O democrazia radicale o finisce male
di ALESSANDRO GILIOLI
C’è stato come un moto diffuso di spaventato stupore, l’altro giorno, nell’apprendere che otto italiani su dieci pensano che il Paese abbia bisogno di un uomo forte. Solo 13 anni fa, a pensarlo era meno della metà degli elettori.
In realtà c’è poco da stupirsi. Tutto il trend mondiale va in quello stesso senso: Trump, Putin, Erdogan, Orbán, Kaczyński. E la Le Pen in testa nei sondaggi francesi. Perfino, in qualche modo, Narendra Modi in India, per non dire di Rodrigo Duterte ancora più a est.
Le ragioni per cui questo avviene sono ormai abbastanza note. Semplificando: la globalizzazione e l’invadenza dei mercati hanno creato un mondo nel quale i cittadini-elettori non hanno più la percezione che i loro leader democraticamente eletti possano decidere e incidere davvero.
Troppe dinamiche esterne li limitano, li circoscrivono, li rendono esecutori di decisioni prese altrove (ad esempio, imposte dai trattati internazionali) o pretese come “inevitabili” dai meccanismi economico-finanziari (ad esempio, la necessità di attrarre investimenti, di onorare debiti pregressi, di non far fuggire capitali etc).
I cittadini vedono che i loro rappresentanti hanno le mani legate dietro la schiena. Allora cercano qualcuno con le braccia abbastanza muscolose per liberarsi da quei legacci. Qualcuno che promette di essere più forte. Più forte dei mercati, della finanza, della Borsa, degli investitori, dei debiti, perfino della demografia.
Il risultato è qualcosa di simile a quanto avvenuto 90 anni fa – l’avvento dei fascismi a seguito di una crisi del sistema liberale – anche se con molte differenze. La principale delle quali è che negli anni Trenta i fascismi avevano una pulsione offensiva verso gli altri Stati, mentre a questo giro gli “uomini forti” hanno soprattutto una funzione difensiva del proprio Stato: di qui i muri, i confini, i neoidentitarismi.
Resta la questione principale: se si vuole l’uomo forte è perché si ha la sensazione – tutt’altro che infondata – che le democrazie non decidano più. Che possiamo eleggere chicchessia – anche il meglio fico del bigoncio – ma poi quello non potrà fare quasi nulla. A meno che non sia abbastanza muscolare e assertivo da vincere a braccio di ferro con tutto il resto: mercati, investitori, demografia eccetera eccetera.
Quindi non c’è da stupirsi né da strillare: c’è semmai da capire e magari da trovare un’altra via. Perché non è che improvvisamente sono diventati tutti fascisti gli americani, i francesi, gli europei in genere. Semplicemente si sono rotti le scatole di eleggere qualcuno senza che poi questo decida. A me sembra molto umano e molto prevedibile.
Aggiungo un paio di aneddoti, niente di che, giusto per capirci.
A un incontro pubblico di un annetto fa, ho ascoltato un lungo discorso dell’ex ministro Giulio Tremonti in cui criticava quasi tutte le decisioni prese nel mondo negli ultimi anni. A fine convegno, mi sono permesso di chiedergli con cortese polemica dov’era lui, mentre tutto quello di cui parlava male accadeva: cioè al governo. Lui mi ha sorriso e garbatamente mi ha risposto: «Ma cosa crede che conti oggi un ministro dell’economia? Cosa crede che possa decidere? Cosa crede che possa fare?».
Un paio di settimane fa invece ero a un altro evento, con l’ex ministro greco Yanis Varoufakis, che – a una domanda su Renzi – ha candidamente risposto che, alla fin fine, un premier italiano oggi può decidere meno di un sindaco di Las Vegas. Varoufakis ha detto “italiano”, ma poteva dire allo stesso modo francese, spagnolo, greco.
A proposito: la vicenda della Grecia è stata tra le più emblematiche del rapporto tra un governo eletto e i poteri esterni. Come noto, in quel caso, il primo si è dovuto piegare completamente ai secondi. Per il semplice fatto che erano più forti. E nonostante il primo avesse appena avuto l’appoggio della maggioranza degli elettori con un referendum. È quasi un miracolo che ora ad Atene non sia in testa un leader nazista.
Detto tutto questo, come si diceva, c’è da chiedersi se il percorso verso gli uomini forti sia ineluttabile o se ci sia modo di costruire un’alternativa a questa strada.
Non per pregiudizio ideologico, ma perché sappiamo per esperienza come va a finire, con l’uomo solo al comando: specie noi italiani, che il fascismo lo abbiamo inventato. E non va a finire bene, mai.
C’è da chiedersi quindi se ci sia modo di costruire un’alternativa che proceda alla rovescia, rispetto a quel modello intuitivo, facile, immediato, istintuale, insomma trumpiano. Un’alternativa fatta di democrazia radicale, capillare, partecipata – e sovrana. Un modello verso cui tendere in cui le persone sono non escluse dalle decisioni (la ragione per cui poi chiedono l’uomo forte) ma al contrario coinvolte e ascoltate. In cui contano, insomma. Dal locale al globale. Dalla circoscrizione all’Europa – e oltre. E non solo il giorno in cui mettiamo la croce sulla scheda. Anche in quel giorno (è importante, certo) ma non solo.
O socialismo o barbarie, diceva Rosa Luxemburg un secolo fa. O democrazia radicale o qui finisce male un’altra volta, viene da dire oggi, con meno retorica ma con più esperienza.
fonte: http://gilioli.blogautore.espresso.repubblica.it/2017/01/25/o-democrazia-radicale-o-finisce-male/
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