Lotta di classe e speculazione immobiliare: le differenze tra Cina e occidente
di SINISTRA IN RETE (Leonardo Sinigaglia)
“La lotta di classe è finita e l’hanno vinta i ricchi”: una frase che spesso ritorna in Occidente e che può corrispondere effettivamente alla realtà nell’immaginario collettivo di una parte di mondo in cui le crescenti diseguaglianze si sommano all’incontrastato monopolio della grande borghesia sul potere politico, sui media, sulla vita culturale e sulla produzione ideologica. In quanto base dello sviluppo sociale, la lotta di classe è inesauribile, almeno sino al limite teorico del superamento dei suoi presupposti, ossia la stessa divisione in classi. Essa caratterizza ogni sistema classista, quindi anche, ovviamente, quello capitalista, sia che nella contraddizione tra classe lavoratrice e borghesia la prima rappresenti l’aspetto principale, sia che questa posizione sia occupata dalla seconda. Ma ciò è vero anche per il socialismo, anch’esso sistema classista, dove però il rapporto tra borghesia e classe lavoratrice risulta invertito, con il potere politico conquistato da quest’ultima e assicurato dall’esercizio della dittatura del proletariato, con il controllo delle principali leve economiche e sociali.
“La lotta di classe esiste oggettivamente nella società socialista. Non va né sottovalutata né esagerata”[1]: al mutare delle condizioni non viene meno l’esistenza della lotta, ma le sue forme.
La classe lavoratrice, arrivata al potere, potrà disporre di strumenti di intervento e costruzione prima inimmaginabili, amplificati nella loro portata dalla superiorità garantita dal sistema socialista. La lotta di classe andrà quindi avanti, ma i due aspetti della contraddizione avranno mutato posizione relativa: quelle che prima erano le classi subalterne sono ora le classi dominanti, e i vecchi padroni, residuo storico di un sistema superato, possono scegliere tra il porsi al servizio del nuovo sistema, con le ovvie limitazioni che ciò comporta, e la scomparsa come settore di classe.
Può apparire strano per noi abitanti del cosiddetto Occidente, ma queste non sono solo teorie. Anche dopo il crollo dell’Unione Sovietica e dei regimi a socialismo reale dell’Europa orientale ciò rappresenta la realtà quotidiana per una parte considerevole del mondo, quella in cui il sistema socialista sta venendo costruito, dove la classe lavoratrice, guidata da partiti comunisti, avanguardia di più ampi campi patriottici, costruisce e rafforza il proprio potere. Il paese più avanzato nella costruzione del socialismo, la Repubblica Popolare Cinese, naturalmente mostra un grado più alto di maturazione nelle contraddizioni tra borghesia e proletariato, con la prima costretta a una posizione fondamentalmente subalterna, incapace di una qualsiasi organizzazione autonoma o anche soltanto di rivendicare interessi particolari da far valere in contrapposizione a quelli dello sviluppo economico nazionale e del rafforzamento del sistema socialista. Uno specchio concavo dell’Occidente, che restituisce la sua immagine capovolta: chi qui domina con alterigia e arroganza, lì può sopravvivere solo nei limiti e nei modi concessi dal socialismo vittorioso.
I recenti avvenimenti del settore immobiliare sono tra le più lampanti testimonianze a riguardo.
Noi in Occidente conosciamo l’espressione “too big to fail”, “troppo grande per fallire”, bandiera degli interventi che, per esempio a seguito della crisi del 2008, hanno “socializzato le perdite” plurimiliardarie delle aziende private crollate. Gli speculatori del mercato finanziario hanno potuto approfittare di decenni di liberalizzazioni e deregolamentazioni per accumulare fortune immense, slegate da qualsiasi attività produttiva e a carattere fondamentalmente parassitario. Quando il castello di carte di derivati e titoli tossici è crollato furono le autorità pubbliche a essere chiamate in causa per i vari salvataggi, in barba a qualsiasi “rischio d’impresa”: il controllo del potere politico ha permesso alla grande borghesia di utilizzare la ricchezza pubblica come garanzia per le proprie scommesse.
La Repubblica Popolare Cinese, Stato socialista, opera secondo principi diversi.
L’apertura di spazi d’azione alle forze del mercato, l’accelerazione dell’urbanizzazione e il rapidissimo sviluppo economico, prodotto dello sviluppo estensivo, hanno provocato negli anni un aumento smisurato della domanda di immobili, facendo così la fortuna tanto dei governi locali, quanto delle aziende desiderose di approfittare della situazione. La corrispondenza di interessi fra questi due soggetti ha portato alla creazione di una bolla speculativa potenzialmente pericolosa, tanto più per i suoi impatti sociali. I governi delineavano sempre più aree come edificabili, e garantivano le concessioni alle aziende immobiliari per edificarvicisi sopra, in un clima viziato da crescenti investimenti per progetti infrastrutturali non sempre indirizzati all’utilità comune. Il prezzo degli immobili schizzato alle stelle rappresentava una minaccia per il diritto alla casa, danneggiando anche la ripresa demografica scoraggiando l’acquisto di una propria abitazione. Per di più, questo sistema entrava in conflitto con le direttrici di sviluppo decise da Beijing: il credito concesso dalle banche alle aziende immobiliari dipendeva dall’alto livello di risparmio dei cinesi, tra i maggiori del mondo[2], che necessariamente andava abbattuto per far aumentare i consumi.
L’intreccio fra corruzione locale, operazioni bancarie e speculazioni immobiliari fu individuato come ostacolo per la costruzione socialista, e la sua stessa esistenza fu giudicata un grave danno per l’immagine del Partito Comunista Cinese e per la fiducia delle masse in questo. Questa contraddizione fu risolta tramite una sistematica applicazione dei principi della dittatura del proletariato. Essendo le attività pratiche di questi settori di borghesia nazionale entrate in conflitto con gli interessi del popolo, essi furono combattuti e vinti, da un lato tramite l’intensificarsi progressivo delle campagne anti-corruzione che hanno segnato tutti i mandati di Xi Jinping, dall’altro attraverso un drastico intervento nella politica del credito concesso alle aziende immobiliari.
Come ricordato dal presidente Xi Jinping durante il XIX Congresso del partito, le case sono un bene necessario per la vita, e quindi non devono essere oggetto di speculazione. Per sottrarre gli immobili alla presa delle cricche di speculatori furono varate misure drastiche volte ad asfissiare la borghesia parassitaria: nell’agosto del 2020 vennero introdotte le “Tre linee rosse”, un insieme di regole finanziarie finalizzato a staccare l’ossigeno alle società meno sane del settore immobiliare, stabilendo ferree condizioni per l’erogazione di prestiti. Per vedersi aperte le linee di credito, le società richiedenti avrebbero dovuto avere il totale delle passività inferiore al 70% delle attività; un indebitamento netto inferiore al 100% del patrimonio netto; e riserve monetarie almeno sufficienti a coprire il debito a breve termine. Ciò provocò l’insolvenza di diversi soggetti, tra cui il più noto è sicuramente il colosso Evergrande, arrivato a dichiarare bancarotta dopo perdite nette di decine e decine di miliardi di dollari. L’interruzione di molti cantieri portò anche coloro che avevano acquistato in maniera anticipata a sospendere in protesta il pagamento dei mutui, mettendo ulteriore pressione sugli istituti di credito locali, già sorvegliati dalle autorità centrali.
I prezzi degli immobili iniziarono a diminuire, mentre tutto il mondo occidentale si affrettava a dire che o il governo cinese sarebbe intervenuto con un’operazione di salvataggio, o la crisi avrebbe travolto l’intero sistema economico del paese. Nulla di ciò è accaduto: gli speculatori non sono stati salvati, ma anzi indagati e perseguiti per le operazioni illecite.
Parlando a una conferenza stampa sabato 9 marzo 2024, Ni Hong, Ministro delle politiche abitative e dello sviluppo urbano-rurale, ha dichiarato: “Parlando delle società immobiliari gravemente insolventi che hanno perso la capacità di operare, quelle che devono fallire dovrebbero fallire, o essere ristrutturate, nel rispetto della legge e dei principi di mercato.
Coloro che commettono atti che danneggiano gli interessi delle masse saranno indagati con risolutezza e puniti in conformità con la legge. Saranno costretti a pagare il prezzo dovuto”[3].
Mentre nel “libero” Occidente il potere è saldamente nelle mani di speculatori e affaristi, i quali se ne servono per opprimere il popolo lavoratore e succhiargli quel poco sangue che gli rimane in termini di energia e ricchezze, in Cina, come in altri paesi, un sistema socialista in costruzione permette al popolo di imporre il suo volere e il rispetto dei suoi interessi su qualsiasi potere economico, ricordandogli che se esiste è per pura concessione del sistema socialista. Conoscere questi fatti e queste realtà è essenziale per noi in Italia, poiché prova che no, la lotta di classe non è “finita”, e che ogni vantaggio delle classi reazionarie è, per quanto grande e apparentemente schiacciante, momentaneo, come il loro dominio. Cento anni fa la Cina era uno dei paesi più poveri del pianeta, a rischio concreto di implosione e oppressa dall’imperialismo straniero. Nelle sue campagne i latifondisti avevano potere di vita e di morte sui contadini, mentre nelle città il capitale occidentale imponeva spregiudicatamente la sua volontà. In un secolo la situazione si è ribaltata, gli oppressori sono stati vinti e cacciati grazie agli eroici sforzi del popolo cinese e alla guida del Partito Comunista Cinese. Nulla impedisce che anche nel nostro paese, in un futuro più o meno lontano, si possa fare altrettanto.
Note
[1] Deng Xiaoping, Mantenere i Quattro principi cardine, in Socialismo alla cinese, Editori Riuniti, Roma, 1985, p. 96.
[2] R. Herrera, Zhiming Long, La Cina è capitalista?, Marx 21, Roma, 2020, grafico III-4.
[3] https://www.cnbc.com/2024/03/11/chinas-housing-minister-property-developers-must-go-bankrupt-if-needed.html?taid=65ee8fd9215c780001f3c853&utm_content=Intl&utm_medium=Social&utm_source=ftwitterk%7CIntl
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