registrare extraprofitti, oggi sono soprattutto il settore agricolo, manifatturiero, dei trasporti e della distribuzione. Il tutto mentre nel Vecchio Continente, e in particolare in Italia, i salari restano al palo, con i lavoratori che vedono così erodere gran parte del loro potere di acquisto.
“L’aumento dei profitti è un driver molto rilevante dell’inflazione soprattutto se comparata con i salari – spiega Canofari – Questo vuol dire che l’inflazione si sta diffondendo su tutti gli operatori in maniera diversa. Impatta molto più sui lavoratori che sulle imprese, soprattutto in Europa, perché i salari crescono, ma molto meno dei profitti. C’è di fatto uno spostamento di reddito reale dai lavoratori alle imprese, perché l’inflazione colpisce al momento in maniera differente. Anche per questo è essenziale che il fenomeno rientri nel più breve tempo possibile”.
E l’impressione è che, nel post-pandemia, molte aziende abbiano aumentato il prezzo dei listini per l’incremento dei costi di produzione e di approvvigionamento logistico, per poi lasciarli invariati anche quando le condizioni sono mutate.
Non è un caso che, durante i primi mesi della guerra in Ucraina, in molti abbiano insistito su una tassa sugli extraprofitti che per ora coinvolge solo le aziende del settore energetico e che (al momento) non ha generato quanto ci si aspettava. Ma l’evidenza è che qualcosa di simile potrebbe essere utile anche in altri settori. Secondo un’analisi di Oxfam, solo nel settore food and beverage 18 colossi hanno realizzato, in media nel biennio 2021-2022, oltre 14 miliardi di dollari all’anno di extraprofitti. Segno che, per qualcuno, la grande inflazione può rivelarsi anche una gallina delle uova d’oro.
Ma, mentre si continua a gettare acqua sul fuoco con l’aumento dei tassi e la fine dell’acquisto di titoli pubblici da parte della Banca centrale europea, il rischio recessione torna a fare capolino. L’Eurostat ha certificato la flessione del Pil dello 0,1% nel primo trimestre del 2023, nei paesi dell’area euro, rispetto a quello precedente. L’Italia, per una volta, è in controtendenza: da noi è cresciuto dello 0,6% nello stesso periodo considerato. Ma non è detto che il trend positivo possa continuare. E il rischio è quello di trovarsi a fronteggiare, dopo quella dell’aumento dei prezzi, una nuova emergenza.
Fonte: https://www.today.it/economia/inflazione-tassi-alti-recessione.html
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