Italiani e Palestinesi
di Marco Trombino
Ha stupito a livello internazionale il vasto supporto popolare che la causa palestinese ha suscitato in tutto il mondo, compresi i paesi “occidentali”, portando in piazza milioni di manifestanti. E’ piuttosto singolare osservare quali siano i motivi di una mobilitazione così estesa, così assidua, in un contesto storico caratterizzato dal degradamento della partecipazione popolare per qualsiasi cosa abbia a che fare con la politica e il sociale, decadenza che coinvolge gli scioperi come l’affluenza alle urne durante le tornate elettorali. Specialmente quando ciò avviene in un ambito informativo dove i media e i giornalisti occidentali sono in buona parte allineati alle posizioni geopolitiche del padroncino a stelle e strisce, quindi dalla parte di Israele.
Se si disamina la mobilitazione pro-Palestina seguita ai fatti del 7/10/2023, una prima cesura importante deve essere compiuta a livello geografico. Un conto è il ragazzo che scende in piazza a Tunisi e un altro è il ragazzo che scende in piazza a Londra. Nel primo caso scatta ovviamente la solidarietà religiosa, linguistica e legata all’identità nazionale. Nel secondo caso ciò avviene soltanto nel caso in cui il manifestante londinese (o europeo sensu lato) abbia origini straniere provenienti da determinate aree del sud globale; nel caso invece in cui il giovane sia un occidentale “di origine” i motivi della solidarietà sono altri.
Si può dire che il manifestante pro-Palestina medio, in occidente, condivida i valori etici della lotta indipendentista della Palestina? Se ci si riflette bene, assolutamente no. L’attivista “de sinistra” in occidente si guarda molto bene da difendere valori quali l’indipendenza nazionale e l’identità nazionale, che anzi depreca come forma di “fascismo” se viene formulata a casa sua. Già qui si nota la pretestuosità della sinistra libertaria: se l’identità nazionale è quella palestinese ci troviamo di fronte ad una forma di nobile idealismo, se l’identità nazionale è italiana torniamo al fascismo. La coerenza del ragionamento si commenta da sola: pare che certi popoli abbiano diritto ad esistere ed altri no; lottare per la sopravvivenza di una nazionalità è un atto meritorio in Medio Oriente, è nazismo in occidente. Questa logica viola il principio di eguaglianza delle nazioni e di conseguenza anche il principio di eguaglianza tra gli uomini, perché presuppone che io Italiano non possa lottare per le stesse cose di un Palestinese, e che la mia cultura abbia meno dignità di quella araba.
Il soggetto politico-militare di gran lunga prevalente nella resistenza palestinese oggi è Hamas. Questo è un partito di destra, creato dai Fratelli Musulmani, la cui ideologia è un misto di patriottismo palestinese, nazionalismo religioso, antisionismo, islamismo sunnita. Niente di più lontano da qualunque istanza della sinistra libertaria occidentale: se Hamas governasse una Palestina indipendente vieterebbe qualsiasi contenuto “de sinistra”, dall’aborto alle leggi pro LGBT, dai diritti delle donne (l’imposizione del velo alle donne è una storica battaglia dei Fratelli Musulmani fin dai tempi di Gamal Nasser, che vi si oppose strenuamente) alla libertà sessuale. Ciononostante la solidarietà nei confronti di Hamas da parte delle sinistre libertarie nostrane è del tutto incondizionato. Non si legge una loro critica, una presa di distanza neanche accennata nei confronti del programma politico di Hamas. Se un qualunque partito nostrano declinasse le idee di Hamas nella politica italiana sarebbe tacciato di razzismo, omofobia e fascismo, e c’è da scommettere che sarebbe oggetto di attacchi verbali e forse anche fisici da parte di certe frange della sinistra. Se invece lo fa un Palestinese va tutto bene, omofobia compresa.
Peraltro la prassi dei due pesi e delle due misure si è vista mille volte su tanti argomenti, anche solo fermandoci al Medio Oriente. Proteste “de sinistra” per i diritti delle donne in Iran se ne sono viste a bizzeffe, per i diritti delle donne saudite o marocchine neanche una.
Da dove nasce allora tutta questa emotiva solidarietà di piazza, in “occidente”, nei confronti della causa palestinese oggi? E’ davvero triste dirlo, ma si tratta di un cascame storico. Durante gli anni della guerra fredda (1945-1989) la solidarietà ai Palestinesi era una bandiera della sinistra europea, per il semplice fatto che all’epoca Israele era un alleato militare degli USA e la Palestina – allora egemonizzata da un altro partito, Al-Fatah di Jasser Arafat – stava dalla parte dell’URSS. Questa presa di posizione sulla questione mediorientale, non esaurita con il crollo del Muro di Berlino, è rimasta immutata come istanza geopolitica principale di molti movimenti della sinistra libertaria. Tutto qui. Non esiste un’altra ragione. La prova del nove risiede nell’atteggiamento dei libertari in altri ambiti geopolitici: l’attuale conflitto Russia-Ucraina non ha portato in piazza così tanti attivisti “de sinistra” se non sporadicamente e per istanziare un generico pacifismo; le popolazioni dei territori contesi del Donbass non sono state considerate degne di attenzione quanto i Palestinesi; la minaccia di una escalation nucleare NATO-Russia (SIC !!!) non è stata ritenuta motivo sufficiente per organizzare massicci cortei come quelli che si sono visti guidati dalla bandiera verde, bianca, rossa e nera della Palestina. E che dire del caso del Kurdistan, dove la sinistra libertaria occidentale ha mantenuto la vicinanza ai partiti indipendentisti curdi anche dopo la loro alleanza strategico-militare con USA e Israele?
Considerare che migliaia di giovani sicuri di appartenere alla generazione più evoluta e tecnologica della storia umana si riversino in piazza perché vivono ancora in un angolo del XX secolo, dove non sono nemmeno nati, provoca una sensazione a mezza strada tra lo sconforto e il vomito; sensazione aggravata dalla loro totale disattenzione a diritti che li riguardano personalmente, dal diritto al lavoro al diritto alla sanità ad una pensione sufficiente per vivere. Non scendono mai in piazza per queste cose.
Esistono sezioni minoritarie della sinistra italiana che non seguono questa logica; ci sono soggetti politici che manifestano per la Palestina e nello stesso tempo scendono di continuo in piazza per i diritti sociali, ma come detto stiamo parlando di una minoranza a sinistra.
Solo due riflessioni. Prima di tutto è sbagliato far coincidere questi manifestanti con un’intera generazione: ragazzi che sentono l’urgenza di battersi per i diritti sociali non meno che per contesti geopolitici ve ne sono, il loro problema è che non sono organizzati. E’ urgente organizzarli. La seconda riflessione è che questo continuo rimando a idee, dottrine e contesti novecenteschi sono frutto di un grave baco culturale ed è proprio su questo terreno, quello della cultura giovanile, che occorre subito lavorare.
I ragazzi che scendono in piazza per la Palestina probabilmente non sanno nulla della Prima Repubblica e del rapporto tra Italia e Palestina, non solo del PCI ma anche della DC, prima che con la fantastica Seconda Repubblica il nostro Paese si trasformasse in uno scodinzolante amico dei sionisti. C’è in corso un genocidio, mi pare un argomento più che valido per scendere in piazza. Le reti sociali, un plauso agli amici palestinesi, sono pieni di video e immagini su una carneficina che nemmeno i media occidentali riescono a nascondere. Questa è la ragione delle manifestazioni. Dovremmo sostenerle.