Israele vs Iran: attacco all’ambasciata iraniana a Damasco, e nesso libanese
di ROBERTO IANNUZZI
L’uccisione del generale iraniano Mohammed Reza Zahedi, nel bombardamento dell’ambasciata, rappresenta un attacco diretto al legame che unisce Hezbollah all’Iran.
Targa della sezione consolare dell’ambasciata iraniana a Damasco, colpita dall’attacco aereo del 1° aprile (webangah.ir)
Il 1° aprile 2024, un attacco aereo israeliano ha raso al suolo il consolato iraniano a Damasco, essenzialmente una pertinenza dell’adiacente ambasciata di Teheran nella capitale siriana.
L’operazione, nella quale sono rimasti uccisi sette membri della forza Quds della Guardia Rivoluzionaria iraniana (IRGC, secondo l’acronimo inglese) fra cui tre generali, ha rappresentato un’escalation senza precedenti nella “guerra ombra” fra Israele e Iran.
Quest’ultima si protrae da decenni, (inclusi attacchi cibernetici israeliani contro le installazioni nucleari iraniane, e omicidi mirati a danno degli scienziati nucleari di Teheran) e ha visto un primo inasprimento con lo scoppio della guerra civile siriana nel 2011.
Ben presto trasformatasi in un pericoloso conflitto regionale ed internazionale combattuto in Siria, tale guerra ha visto Israele scontrarsi con forze iraniane, con il partito sciita libanese Hezbollah, e con altri alleati locali di Teheran in territorio siriano.
Un secondo salto di qualità nello scontro fra i due paesi è avvenuto all’indomani dell’attacco di Hamas del 7 ottobre 2023, e ha visto Israele contrapporsi ad alleati di Teheran come Hezbollah in Libano, le milizie sciite filoiraniane in Siria e Iraq, e il movimento sciita di Ansar Allah (anche noto come gli “Houthi”, dal nome del suo fondatore) nello Yemen.
Il bombardamento di precisione condotto da Israele il 1° aprile, a quanto pare tramite due caccia F-35, ha preso di mira un incontro tra ufficiali iraniani e leader della Jihad Islamica palestinese incentrato sulla guerra in corso a Gaza.
Sebbene Israele, com’è sua abitudine, non abbia rivendicato ufficialmente l’operazione, il portavoce dell’esercito israeliano Daniel Hagari ha di fatto ammesso le responsabilità israeliane nel momento in cui ha affermato che “secondo la nostra intelligence, non si tratta né di un consolato né di un’ambasciata […]si tratta di un edificio militare della forza Quds mascherato da edificio civile a Damasco”.
Una tesi rimasta isolata, alla luce dell’ampia riprovazione internazionale suscitata da questa azione militare, che ha visto le monarchie del Golfo, Mosca, Pechino, la Norvegia ed altri paesi – e perfino l’alto rappresentante per la politica estera dell’UE, Josep Borrell – condannare duramente l’attacco sottolineando l’inviolabilità delle missioni diplomatiche in base al diritto internazionale.
Tra gli iraniani uccisi spiccano il generale Mohammed Reza Zahedi, comandante della forza Quds per Siria e Libano, e il suo vice, generale Mohamad Hadi Haji Rahimi.
Zahedi era un veterano dell’IRGC, avendone in passato comandato la forza di terra e la forza aerea. Egli si era recato in Libano per la prima volta intorno alla metà degli anni 2000, creando una vasta rete di collaborazione con Hezbollah.
Zahedi arrivò a diventare l’unico membro non libanese del Consiglio della Shura, il supremo organo collegiale di Hezbollah. Egli era anche considerato il dirigente responsabile del flusso di armi che dall’Iran giungevano in Siria e Libano, ed era stato sottoposto a sanzioni da Stati Uniti, Gran Bretagna e Unione Europea.
L’uccisione di una figura come Zahedi non rappresenta dunque soltanto una diretta aggressione all’Iran, ma anche un attacco contro un elemento chiave del legame che unisce Hezbollah in Libano alla Guardia Rivoluzionaria iraniana.
Occhi israeliani sul Libano
Per comprendere la natura di questo legame, e di quello che unisce il Libano, ed in particolare l’area meridionale (a maggioranza sciita) del paese alla Palestina, bisogna risalire molto indietro nel tempo, agli anni della Catastrofe (Nakba) palestinese del 1948 che coincise con la nascita dello Stato di Israele.
Il sud del Libano, noto con la denominazione locale di Jabal Amil, formava un unico spazio culturale ed economico con la Palestina, non esistendo frontiera tra i due paesi durante l’epoca ottomana.
All’indomani della Conferenza di San Remo del 1919, il Jabal Amil sarebbe stato annesso al governatorato del Monte Libano, e incluso nello Stato del Grande Libano, sotto mandato francese. Ciò non impedì a molti libanesi di unirsi ai palestinesi insorti, in particolare durante la “grande rivolta araba” del 1936.
L’idea di un destino comune fra il Jabal Amil e la Palestina era alimentata dalla consapevolezza che il movimento sionista ambiva a impadronirsi anche di questo territorio, poiché rappresentava una delle principali riserve d’acqua della regione e rivestiva interesse strategico per la sua conformazione semi-montuosa che dominava il resto del Libano e la Siria.
Già il padre fondatore del sionismo, Theodor Herzl, aveva insistito su queste due caratteristiche, che rendevano il sud del Libano “necessario” per lo sviluppo del futuro Stato ebraico. E questa “necessità” era stata ribadita dai dirigenti del neonato Israele, come David Ben Gurion.
Soprattutto dopo i massacri del “settembre nero” in Giordania (1970), i guerriglieri palestinesi si trasferirono in Libano, e il sud del paese divenne terreno di scontro fra la resistenza palestinese e l’esercito israeliano. L’inizio della guerra civile libanese nel 1975 accelerò le ingerenze israeliane negli affari interni del paese – in particolare il sostegno militare di Tel Aviv all’estrema destra cristiana.
La possibile disgregazione del fragile e composito Libano era vista favorevolmente da Israele, in primo luogo come eventuale premessa di una più generale frammentazione del mondo arabo su basi etniche e confessionali (che avrebbe consentito allo Stato ebraico di confrontarsi con avversari deboli e divisi). Secondariamente, perché avrebbe reso possibile un’annessione israeliana del sud del paese.
Moshe Dayan, all’epoca capo di stato maggiore dell’esercito israeliano, già all’inizio degli anni ’50 aveva prospettato una possibile partizione del Libano, che avrebbe permesso a Israele di annettere i suoi territori meridionali.
Dopo una prima invasione del Libano meridionale nel 1978, Israele avviò quattro anni più tardi l’operazione “Pace in Galilea”, nome in codice di una nuova invasione che vide le truppe israeliane spingersi fino alla capitale Beirut, che fu assediata per quasi tre mesi.
Obiettivo dell’operazione era annientare la resistenza palestinese dell’OLP, per estirpare la quale la potenza di fuoco israeliana si scatenò contro i campi profughi palestinesi e contro città e villaggi libanesi.
La brutale invasione del 1982 fu all’origine del movimento di resistenza sciita libanese Hezbollah, per comprendere la quale è però necessario anche indagare il legame storico che unisce l’Iran al Libano.
Innesti e ibridazioni
In una certa misura, lo sciismo iraniano fu fondato dagli ulema (dotti religiosi) del Jabal Amil libanese e del Bahrein, i quali furono chiamati in Persia all’inizio del XVI secolo dalla neo-insediata dinastia safavide per convertire allo sciismo il paese del quale si era appena impadronita.
Alcune famiglie religiose del Jabal Amil hanno conservato in epoca moderna ramificazioni transnazionali che si spingono fino all’Iraq e all’Iran. Fu così che il religioso sciita Musa al-Sadr, nato a Qom, in Iran, si trasferì in Libano nel 1959 grazie a relazioni di parentela, contribuendo alla rinascita dello sciismo libanese e fondando il movimento Amal.
Altri oppositori dello scià iraniano Mohammad Reza Pahlavi giunsero in Libano negli anni ’60, alleandosi con Musa al-Sadr oppure, se laici di sinistra, entrando nelle file dell’OLP.
Alla fine del 1978, alcuni sciiti libanesi organizzarono cortei e comitati di sostegno alla rivoluzione iraniana. Quattro anni più tardi, la neonata Repubblica Islamica dell’Iran avrebbe inviato 1.500 membri della Guardia Rivoluzionaria nella valle della Bekaa libanese per addestrare i primi battaglioni della resistenza islamica all’invasione israeliana.
A ricevere l’addestramento furono i gruppi di combattenti sciiti libanesi provenienti dal sud del paese e dalla periferia di Beirut, i quali avrebbero costituito il primo nucleo di Hezbollah.
Crocevia del mondo arabo, agli occhi degli iraniani il Libano rivestiva una notevole importanza per propagare le idee della rivoluzione islamica nel mondo arabo.
Per consolidare il legame con Hezbollah ed esportare la rivoluzione, gli strumenti dell’Iran in Libano erano la diplomazia, l’aiuto finanziario e militare, e il rafforzamento dei rapporti con gli ulema libanesi, sia sciiti che sunniti.
La lotta di liberazione di Hezbollah avrebbe portato al definitivo ritiro di Israele dal sud del Libano nel 2000 e al collasso dell’Esercito del Sud del Libano, milizia cristiana alleata dello Stato ebraico.
Le presidenze di Rafsanjani e Khatami in Iran, che privilegiarono l’interesse nazionale rispetto all’esportazione della rivoluzione islamica, facilitarono anche il processo di “libanizzazione” di Hezbollah, che culminò con la partecipazione del partito al governo, con un proprio ministro, nel 2005.
Ma la relazione fra Teheran e il partito sciita libanese rimase solida.
Dopo l’11 settembre, la “guerra al terrore” di Bush, la sua campagna di “esportazione della democrazia” a bordo dei carri armati, e l’inserimento dell’Iran nel cosiddetto “asse del male”, favorirono la vittoria dell’intransigente Mahmoud Ahmadinejad alle presidenziali iraniane del 2005.
Le guerre israeliane in Libano nell’estate 2006, e a Gaza nell’inverno 2008-2009, avrebbero fornito a Teheran altrettante occasioni per rafforzare il proprio rapporto con Hezbollah e Hamas, movimenti della “resistenza” araba ostili all’egemonia israelo-americana nella regione e ostracizzati dai regimi arabi autocratici alleati di Washington.
Dalla guerra in Siria a quella di Gaza
Nel 2011, lo scivolamento della Siria in una sanguinosa guerra civile con ingerenze regionali ed internazionali trasformò il paese in un nuovo teatro di scontro della rivalità israelo-iraniana.
Israele e gli USA puntavano a rovesciare il presidente siriano Bashar al-Assad, alleato chiave di Teheran che garantiva all’Iran un collegamento territoriale con Hezbollah in Libano.
A partire dall’inizio del 2013, Israele lanciò la sua politica di attacchi preventivi contro i depositi di armi (di provenienza iraniana e russa) che servivano a sostenere il governo siriano e talvolta venivano trasferite a Hezbollah in Libano.
Ma già dalla seconda metà del 2012, Tel Aviv aveva stabilito contatti con membri dell’opposizione siriana, con l’idea di creare una zona cuscinetto al confine israelo-siriano.
In risposta, Damasco, Teheran e Hezbollah promisero di trasformare le alture del Golan in un nuovo “fronte della resistenza” contro Israele.
Un aspetto dell’impegno iraniano in Siria a sostegno di Assad, e a difesa del corridoio territoriale con Hezbollah, è stato già in quegli anni l’elevato numero di perdite tra gli alti ufficiali della Guardia Rivoluzionaria per mano israeliana.
Ma la frequenza degli omicidi mirati e degli attacchi condotti da Tel Aviv in Siria a danno dell’asse iraniano è notevolmente aumentata dopo lo scoppio della guerra a Gaza il 7 ottobre 2023.
Israele ha preso di mira membri di spicco dell’IRGC nel cuore di Damasco, in particolare uccidendo Radhi Mousavi, figura carismatica e comandante della Guardia Rivoluzionaria in Siria, lo scorso 25 dicembre.
Nel quadro delle sue schermaglie con Hezbollah in Libano, l’esercito israeliano ha progressivamente inasprito i propri attacchi, colpendo sempre più in profondità in territorio libanese.
Alcune centinaia di membri di Hezbollah sono stati uccisi dai bombardamenti e dalle azioni mirate di Israele negli ultimi sei mesi fra Libano e Siria.
Lo scorso 29 marzo, un attacco israeliano vicino all’aeroporto di Aleppo, in Siria, ha ucciso decine di soldati siriani e membri di Hezbollah, a conferma dell’intensificazione della campagna condotta da Tel Aviv.
Iran: fine della “pazienza strategica”?
Malgrado ciò, l’Iran ha finora manifestato chiaramente di non volere un allargamento del conflitto.
Teheran ha esercitato pressioni sulle milizie sciite irachene affinché cessassero i propri attacchi contro le basi USA in Siria e Iraq, ed esortato Hezbollah a non fornire alibi a Israele per lanciare una guerra su vasta scala in Libano, ammonendo l’alleato libanese che avrebbe dovuto combattere per proprio conto se un simile conflitto fosse scoppiato.
Il bombardamento israeliano dell’ambasciata iraniana a Damasco rappresenta tuttavia un nuovo salto di qualità nella campagna di Tel Aviv contro Teheran, che sembra avere il chiaro intento di innalzare il livello dello scontro.
Il premier israeliano Benjamin Netanyahu parrebbe intenzionato a provocare Teheran, spingendola verso una rappresaglia diretta che potrebbe a sua volta allargare il conflitto risucchiandovi anche gli Stati Uniti.
Un’interpretazione alternativa, e forse più plausibile, è che invece Israele ritenga di poter colpire impunemente gli interessi iraniani, approfittando della riluttanza di Teheran a rischiare un conflitto su vasta scala, e della “copertura militare” assicurata da Washington a Tel Aviv a livello regionale.
Il 29 marzo, il ministro della difesa israeliano Yoav Gallant ha annunciato una potenziale escalation anche nei confronti di Hezbollah, affermando che “stiamo passando dal respingere [Hezbollah] al dargli la caccia”.
Resta da vedere se i vertici iraniani giungeranno alla conclusione che la scelta della “pazienza strategica” e dell’autocontrollo non serva a dissuadere Israele dall’infliggere colpi sempre più dolorosi, e decideranno di rispondere per le rime agli attacchi israeliani.
FONTE: https://robertoiannuzzi.substack.com/p/israele-vs-iran-attacco-allambasciata
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