Il teatro di guerra in Medio Oriente rischia di allargarsi?
DA LA FIONDA (Di Paolo Arigotti)
La situazione nella striscia di Gaza è di per se stessa tragica, ma il timore da più parti espresso è che il conflitto possa allargarsi, fino a degenerare in guerra regionale, se non peggio.
Uno dei possibili nuovi fronti è il Libano, diviso da Israele dal confine chiamato (dalle Nazioni Unite) linea blu[1], e mai chiaramente delimitato, anche perché tra i due stati non sono mai state instaurate relazioni diplomatiche, ne c’è mai stato un riconoscimento formale. Le due nazioni sono ancora oggi in stato di belligeranza, praticamente ininterrotto negli ultimi settant’anni, ragion per cui il cosiddetto confine è più che altro una linea di demarcazione lungo la quale è avvenuto, più di vent’anni fa, il ritiro (non completo) dell’esercito di Tel Aviv.
Il Libano, inoltre, è la sede ufficiale di Hezbollah, organizzazione paramilitare islamica sciita e antisionista (il cui nome significa “partito di Dio”), con la quale le forze dello stato ebraico si sono scontrate a partire dal giorno successivo all’attentato di Hamas del 7 ottobre [2]: le operazioni belliche nella prima metà del mese hanno coinvolto perfino le basi dell’ONU, mettendo in pericolo anche il contingente di circa un migliaia di unità dei nostri militari, di stanza per conto delle Nazioni Unite.
Il leader indiscusso del movimento è Hassan Nasrallah, a partire dal 1992, quando subentrò ad Abbas al-Musawi, ucciso da Israele. Fondata nel 1982, Hezbollah ha un ruolo politico in Libano, dove rappresenta il terzo partito e fa parte della compagine di governo, ma soprattutto è legatissima all’Iran, che ne sostiene, anche finanziariamente, l’azione. L’organizzazione, oltre che in Libano, è attiva in Iraq e in Siria, dove nel corso dell’ultradecennale guerra civile ha combattuto dalla parte del presidente Bashar al-Assad.
Gli scontri con lo stato ebraico non iniziano naturalmente poche settimane fa, ma sono una costante da decenni: nel 2006 Hezbollah è stata protagonista di un conflitto lampo con Israele, nel quale i miliziani hanno dato prova di un grande potenziale, tanto da riuscire a tenere testa e infliggere sconfitte all’IDF. Nonostante le forze di Tel Aviv possano vantare ancora oggi circa centomila unità, resta viva la memoria di quella battaglia, quando non soltanto lo stato ebraico non riuscì a prendere le località che si proponeva lungo la linea blu, ma finì in una trappola tesagli da Hezbollah, che approfittando della migliore conoscenza del territorio e della sua composizione orografica, riuscì a mietere numerose vittime tra le fila israeliane.
Per quanto si tenda talvolta a confonderli, il “partito di Dio” non ha nulla a che vedere con Hamas[3]: le due formazioni appartengono alle due distinte comunità del mondo musulmano (Hezbollah è sciita, Hamas sunnita), e si sono perfino divise in diversi teatri. Per via dell’ispirazione fondamentalista ambedue sono considerate terroriste da diversi stati: Hamas è definita tale da UE, USA, Canada, Giappone ed Egitto, oltre naturalmente da Israele.
Tuttavia, mettendo da parte le divisioni, i leader delle due organizzazioni, tra i quali il capo militare di Hamas Mohammad Deif e il comandante delle brigate Ezzedin al-Qassam[4], si sono incontrati nei mesi scorsi a Beirut per mettere a punto il cosiddetto “asse di resistenza” contro Israele, con l’obiettivo di cingere d’assedio e impegnare le forze armate di Tel Aviv su diversi fronti: ricordiamo che Hamas non è operativa solo a Gaza, ma pure nel sud del Libano, al pari di altri gruppi minori. Questo non significa che le due organizzazioni abbiano definitivamente accantonato i loro dissidi, ma solo che li stanno temporaneamente mettendo da parte per unire le forze contro il nemico comune, slogan rivelatosi estremamente efficace per la cosiddetta propaganda pan islamica.
Le operazioni belliche finora condotte, suddivise in varie azioni e sortite, hanno visto anche con l’utilizzo di droni, con diverse vittime, specie tra i combattenti asserragliati nei pressi della famosa linea blu; inoltre, l’inasprimento dell’offensiva militare israeliana e dei bombardamenti nella striscia di Gaza, accompagnati dall’annuncio di un’azione di terra, ha scatenato a fine ottobre una dura risposta di Hezbollah, con lanci di razzi che sono penetrati dentro i confini d’Israele, colpendo alcuni centri dell’alta Galilea e facendo risuonare gli allarmi aerei fino ad Haifa, arrivando a minacciare da vicino le capitali dello stato ebraico. Le difese dell’organizzazione islamica, inoltre, sono state in grado di abbattere diversi droni di Tel Aviv.
In merito al numero delle vittime regna da ambo le parti la più assoluta incertezza, non soltanto perché si tratta di operazioni ancora in corso, ma pure per via della propaganda diffusa da tutti i contendenti.
Le vittime si contano, purtroppo, anche tra i civili, a cominciare da quelle dei raid israeliani. Nel sud del Libano si sono registrati i primi flussi di profughi, diretti soprattutto verso il monte Libano, mentre la città di Beirut, dove ha sede il quartier generale di Hezbollah, è considerata poco sicura dopo i bombardamenti israeliani del 2006; tra gli sfollati non sono mancate occasioni di contrasto, specie tra quelli di diverse nazionalità, come ad esempio tra libanesi e siriani.
Nel pomeriggio del 3 novembre, in occasione di una grande manifestazione alla periferia di Beirut, il leader di Hezbollah Nasrallah ha negato qualunque coinvolgimento diretto della sua organizzazione o dell’Iran nelle azioni del 7 ottobre, pur incitando Hamas alla vittoria, chiedendo la fine delle ostilità e sottolineando la debolezza dello stato ebraico, cui lancia anche un preciso avvertimento: Hezbollah entrerà in guerra in caso di attacco contro le proprie forze e/o contro il Libano, fermo restando che continuerà le azioni mirate contro Israele e il suo governo considerato colpevole di gravi violazioni dei diritti umani[5].
Chiaramente Israele, Hezbollah e Hamas, assieme al popolo palestinese, non esauriscono gli attori coinvolti, anche potenzialmente dal conflitto.
Cominciamo con l’Arabia Saudita. In un recente video[6] pubblicato sul canale di Limes, Cinzia Bianco, ricercatrice presso lo European Council on Foreign relation, ha esaminato le prospettive dei rapporti tra Israele e la monarchia assoluta del Golfo dopo lo scoppio delle ostilità, tenendo presente che nelle settimane precedenti quel fatidico 7 ottobre le due nazioni sembravano a un passo da uno storico accordo, che avrebbe previsto il reciproco riconoscimento e lo scambio di rappresentanze diplomatiche.
In questo momento, ovviamente, ogni intesa risulta congelata, ma non necessariamente accantonata[7]: sono molti gli attori interessati a una ripresa del dialogo, tra i quali possiamo annoverare il presidente americano Joe Biden, il quale vorrebbe intestarsi il successo diplomatico in vista delle elezioni del prossimo anno: la reazione molto forte da parte di Riyad, del tutto comprensibile visto il contesto, non necessariamente potrebbe chiudere tutte le porte, specie a causa delle molte pressioni che arriveranno, specie nel lungo periodo. Nel frattempo, visto che nessun politico americano che aspiri alla Casa Bianca e/o a un ruolo politico importante potrebbe mai sognarsi di mettersi contro lo stato ebraico[8], vengono annunciati i primi aiuti a Tel Aviv, mentre alcune portaerei americane hanno preso la via del Medio Oriente.
E occorre tener presente che l’Arabia Saudita, da sempre (a parole) schierata a favore della causa palestinese, non si è mai sognata di imporre un embargo sul petrolio per sostenere le rivendicazioni di quel popolo: al massimo ha risposto negativamente alle richieste occidentali di aumentare la produzione per contenere i prezzi del greggio, ma qui parliamo di uno scenario molto diverso da quello attuale, che nulla aveva a che vedere con la Palestina[9]. E lo stesso discorso si potrebbe fare per altri paesi arabi.
Quel che stiamo cercando di spiegare è che visti gli interessi in gioco, la stessa dura presa di posizione iniziale di Riyad potrebbe nel tempo sfumare, specie quando l’indignazione popolare si andrà riassorbendo: una considerazione che potrebbe forse far tirare un sospiro di sollievo a coloro che paventano l’allargamento del conflitto, ma che rappresenterebbe una brutta notizia per i sostenitori (genuini) della causa palestinese.
Ma lo scenario mediorientale è ancora più complesso.
L’Iran, al contrario dei sauditi, ha un atteggiamento molto meno conciliante ed è dotato di un significativo apparato e potenziale militare[10], pure grazie all’appoggio di Russia e Cina. Al proposito delle due nazioni, considerate leader del nuovo blocco orientale, ricordiamo che nei giorni scorsi a Mosca è stata ricevuta una delegazione di Hamas, episodio che ha suscitato le ire degli israeliani e nuociuto alle relazioni bilaterali[11], mentre la Cina, che ha nella regione mediorientale interessi colossali, ha inviato alcune unità della sua marina militare nel Mediterraneo[12].
Ora, visto e considerato che l’Iran è alleato di Russia e Cina e che la repubblica islamica finanzia e rifornisce di armamenti Hezbollah, e anche Hamas[13], si capisce bene cosa ci sarebbe in gioco se Teheran decidesse di intervenire direttamente, senza contare i riflessi che una simile decisione potrebbe produrre nei rapporti coi sauditi, recentemente ripristinati grazie alla mediazione di Pechino.
Per restare nei dintorni, parliamo dello Yemen, per meglio dire del governo di Sanaa, considerato vicino a Teheran, che ha già lanciato un drone e diversi missili contro il meridione d’Israele e il mar Rosso (attraversando lo spazio aereo saudita): si è trattato di una chiara manifestazione di quali parti prenderebbe il paese di fronte allo scoppio di un conflitto regionale[14], oltretutto col pericolo di un riaccendersi di una guerra (quella civile yemenita) che ha già provocato centinaia di migliaia di morti e milioni di sfollati.
Inoltre, già si palesano i primi focolai in Siria, bombardata da Israele nei giorni scorsi[15], e in Iraq[16], dove le milizie filoiraniane hanno lanciato nuovi attacchi contro Israele; e poi vogliamo parlare dell’Algeria[17], schierata incondizionatamente coi palestinesi, senza dimenticare che il paese nordafricano è divenuto uno dei nostri maggiori fornitori di gas dopo la decisione europea di staccarsi dalla Russia.
Tra le mille contraddizioni che caratterizzano questa tormentata area del globo figura certamente il piccolo (in senso geografico) Qatar, che da un lato ospita una importantissima base militare americana (Al Udeid), e dall’altra finanzia Hamas, ospitando alcuni dei suoi maggiori leader, nella sua lotta contro Israele[18]. Ricordiamo che tra il 2017 il 2021 il piccolo regno del Golfo venne messo sotto embargo e boicottato da sauditi ed emiratini, proprio a causa dei suoi legami con gli islamisti radicali, dai quali poi si sarebbe allontanato, ottenendo così la revoca delle sanzioni, senza per questo reciderli del tutto: prova ne è il fatto che gli americani abbiano domandato l’aiuto di Doha nella delicata questione degli ostaggi.
Last, but not least, abbiamo la Turchia, paese che negli anni passati aveva intensificato i legami politici ed economici con Israele, ma che oggi si schiera coi palestinesi, con le durissime prese di posizione di Erdogan[19], che parla di crimini contro l’umanità commessi da Tel Aviv sotto gli occhi del mondo, rischiando così di provocare una nuova frattura nella regione; peraltro, conoscendo il personaggio, trascurare l’ipotesi di una scelta propagandistica e funzionale alla sua opinione pubblica sarebbe imprudente, tanto che la Turchia non ci pensa neppure a recidere i legami con la NATO[20].
Per parte sua il Bahrein[21], uno degli stati del Golfo che aveva firmato gli accordi di Abramo, ha ridotto al minimo i rapporti con Tel Aviv (la Bolivia è arrivata a rompere le relazioni diplomatiche[22]), mentre gli Emirati Arabi Uniti sembrano adottare un approccio più moderato[23], col presidente degli EAU, Mohammed Bin zayed, che è stato tra i primi a telefonare a Netanyahu per fare le proprie condoglianze dopo l’attentato del 7 ottobre.
Quanto detto ci serviva per mettere in evidenza come il conflitto scoppiato a Gaza, col pericolo di una propagazione alla Cisgiordania[24], non interessa solo israeliani e palestinesi, ma finisce per coinvolgere (o potrebbe farlo) le maggiori potenze dell’area, e di riflesso del mondo intero: in questo senso, perdonate il cinismo, in caso di degenerazione in guerra aperta, la prospettiva “migliore” sarebbe quella di un conflitto su scala regionale, perché l’altro sarebbe di gran lunga più devastante, se non peggio; il tutto senza prendere in considerazione le ulteriori le implicazioni geopolitiche ed economiche che ne potrebbero derivare.
In questo intricatissimo (e rischiosissimo) puzzle, rimane ancora una riflessione che vorremmo fare. Lanciando uno sguardo alla storia del Medio Oriente degli ultimi decenni, siamo così sicuri che il destino del popolo palestinese stia veramente a cuore dei diversi attori, a cominciare da coloro che si ergono a difensori delle sue ragioni? Non sarà che in molti casi la “causa” rappresenti piuttosto un utile pretesto, con la quale giustificare rivendicazioni o interessi propri?
Giusto per formulare un’ipotesi tra le tante, se non ci fosse stato l’attacco del 7 ottobre – chi ci fosse dietro ha poca importanza a questi fini – e sauditi e israeliani avessero firmato la pace, al di là delle formule di rito, la preoccupazione per il destino di milioni di persone, sottoposte da anni a un regime di occupazione militare, sarebbe stata così forte in certi ambienti? Ci sia consentito per lo meno di esprimere qualche dubbio.
La verità, e in questo senso sposiamo in pieno la posizione del prof. Vincenzo Costa espressa in una recente intervista[25], è che l’unica soluzione per il Medio Oriente è una conferenza di pace che si occupi a 360 gradi di tutti i problemi della regione, perché se o fin quando permarranno interessi egoistici o settoriali, qualunque soluzione proposta rischierebbe di rivelarsi parziale o inefficace (un esempio, in questo senso, lo offrono i famosi accordi di Abramo).
Il problema è che un processo di pace di questa portata richiederebbe un mediatore credibile e autorevole, e da questo punto di vista lo scenario che si presenta è sconfortante.
Si potrebbero fare molti nomi, ma nessuno ci sembra convincente.
Il candidato ideale, sulla carta, sarebbe l’ONU, ma questa organizzazione, fondata coi più nobili fini, si scontra con la storia del secondo dopoguerra, che parla da sola. Ricordiamo, solo incidentalmente, la recente risoluzione, votata dall’Assemblea generale[26], come tale non vincolante, che a larga maggioranza (120 paesi) ha chiesto una tregua umanitaria per Gaza, col voto contrario degli americani, quello favorevole di Francia e Spagna e l’astensione di Italia[27], Germania e Regno Unito[28].
L’unica forza, a questo punto, può essere quella dei popoli di tutte le fedi o nazionalità, come tutti coloro che sono scesi in piazza e si impegnano da anni per un autentico percorso di pace, anche perché – e questo ci sentiamo di affermarlo senza timore di smentita – sono proprio le persone comuni a volere la pace, non tanto chi le governa (e che in guerra non ci va mai).
E nel momento nel quale coloro che fossero investiti di responsabilità pubbliche non aderissero alla volontà della stragrande maggioranza, allora di tutto si potrebbe parlare, fuorché di democrazia.
[1] www.youtube.com/watch?v=dHjAfYiWwao (canale YouTube Limes):
[2] www.wired.it/article/hezbollah-israele-libano-iran-hassan-nasrallah/; www.britannica.com/biography/Hassan-Nasrallah
[3] www.avvenire.it/mondo/pagine/i-due-nemici-di-israele
[4] www.geopolitica.info/hezbollah-hamas-beirut-iran/
[5] video.corriere.it/discorso-nasrallah-guerra-gaza-diretta-video/c3f9065a-7a3b-11ee-b53e-9ce47cd2f4d8
[6] www.youtube.com/watch?v=C1fDC8lhOF0
[7] Alcune considerazioni al riguardo le avevamo espresse in questo articolo: www.lantidiplomatico.it/dettnews-la_guerra_dei_settantanni_ultima_puntata_per_ora/49440_51188/
[8] www.lantidiplomatico.it/dettnews-la_lobby_israeliana_e_gli_stati_uniti_damerica/49440_51292/
[9] www.repubblica.it/esteri/2022/03/09/news/petrolio_arabia_ed_emirati_chiudono_la_porta_a_biden_sulle_forniture_rifiutata_la_chiamata_del_presidente_usa-340748801/
[10] www.affarinternazionali.it/droni-industria-militare-iran/
[11] www.repubblica.it/esteri/2023/10/27/news/rappresentante_hamas_a_mosca-418857584/
[12] www.ilgiornale.it/news/cronaca-internazionale/sei-navi-guerra-medio-oriente-manovre-cina-nel-golfo-persico-2230602.html
[13] www.corriere.it/esteri/23_ottobre_23/armi-spie-soldi-mille-tentacoli-iran-da-hezbollah-a-iraq-bf193e24-718b-11ee-a36b-700898289415.shtml
[14] www.avvenire.it/opinioni/pagine/miccia-riaccesa-nello-yemen
[15] www.repubblica.it/esteri/2023/10/12/news/damasco_raid_israeliani_in_siria_colpite_damasco_e_aleppo-417617490/
[16] ilmanifesto.it/i-rischi-finora-calcolati-della-guerra-ombra
[17] twitter.com/fulvioscaglione/status/1720187559748259868
[18] www.corriere.it/esteri/23_ottobre_26/qatar-doppio-gioco-dell-emirato-che-ricopre-dollari-hamas-ospita-base-militare-usa-b3ca8b7c-73f7-11ee-9f65-66f00d5f7a1b.shtml
[19] www.ansa.it/sito/notizie/mondo/2023/10/31/erdogan-israele-commette-crimini-davanti-agli-occhi-del-mondo_812205e5-a1e2-43ce-a6a6-0ca732ca3696.html
[20] www.ispionline.it/it/pubblicazione/il-doppio-filo-che-lega-la-turchia-alla-nato-35544
[21] www.reuters.com/world/middle-east/bahrain-parliament-says-envoy-israel-returned-home-israel-says-ties-stable-2023-11-02/
[22] ilmanifesto.it/la-bolivia-rompe-le-relazioni-con-israele-ambasciatori-ritirati-da-cile-e-colombia
[23] www.ilgiornale.it/news/guerra/escalation-grave-emirati-israele-e-medio-oriente-teme-2223288.html
[24] legrandcontinent.eu/it/2023/10/09/israele-e-gaza-nella-guerra-estesa-una-conversazione-con-gerard-araud/
[25] www.youtube.com/watch?v=6VyEPsDVKpA (canale YouTube Il contesto)
[26] www.ilsole24ore.com/art/risoluzione-onu-tregua-umanitaria-gaza-chi-ha-votato-l-italia-l-astensione-AFU2TiQB
[27] infosannio.com/2023/11/01/la-diplomazia-italiana-fa-da-tappetino-al-governo/comment-page-1/
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