L’economia è politica. Recensione al libro di Clara E. Mattei
DA GAZZETTA FILOSOFICA (Di Giuseppe Galleli)
Clara Mattei è una giovane economista italiana, vive e lavora da anni a New York dove è docente alla New School for Social Research, uno dei pochi dipartimenti di Economia al mondo, come lei stessa scrive, «in cui la grande tradizione dell’economia politica classica è accolta e studiata cogliendone il suo forte potere esplicativo sulla società». L’autrice, in questa sua pubblicazione, vuole offrire un paradigma realmente critico e strumenti di autodifesa riguardo la narrazione in voga sul funzionamento attuale dell’economia e della nostra società.
Clara Mattei è una giovane economista italiana, vive e lavora da anni a New York dove è docente alla New School for Social Research, uno dei pochi dipartimenti di Economia al mondo, come lei stessa scrive, «in cui la grande tradizione dell’economia politica classica è accolta e studiata cogliendone il suo forte potere esplicativo sulla società». L’autrice, in questa sua pubblicazione, vuole offrire un paradigma realmente critico e strumenti di autodifesa riguardo la narrazione in voga sul funzionamento attuale dell’economia e della nostra società.
Per chiarire come la nostra economia sia strettamente legata al capitalismo e ne subisca i condizionamenti e gli effetti nefasti, Clara Mattei ci invita a conoscere, comprendere, riflettere e agire, considerato che oggi «la maggior parte della popolazione subisce ingiustizie economiche e sociali profonde e il pianeta è al collasso ecologico».
Recuperando la lezione dei grandi classici – da Smith, a Ricardo fino a Marx – l’autrice sottolinea la profonda incompatibilità fra capitalismo e democrazia, per quanto il capitalismo si sia affermato «a braccetto con la democrazia elettorale». Anzi, a suo parere, la democrazia elettorale, con il pluralismo dei partiti, è «il mezzo fondamentale con cui lo Stato capitalista mantiene il consenso […] ci fornisce l’illusione di avere ampia scelta di intervento sulla società […] dà l’impressione di avere il potere collettivo di decidere sul futuro del nostro Paese, di sostituire i governi al potere con altri che si prospettano migliori e soprattutto diversi».
Nel suo libro dimostra, con un ampio percorso storico, come il sistema capitalistico sia incompatibile con le libertà civili e sociali e produca scelte di austerità per crescere a danno della vita e dei servizi essenziali, costituzionalmente garantiti per i cittadini.
L’autrice è profondamente convinta che «l’economia siamo noi come persone in carne e ossa. Il “capitale” come “merce”, come danaro da investire, come ricchezza (espressa in Pil) esiste in base a specifiche relazioni sociali e, in particolare, grazie al fatto che la maggioranza della popolazione globale non ha alternativa se non quella di vendere la propria capacità di lavorare per un basso salario ed essere retribuita meno rispetto al valore che produce».
Un buon governo, quindi, seguendo la logica insita in questo tipo di economia, deve garantire le migliori condizioni per l’accumulazione di capitale, anche se questa economia presuppone la subordinazione della maggioranza ai rapporti salariati di sfruttamento.
L’autrice sottolinea più volte, e tratta in un capitolo apposito, gli strumenti difensivi e aggressivi del capitalismo denominati “politiche di austerità”, utilizzate fin dagli anni antecedenti la grande guerra in Europa e, in particolare, durante il fascismo in Italia, ma anche dai governi attuali, «per proteggere la governance economica dall’opinione popolare per impedire all’economia di diventare politica […] i cittadini devono essere esclusi dalle decisioni riguardo la distribuzione delle risorse nella società».
E nel suo libro dimostra con analisi storico economiche accurate come «questa vera e propria pulsione della de-democratizzazione dell’economia è una costante nella storia del capitalismo».
L’austerità, a suo parere, è il frutto maturo del sistema capitalistico, per preservarlo e accrescerlo e nello stesso tempo per peggiorare la vita della maggioranza della popolazione.
« L’austerità non è una generica azione sulla spesa pubblica intesa come un tutto, è invece un’azione politica che agisce sulla capacità di spesa delle persone e quindi interviene sulla qualità della vita della maggioranza della popolazione, lasciando sostanzialmente protetta e intoccata quell’élite che non vive del salario e dunque principalmente del proprio lavoro ma gode di rendite (immobiliari, finanziarie ecc.) e profitti. »
Le politiche di austerità, cioè imporre sacrifici alla maggioranza della popolazione per stabilizzare l’economia a favore dei pochi detentori di reddito, a suo parere, sono simili sia nelle democrazie liberali che negli stati autoritari. Basti pensare al funzionamento delle banche centrali con statuto “indipendente”, acquisito proprio nei momenti in cui il pubblico chiedeva di «partecipare alla politica monetaria».
Già nel primo dopoguerra le banche centrali furono legittimate come corpi tecnocratici indipendenti, venendo «gestite esclusivamente secondo linee dettate dalla prudenza finanziaria».
Ancor oggi nulla è cambiato. Clara Mattei scrive: «L’oligarchia del sapere, fondata sul monopolio della scienza pura, è lo strumento con cui giustificare la natura non democratica di un’istituzione dotata di un immenso potere, in grado di condizionare la vita di ciascun cittadino».
Non solo il potere affidato alle banche centrali condiziona la vita dei cittadini, ma lo stesso fanno anche gli organismi internazionali come l’Unione europea, la quale «fin dal Trattato di Maastricht si fonda sul codice dell’austerità e appoggia i tecnocrati consentendo loro di proporre riforme istituzionali che colpiscono alla base i principi della democrazia, ovvero le barriere politiche che, in Italia, sono state erette per marcare la distanza dal passato fascista».
Si invocano, così, riforme elettorali per ridurre la rappresentanza proporzionale e favorire “governi più forti” e si riscrivono le costituzioni con l’obbligo del pareggio di bilancio. L’Italia, già nel secondo decennio degli anni Duemila, ha eseguito le raccomandazioni europee.
« Una volta che ci si inserisce nel vortice del capitale globale e si perde la sovranità sulla propria politica monetaria, come accadde con il Gold standard negli anni Venti e come accade oggi con il “Nuovo gold standard” dell’Unione monetaria europea [con cui abbiamo perso la possibilità di svalutare la nostra moneta] la partita si gioca sulla capacità di essere più competitivi degli altri: tradotto in pratica, abbassare i salari per favorire le esportazioni e soprattutto fornire il contesto politico più vantaggioso possibile per attrarre capitale con basse tasse, lavoratori facilmente licenziabili, privatizzazioni e tutte le classiche misure di austerità. »
Questa trappola del capitale, che noi viviamo in un’Italia periferia dell’Europa, è ancora più feroce nella periferia del mondo capitalistico, nel sud del mondo.
Se a tutto ciò aggiungiamo la crisi migratoria e quella climatica, l’autrice prevede conseguenze economiche e politiche “esplosive e allarmanti” nel prossimo futuro del mondo.
Cosa propone Clara Mattei per uscire dalla logica del nostro attuale sistema economico?
Per prima cosa convincersi che i problemi economici non sono separati da quelli politici e smettere di «considerare i fatti economici come oggetti a sé stanti e come naturale arredamento del mondo».
Propone, quindi, di «preservare il capitale come relazione sociale» e di «pensare ad alternative al di fuori degli schemi imperanti del capitalismo» con piena fiducia nella creatività e nell’inventività di ognuno di noi.
« È qui che dobbiamo fare tesoro dell’intuizione gramsciana, secondo cui la conoscenza al contempo teorica e pratica può guidarci verso orizzonti nuovi ma a patto che ci mettiamo in gioco in prima persona, concretamente. Ognuno di noi può iniziare a muovere timidi passi per “politicizzare” la sua vita. » [Intende qui l’espressione “politicizzare” nel senso alto del termine di partecipazione alla trasformazione della realtà materiale e spirituale attorno a sé]
Suggerisce di aumentare la consapevolezza politica partecipando a «progetti collettivi che producano spazi per la democrazia economica», «di avere una visione ambiziosa», giocando non solo in difesa contro i tagli ai servizi sociali, alla sanità pubblica, alla scuola ecc., ma soprattutto proporre strategie di attacco che sviluppino forme di collettività economica «per rompere con la morsa peggiore di tutte: la dipendenza dal mercato che ci individualizza, ci mette in competizione l’uno contro l’altro e aliena le nostre esistenze dal senso dell’umano».
Riporta alcune esperienze realizzate nel mondo: i Consigli di vicinato realizzati in Cile, le banche del tempo diffuse in Francia, organizzazioni alternative di comunità, ecc.
Conclude riportando l’invito del filosofo morale Zino Zini che nel 1919 propose una lezione di alto valore morale e operativo, intitolata Da cittadino a produttore in cui sosteneva che la libertà politica è impossibile in mancanza della libertà economica.
Dobbiamo, scrive in conclusione, riappropriarci della parola «libertà […] cioè della libertà economica, che significa emancipazione dallo sfruttamento e dal dominio impersonale. È libertà dalla centralità ossessiva e totalitaria della sfera economica. È una vera liberazione».
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