La cultura giuridica sull’orlo dell’abisso. Legittimare il diritto alla vendetta
DA LA FIONDA (Di Giovanni Messina)
Seguendo il ragionamento fatto da Domenico Gallo in alcuni recenti interventi[1], ci sembra necessario esortare a riflettere sulle implicazioni giuridiche e morali degli eventi delle ultime settimane. Sui significati politici e filosofici di alcune prese di posizione e di alcune analisi sull’atroce attacco al territorio israeliano del 7 Ottobre e sulla successiva rappresaglia da parte dello Stato d’Israele. Non troppi anni fa, in uno dei suoi testi caparbiamente dedicati a gettare la luce della rigorosa analisi sul terreno complesso e a volte contorto della politica internazionale, Danilo Zolo rifletteva sull’idea di terrorismo, ricostruendo il dibattito nell’ambito della dottrina gius-internazionalistica e degli organismi internazionali intorno alla definizione del fenomeno, per delineare i contorni di un concetto, divenuto nel corso degli ultimi decenni sempre più presente nell’analisi politologica e sociologica. Zolo evidenziava come anche dal dibattito teorico emergesse quanto fosse sfuggente, a fronte di una pretesa ovvietà, il concetto di terrorismo, poiché la definizione di quando un’azione violenta sia terroristica e quando non lo sia non può prescindere dal punto di vista politico, ideologico, religioso dal quale si analizza un determinato evento[2]. Soprattutto però Zolo richiamava l’attenzione su come oggi sia ormai impossibile distinguere violenza terroristica da violenza militare, perché gli elementi che in qualche modo rendevano la seconda, almeno in certe circostanze, ‘legittima’ sono da tempo venuti meno.
L’idea di un’azione violenta ‘regolata’ e contenuta nella sua efferatezza, in quanto azione svolta da un esercito regolare, è improponibile nelle condizioni contemporanee. Prima di tutto per le capacità devastatrici degli armamenti che da circa un secolo hanno reso la popolazione civile obiettivo quasi inevitabile delle azioni belliche. Muovendo da questa considerazione, purtroppo difficilmente contestabile, non sembra utile l’insistenza di Luigi Ferrajoli sulla differenza che vi sarebbe tra guerra e terrorismo. In due interventi di queste ultime settimane (il manifesto del 10 e del 21 ottobre) viene condannata la reazione militare israeliana non solo sotto il profilo etico-politico[3], che del resto implica una critica radicale dell’intero percorso politico del governo presieduto da Netanyhau e di quelli che lo hanno preceduto, ma anche sotto il profilo della cultura giuridica, poiché l’azione ‘punitiva’ israeliana si sarebbe adeguata alla ferocia dell’attacco di Hamas avendola considerata come un’azione militare e per questo reagendo sul piano della logica bellica; cioè con una reazione di pari livello (leggi ferocia) a un’azione di guerra. Ferrajoli sostiene che con questo ‘errore’ politico e prima di tutto teorico si è degradata la “ragion di Stato”, l’agire di un soggetto politico sovrano, al livello dell’attività criminale di un soggetto, Hamas, che non è uno Stato né un esercito formalmente riconosciuto ma un’organizzazione terrorista e, per l’appunto, criminale.
L’essere un soggetto illecito e l’agire in maniera illegale, realizzando crimini, determina la natura della reazione che un’entità legale dovrebbe mettere in campo per contrastare, reprimere e punire l’operare terroristico. L’attività punitiva dovrebbe essere un’attività di polizia, volta a individuare i colpevoli, ad arrestarli e a giudicarli, proprio perché un apparato statale non ha la stessa natura di un soggetto delinquente e non dovrebbe, pena mettersi sullo stesso piano dell’attore criminale (in questo caso dei terroristi), agire con le modalità che denuncia ma in maniera asimmetrica. Insomma, siamo davanti a una distinzione fondamentale della civiltà giuridica, quella tra legalità e illegalità, tra forza (violenza) esercitata in spregio a ogni limite e per fini illeciti e forza (violenza) esercitata da un ordinamento giuridico-politico per reprimere i comportamenti criminali. Aver definito l’eccidio commesso da Hamas come un “atto di guerra” ha comportato (o forse sarebbe meglio dire che ha consentito) una reazione da parte dello Stato israeliano che ha potuto presentarsi come un necessario atto di difesa e dispiegarsi come l’azione totale di un esercito ‘regolare’ in guerra. All’agire terroristico di uomini fuorilegge, sostiene Ferrajoli, si dovrebbe opporre l’azione punitiva di un’organizzazione legale (qual è uno Stato) che come obiettivo ha il rispetto del diritto e che per questo agisce secondo il diritto e non sul terreno della brutale violenza; legittimando per tal via la barbarie. Riteniamo che questa analisi non colga nel segno rispetto a quel che è accaduto, che si configura come una ‘caduta’ della nostra cultura giuridica ancora più grave. Un vero abisso giuridico.
Se sotto il profilo teorico infatti la distinzione tra violenza criminale e forza legittima (perché volta a reprimere l’illiceità) è incontestabile, quanto è accaduto in queste settimane sotto i nostri occhi è l’aver conclamato la vendetta, tanto più brutale e sanguinaria quanto più giustificata, come diritto fondamentale di una comunità, che lo esercita attraverso il suo apparato militare. Non è vero infatti che l’aggressione del 7 ottobre sia stata essenzialmente definita un “atto di guerra” ma, al contrario, è stata qualificata, proprio a legittimazione e provocazione dello sgomento generale, come atto barbaro, di fanatici e disumani terroristi. Per questo l’azione dello Stato di Israele è a sua volta sconcertante e appare mostruosa; in quanto essa è stata esplicitamente giustificata come risposta all’orrore ma, questo il punto, rivendicando il diritto a esser di pari segno. Delineandosi esplicitamente come una rappresaglia. Meglio, come una vendetta legittima, per la crudeltà subita. Non come il “diritto all’autodifesa” riconosciuto dalla Carta dell’ONU, ricordato da Luca Baccelli ma come un occhio per occhio veterotestamentario[4], per cui l’offesa può esser mondata solo con un’altra offesa di pari entità. Qui sta la questione, anzi la drammaticità, di quanto sta accadendo in questi giorni. Aver udito molti ergersi ad alfieri della civiltà giuridica, anzi della Civiltà tout court, rivendicando il diritto alla vendetta. Dinanzi a questo abisso della Ragione, ci sembra essenziale il monito di Zolo richiamato prima.
Nel mondo contemporaneo il terrorismo non è più un fenomeno imputabile a gruppi fuorilegge. L’agire militare, l’uso delle armi esistenti anche da parte di eserciti statali, è ormai in sé terroristico; poiché implica devastazione e massacri. Solo l’esistenza di un’istituzione mondiale in grado di impedire la circolazione e l’uso dei terribili strumenti di morte che abbiamo a disposizione potrebbe salvarci. Un’utopia, un’ingenuità, sembra oggi, in un mondo sempre più popolato dai mostri di una ragione obliata.
[1] D. Gallo, Medio Oriente: il sonno del diritto genera mostri e Gaza: non è difesa è genocidio, in DomenicoGallo.it (blog), pubblicati rispettivamente il 17 e il 30 Ottobre. Vedi anche l’articolo di Lorenzo Palaia su questa rivista Terrore e forza legittima: una dialettica sempre presente nella storia, pubblicato il 23 Ottobre 2023.
[2] D. Zolo, Terrorismo umanitario. Dalla guerra del Golfo alla strage di Gaza, edizioni Diabasis, 2009.
[3] Vedi L. Ferrajoli, Terrorismo, non guerra. L’errore che condiziona la risposta, il manifesto del 10 Ottobre 2023 e Per un atto di umanità e di lungimiranza politica, il manifesto 220 Ottobre 2023.
[4] L. Baccelli, Gaza e il diritto internazionale violato, il manifesto del 17 Ottobre 2023 ma anche A. Latino e L. Baccelli, Punto per punto, tutte le gravissime violazioni di Tel Aviv, il manifesto del 28 Ottobre 2023.
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