Per una posizione coerente contro l’allargamento del conflitto in Ucraina
DA LA FIONDA (Di Davide Fiorello)
Ufficialmente il nostro Paese non è in guerra. Tuttavia, invia, o contribuisce ad inviare, sostanziosi aiuti finanziari e di materiale logistico e bellico all’Ucraina e firma con essa accordi di cooperazione militare[1]; partecipa attivamente e convintamente alle sanzioni economiche nei confronti della Russia e fa parte di organizzazioni internazionali in seno alle quali emergono sempre più frequentemente prospettive di impegno diretto nel conflitto.
Dunque, la guerra ci riguarda molto più da vicino di quanto sia mai successo dalla fine del Secondo conflitto mondiale e molti segnali fanno temere che il nostro coinvolgimento sia destinato ad approfondirsi. Il fatto che una guerra non sia più un evento da libri di storia, da notizie del telegiornale o, al limite, da edizioni straordinarie, ma una realtà concreta e diretta, non sembra però suscitare particolare allarme. Certamente, non lo suscita tra le forze politiche, visto che in cima al dibattito non ci sono le ventilate possibilità che alcuni Paesi europei inviino truppe al fronte o il fatto che il nostro governo firmi un accordo militare senza che tale decisione sia una scelta del Parlamento, ma i cosiddetti “dossieraggi” o gli esiti delle elezioni regionali. Ma anche l’opinione pubblica non sembra credere davvero alla possibilità che la guerra possa estendersi. Legge o ascolta dei gravi rischi legati a un coinvolgimento diretto della NATO senza che questo faccia scattare iniziative, mobilitazioni, manifestazioni della portata che ci si aspetterebbe di fronte alla gravità degli scenari.
C’è da augurarsi che questa apparente noncuranza sia giustificata e non rappresenti un atteggiamento da struzzo che non vuole vedere qualcosa di troppo orribile per credere che potrebbe succedere davvero e presto. Io ho il timore che l’ipotesi dello struzzo sia fondata, che i rischi di un’esplosione del conflitto siano molto alti. Che questa eventualità non si faccia largo nell’opinione pubblica può essere spiegato, a mio avviso, con un ampio consenso sulla posizione ufficiale del nostro Paese, dell’Unione Europea e della NATO sulla guerra in Ucraina. Anche solo perché è proposta incessantemente e in modo martellante, credo, che molti accettino l’interpretazione della guerra come un evento scatenato unilateralmente da un pericoloso dittatore che, senza alcuna motivazione, ha voluto invadere un Paese confinante per sottometterlo. Un’invasione che sarebbe soltanto il primo passo verso un progetto di progressiva espansione militare verso occidente. Dunque, la guerra in Ucraina va combattuta e vinta per impedire che il mondo libero e democratico cada sotto il giogo del totalitarismo.
Se è vero che la blanda attenzione nei confronti dei rischi del conflitto dipende dal fatto che questa rappresentazione è accettata da molti, allora chi osserva sgomento il montare dei toni belligeranti, prova terrore alla prospettiva di una progressiva escalation, vorrebbe manifestare il proprio allarme e la propria volontà di scongiurare un allargamento del conflitto deve prenderne atto. Dunque, non può limitarsi a dichiarazioni di principio e ad appelli generici. Né può cercare di far riflettere l’opinione pubblica facendo leva solamente sulla paura per scenari disastrosi, fino all’apocalisse nucleare. Per cercare di creare un movimento di opinione che si esprima con forza contro la guerra, è indispensabile smarcarsi dalla propaganda bellicista e negare la lettura della guerra che viene proposta in modo martellante.
In questo momento, per cercare di allontanare lo spettro della guerra bisogna affermare alcuni presupposti fondamentali che il bombardamento politico e mediatico vuole negare.
Il primo presupposto è che non c’è un nemico della civiltà che minaccia, oggi, un Paese campione di democrazia e libertà innocente e, poi, tutti noi. Bisogna prendere atto che:
- L’aggressione militare dell’Ucraina da parte della Russia non è un atto inaudito e gratuito, ma uno dei tanti sciagurati eventi analoghi che costellano la storia geopolitica anche recente.
- Le politiche e gli atti della Russia e del suo gruppo dirigente possono essere legittimamente oggetto di dissenso e condanna, ma ciò non rende la Russia uno “stato canaglia” più di altri. Gli USA stessi e la NATO hanno un lungo curriculum di interventi militari e hanno eccellenti rapporti con Paesi illiberali e/o responsabili di ripetute azioni belliche (come Israele, per restare alla tragica attualità).
- Non vi sono argomenti logici o elementi di fatto per sostenere che la Russia si proponga di invadere altri Paesi europei, come la Polonia o i paesi baltici, qualora sconfiggesse l’Ucraina.
Il secondo presupposto è che i processi geopolitici non si governano a colpi di principi astratti e di manicheismo puritano (e spesso ipocrita) ma con realismo. Bisogna prendere atto che:
- La solidarietà nei confronti della popolazione ucraina non implica il sostegno alla classe dirigente di quel Paese, che ha disatteso gli accordi di Minsk, inasprito la tensione nelle provincie russofone e si è prestata ad alzare progressivamente il livello di provocazione nei confronti della Russia avvicinandosi alla NATO.
- Fermare le ostilità per giungere a un compromesso, sul piano territoriale e sulla collocazione dell’Ucraina in relazione alla NATO, non significa tradire gli aggrediti e darla vinta all’aggressore. A prescindere dai meccanismi che hanno portato a questa guerra, la cessazione del conflitto sarebbe nell’interesse della popolazione Ucraina assai più di quanto non sia la sua prosecuzione nel tentativo di riappropriarsi dei territori attualmente sotto il controllo russo.
- Pretendere che l’unica conclusione accettabile della guerra, una cosiddetta “pace giusta”, sia quella che preveda il ritorno ai confini precedenti all’attacco russo, se non anche il ritorno della Crimea all’Ucraina, equivale a rifiutare la strada delle trattative, perché qualunque trattativa tra belligeranti non può avere come precondizione che il risultato sia il completo prevalere della posizione di uno dei due contendenti.
Il terzo presupposto è che la guerra attuale è una strada senza uscita. Bisogna prendere atto che:
- Il sostegno finanziario e l’invio di armamenti all’Ucraina non saranno mai in grado di far prevalere quest’ultima, e in tempi rapidi, nel confronto militare contro un Paese come la Russia, largamente superiore per mezzi e per dimensione. Fornire mezzi militari all’Ucraina può solo prolungare il conflitto, non accorciarlo.
- Poiché l’Ucraina, per quanto assistita militarmente, non potrà prevalere sul campo, rifiutare la possibilità che si possano aprire delle trattative e agire per prolungare il conflitto, sostenendo che qualunque scenario diverso dalla sconfitta della Russia rappresenterebbe un disastro, può solo portare al coinvolgimento esplicito e diretto della NATO nella guerra, con tutte le terribili conseguenze che ne deriverebbero.
Per cercare di agire contro la guerra, nei termini in cui si sta svolgendo adesso e in quelli ancora più tragici che potrebbe assumere, bisogna dire queste cose a voce alta, senza curarsi delle accuse di essere servi di Putin. Se non si agisce su questo terreno, si lascia spazio a chi agitando la paura del nuovo Hitler, farà passare presso l’opinione pubblica qualunque cosa, con tutte le conseguenze del caso.
Chi si rende conto del terribile rischio che stiamo correndo deve parlare e prendere soprattutto due posizioni chiare: bisogna smettere di sostenere l’Ucraina e bisogna smettere di considerare la Russia una minaccia per l’Europa. Senza mettere avanti questi due punti fermi non si agisce per allontanare la guerra ma, consapevolmente o meno, e al di là delle migliori intenzioni, si contribuisce alla sua prosecuzione e al suo allargamento.
[1] https://www.lafionda.org/2024/03/07/cosa-comporta-laccordo-di-cooperazione-militare-tra-italia-e-ucraina/
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