Il Primo Maggio a Santa Vittoria
di DOPPIOZERO (Valerio Miselli)
All’inizio del ‘900 in Italia numerosi furono i tentativi di mettere in opera un modello sociale diverso da quello della emergente società industriale o quello della società contadina tradizionale. Con la fine della prima guerra mondiale nel paese di Santa Vittoria, in provincia di Reggio Emilia si consolidava una cultura dell’associazionismo cooperativo, iniziato ormai alla fine dell’Ottocento. Oltre alle originarie prime forme di cooperazione nel settore dei lavoratori braccianti furono gradualmente costruite altre organizzazioni: nelle cooperative lavoravano praticamente tutti i gruppi professionali del villaggio, braccianti, muratori e si rapportavano alla cooperativa di lavoro anche fabbri, falegnami e altri artigiani. Le cooperative agricole includevano anche le organizzazioni dei truciolai e dei calzolai e, dal 1907, quelle dei birocciai; dunque, su una popolazione di 2309 abitanti, 1513 erano associati in cooperative.
Dal 1905 persino le figure professionali più importanti della cultura popolare come musicisti e liutai vengono raggruppati nella lega violinisti, comprendente cinque bande musicali del paese.
Da queste premesse economiche e sociali scaturirono stimoli anche per la cultura musicale, sia per gli strumenti a corda che per quelli a fiato, dando vita ai concerti da ballo e della banda musicale del paese, confermatasi sempre necessaria per rallegrare alcune feste popolari locali e per caratterizzare le cerimonie funebri svolte in forma civile.
Nel 1911 si costituisce la cooperativa agricola per l’acquisto della tenuta Greppi (grande latifondista locale) e del Palazzo Greppi e si dà vita a un nuovo organismo che accentra intorno a sé tutte le altre istituzioni cooperative e governa la maggior parte della produzione agricola della zona. Vengono avviate altre attività imprenditoriali che tendono a porsi come moderni circuiti di intermediazione sociale, economica e culturale tra la campagna e la città. Il movimento economico-finanziario legato alla circolazione del denaro viene diretto e coordinato dalla cooperativa di consumo che possiede i maggiori esercizi commerciali del paese.
Tramite la cooperativa di lavoro gli operai di Santa Vittoria vengono inviati a eseguire lavori pubblici fuori dal villaggio e le operaie mandate in Piemonte e Lombardia per la mondatura del riso (le mondine).
Ma anche nella cultura folkloristica e musicale Santa Vittoria aveva un posto di riguardo: le sue feste da ballo erano un importante appuntamento per le popolazioni della bassa reggiana (le aree più vicine al fiume Po) e mantovana e i suoi rinomati violinisti erano richiesti in molte località delle due province. In questo contesto nasce la banda di Santa Vittoria.
Secondo Wikipedia si definisce banda musicale un’orchestra priva degli strumenti ad arco, formata quindi esclusivamente da fiati e percussioni; l’assenza degli archi è compensata dall’impiego di strumenti a fiato, normalmente estranei all’orchestra sinfonica come i flicorni o dall’uso massiccio di strumenti a fiato costruiti in diversi tagli, come vari tipi di clarinetto e di sassofono.
La banda italiana moderna nasce tra il 1880 e il 1920 laddove vengono innovati i criteri di strumentazione e i testi musicali; fra i numerosi musicisti che negli anni si sono cimentati nella scrittura di musica per banda troviamo anche compositori colti come Arnold Shönberg, Charles Ives e Alfred Reed. In Italia si sviluppano autori e trascrittori di testi classici come Giovanni Orsomando, Carlo Pirola, Daniele Di Gregorio e molti altri.
Nella tradizione operistica la banda compare sulla scena come seconda orchestra (come nella Gazza Ladra). Giuseppe Verdi stesso aveva ricoperto il ruolo di maestro di banda e aveva composto testi musicali idonei.
Il modello sociale che si viene a formare è una sorta di utopia della cooperazione integrale che trova qui un fertile terreno.
Alla metà degli anni ‘20, quando le pressioni politiche del regime fascista impongono lo scioglimento delle piccole cooperative degli artigiani, la banda musicale, per volontà della maggioranza dei propri componenti, decide di cessare le attività per non servire il regime fascista.
Dopo la fine della seconda guerra mondiale i vecchi musicisti ricostruirono il corpo bandistico e, nel giro di due anni, misero insieme 30 suonatori. Raccontano: “Avevamo come divisa il berretto blu con la copertina rossa smontabile e veniva anche il bidello della scuola elementare, l’anziano Ferretti Francesco, sempre disponibile e pronto a preparare il palco per le prove settimanali con il rispettivo leggio e sedia per ogni suonatore, più il secchio con l’acqua fresca da abbeverarsi con il mestolo. Quando ci trasferivamo fuori dal paese, ci precedeva con la propria bicicletta e il carrello agganciato per trasportare il tamburo e i tromboni più voluminosi ed anche la pompa da bicicletta per eventuali necessità.”
La banda era sempre disponibile per tutte le richieste di servizi musicali, ma l’impegno eccezionale era per la giornata del 1° maggio di ogni anno, dalle 8 alle 14, camminando per le principali vie del paese dove si trovava, a distanza non superiore a 200 metri, un tavolo con rinfresco a base di panettone, torte casalinghe con vino bianco e liquori, oppure a base di salume affettato con pane fresco e vino rosso; la postazione davanti alla Latteria Sociale aveva un tavolo con spicchi di formaggio grana stagionato. Il tutto era molto gradito, non soltanto dai suonatori della banda, ma anche dall’improvvisato coro e corteo popolare che progressivamente aumentava, costituendo, verso metà percorso, una vera marea di gente di tutte le generazioni.
Ci sono manifestazioni che sono legate a doppio filo alla storia e alla tradizione di un luogo e il 1° maggio rappresenta per Santa Vittoria un retaggio che si tramanda da fine ottocento. Soltanto durante l’emergenza sanitaria legata al COVID, per la prima volta nella sua storia, l’evento non viene svolto, facendo così mancare un’importante occasione di aggregazione per tutta la comunità.
La rinascita del 1° maggio vittoriese è datata 1945, pochi giorni dopo la liberazione. Si narra che a riprendere la tradizione sia stato Enea Bagnoli (cooperatore, componente di una storica famiglia di orchestrali) che con il suo violino iniziò a girare per la frazione suonando l’”Internazionale”.
Un tempo si esibivano anche le donne con i canti del lavoro e ancora oggi si vendono i garofani rossi, e si raccolgono le offerte per la banda stessa.
La ricorrenza viene celebrata dunque a suon di musica e buon cibo: la tradizione vuole infatti che la banda di Santa Vittoria parta da palazzo Greppi e si fermi in ogni quartiere della frazione per un totale di circa 20 soste. Qui i suonatori intonano canzoni tipiche e molte famiglie, per ricambiarli, mettono a disposizione un abbondante rinfresco al termine del quale la banda riparte. È una tradizione, dicevo, che ha radici lontane, infatti già a fine ottocento la ricorrenza veniva celebrata con l’attuale forma itinerante. Le regole di questa insolita processione laica sono precise: ad ogni banchetto devono mangiare prima i suonatori e quello che resta è a disposizione del pubblico. Oggi che il viaggio della banda si è allargato anche ai quartieri nuovi, c’è un po’ meno rigore su questo aspetto, ma ciò non toglie che l’occasione sia buona per gustare prelibatezze offerte generosamente. Davanti alle case le famiglie portano anziani e invalidi che il 1° maggio vengono omaggiati con musiche a richiesta. Stranamente il pezzo più eseguito è “Fiume amaro” che qui tutti ricordano nella versione della venerata Iva Zanicchi da Ligonchio, seguita a notevole distanza dalle canzoni più tipiche del 1° maggio come l’“Internazionale” e, perché no, “Bandiera rossa” che ancora risuona da queste parti. Negli ultimi vent’anni il maestro Valerio Volpi ha sempre condotto un eccezionale gruppo di suonatori, giovani e vecchi con entusiasmo per le strade del paese. Da pochi mesi però ci ha lasciato ed è stato chiamato a dirigere una banda di angeli. Gli spettatori occasionali rimangono affascinati da questa specie di “Via crucis” laica che non ha nulla di sofferente, ma che ricorda con orgoglio i tempi del primato della cooperazione su tutte le altre organizzazioni economiche e sociali; qui puoi trovare lo storico del paese, Luca, che ti può raccontare aneddoti di generazioni e storie dei tempi della città dei cento violini; qui puoi incontrare il vecchio trombonista che ha servito la sua città anche come guida turistica. Lui può raccontare “mi considero fra coloro che si ritengono appagati della propria appartenenza alla collettività, usufruendo direttamente della cultura della cooperazione sociale e anche di quella della musica popolare”
Essere presenti qui e camminare con loro il 1° maggio vuole dire (oltre a una piacevole e laica processione musicale e culinaria) raccogliere gli ultimi brandelli di un modello sociale che ha rappresentato l’utopia della cooperazione integrale. Questi sono gli ultimi bagliori di quel modello, qui si è per testimoniare un’occasione perduta.
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