Abbiamo interpretato male l’ultimo secolo e mezzo?
di GABRIELE GERMANI (Pagina FB)
Abbiamo interpretato male l’ultimo secolo e mezzo?
Sul finire dell’Ottocento, in concomitanza con l’apogeo del controllo britannico dei mari e del mondo, abbiamo visto l’ascendere di una prima fase multipolare.
La precedente fase policentrica era molto diversa da quella odierna: il mondo era ancora dominato dall’Europa o da sue appendici storiche, le classi popolari non era ancora entrate completamente nella storia (ci avrebbero pensato la tecnica e la rivoluzione russa).
Sul finire dell’Ottocento, l’unificazione italiana e tedesca, l’occidentalizzazione del Giappone, la parziale modernizzazione della Russia e la guerra ispano-statunitense segnarono l’avvio di questa nuova fase.
Le tensioni in essere esplosero nel corso della Prima guerra mondiale.
La politica imperiale e marittima della Germania fu fermata (e incatenata) nel Mar del Nord. Il trauma fu tale che anche Hitler non si avventurò oltre l’Europa e i dintorni (Medio Oriente e Nord Africa), aree che comunque avrebbe preferito lasciare di competenza agli alleati italiani.
Si esprime qui una prima rivalità tra potenze di terra e potenze di mare, che la geopolitica anglosassone ha perfettamente incorporato al suo interno.
New York si affermò come prima piazza mercantile, lasciando a Londra compiti gregari; il secondo conflitto mondiale chiuse definitivamente la partita (gli ultimi colpi di coda furono l’intervento anglo-francese a Suez nel ’56 la CENTO, che sappiamo la brutte fine che fece e a cui gli USA non aderirono mai per non urtare Israele), spostando l’asse in Nord America.
Gli USA, tolta la fase iniziale, furono vettori di un capitalismo ordinato, portato avanti dal New Deal, dal movimento dei lavoratori, dal riarmo e dalla corsa alla spazio. Lo Stato interveniva pesantemente nell’economia e nella società.
La svolta si ebbe a inizio anni Settanta con la separazione dollaro-oro. Quello fu il decennio della seconda decolonizzazione: Angola e Mozambico optarono per il socialismo, in Nicaragua i sandinisti salirono al potere, persino in Portogallo si attivò un processo rivoluzionario, in Spagna si affermò la democrazia, in Italia il PCI trionfò alle regionali, il Cile di Allende a inizio decennio e la rivoluzione iraniana alla fine.
Stampare dollari per finanziare i movimenti reazionari globali era l’unica soluzione per venirne fuori.
Il capitalismo ordinato (semplifichiamo dicendo keynesiano) era arrivato al suo limite, negli anni Settanta la svolta era dietro l’angolo, non si poteva tornare indietro: socialismo (nelle sue varie gradazioni e modalità) o neoliberismo.
Il socialismo diventava un’ipotesi concreta anche nelle sue manifestazioni più moderate, basti pensare ai piani di socializzazione vagheggiati dalla socialdemocrazia svedese o danese, non proprio dei bolscevichi.
Da qui abbiamo visto sorgere i due grandi protagonisti dei decenni futuri:
L’integralismo islamico (per lo più sunnita) anti-URSS, anti-Iran e al bisogno anti-Russia e anti-Cina.
Il neoliberismo: privatizzazione di ogni bene pubblico e finanziarizzazione dell’economia. Il neoliberismo si differenzia dal liberismo di fine Ottocento, inizio Novecento, perché a differenza di questo ha fatto propria l’idea di intervento statale. Così le crisi cicliche del capitalismo sono state riassorbite, facendole pesare sulla società e sullo Stato, privatizzando i profitti e rendendo pubblici i debiti.
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