In questo inizio estate certamente tutti attendono il risultato elettorale in Francia, Gran Bretagna e Iran per riuscire a trarre indicazioni sull’evolversi dell’enorme crisi internazionale in corso sia nel teatro europeo che in quello mediorientale. In Gran Bretagna e Iran abbiamo già incamerato un risultato di “cambiamento” con la vittoria del laburista Keir Starmer che scalza i conservatori dopo 14 anni di governo e in Iran abbiamo assistito alla vittoria del candidato cosiddetto riformista Masoud Pezeshkian: peccato si tratterà di un cambiamento che al massimo sarà rivolto verso questioni sociali ed economiche interne e che ben difficilmente invece potrà tradursi in un cambiamento di posizioni in politica estera.
La Gran Bretagna (così come la Francia) è afflitta da un enorme debito estero di circa 1900 miliardi di dollari che la pone su una posizione aggressiva in ossequio a quello che è il “principio di realtà”: bisogna evitare a tutti i costi che possa sorgere un blocco di potere alternativo a quello anglosassone, come quello formato da Cina e Russia, e ancor di più deve essere soffocato qualunque tentativo di creare una nuova moneta di conto internazionale che scalzi il dollaro e più in generale il sistema monetario occidentale (Dollaro + Euro + Sterlina + Yen + Franco Svizzero) e i suoi mercati finanziari di riferimento (tra i quali quello di Londra gioca un ruolo di primissimo piano, secondo solo a Wall Street). In ossequio a questo obiettivo è evidente come la politica estera britannica non potrà cambiare più di tanto con il cambio della guardia a Downing Street. Tutto, esattamente come a Parigi, dove il cambio della guardia a l’Hôtel de Matignon non discosterà poi di tanto la politica estera francese da quella di questi ultimi anni.
Anche in Iran si è votato e pur avendo vinto il candidato riformista Masoud Pezeshkian non bisogna attendersi svolte clamorose soprattutto in politica estera. Questo fondamentalmente per due motivi; (1) l’architettura istituzionale iraniana non vede il Presidente in una tale posizione di potere da rovesciare l’orientamento politico del paese, questo anche in relazione al fatto che esistono delle istituzioni come i Guardiani della Rivoluzione che sono di fatto uno “stato nello stato”, sia perché il vero potere è nelle mani della Guida Suprema l’Ayatollah Khamenei che non è certamente un “aperturista” verso l’Occidente e gli USA (2); del resto, la situazione internazionale dove le provocazioni di Israele (dalla guerra a Gaza, fino ad arrivare al bombardamento del consolato iraniano a Damasco) non creano di certo il clima ideale per la distensione. Va infine aggiunto che a giorni verrà firmato un trattato di partenariato globale tra Russia e Iran (sulla falsa riga di quello filmato da Russia e Corea del Nord) che legherà dunque Mosca a Teheran anche dal punto di vista militare, ovviamente in contrapposizione al blocco occidentale.
Se le elezioni di questi giorni di cui tanto si parla saranno probabilmente un buco nell’acqua nella loro capacità di cambiare il corso degli eventi, c’è però un altro avvenimento della massima importanza: il prossimo vertice della Nato che si terrà a Washington dal 9 all’11 di luglio. La prima cosa che si nota è che se ne parla pochissimo a livello di mass media e già questo lascia capire che non è un argomento buono per l’intrattenimento delle masse con la politica spettacolo. La seconda cosa che si nota è che il vertice si terrà a Washington e dunque nella casa del paese leader (per non dire del padrone, alla cui volontà tutti devono sottostare); e anche questo è un segno, data la psicologia umana dato che si tende sempre a non contraddire l’ospitante, figuriamoci se è anche il padrone…
Dalle prime indiscrezioni pubblicate dal Wall Street Journal (e da Foreign Affairs), i paesi della NATO hanno preparato nuove misure per il sostegno a lungo termine all’Ucraina anche nel caso di vittoria di Trump alle presidenziali di Novembre. Il primo provvedimento previsto è la sostituzione delle forze armate USA con quelle della NATO per quanto riguarda la responsabilità dell’assistenza militare e dell’addestramento dei soldati, “quindi, anche se gli Stati Uniti ridurranno o ritireranno il sostegno a questi sforzi, essi non scompariranno”, ha detto alla pubblicazione l’ex rappresentante permanente degli Stati Uniti presso la NATO Ivo H. Daalder. Un altro provvedimento è quello dell’invio di un funzionario civile a Kiev per vigilare sull’utilizzo delle risorse e, infine, sembra si sia decisa la creazione di un comando di 700 militari NATO a Wiesbaden (Germania) con il compito di coordinare la fornitura di equipaggiamento militare e l’addestramento delle forze armate ucraine, sostituendo così gli americani che fino ad ora si erano fatti carico di questo compito.
Interessante è anche un articolo pubblicato dallo stesso Segretario Generale della Nato su Foreign Affaire per il 75° anniversario dell’organizzazione atlantica. Il politico norvegese spiega che uno dei temi cruciali del vertice di Washington sarà la trattativa tra paesi membri che deve portare all’accordo sugli obblighi finanziari, i quali «garantiranno all’Ucraina la necessaria prevedibilità. L’alleanza vuole far capire a Mosca che conta sul sostegno di Kiev “a lungo termine”». Da notare peraltro che è proprio di questi giorni l’indiscrezione secondo cui gli americani stanno organizzando un incontro tra Biden e Zelensky con tutti i leader dei paesi della Nato che hanno firmato un accordo bilaterale di difesa con l’Ucraina (ricordo che l’Italia è tra questi). Non possiamo certamente escludere che Biden rimarchi formalmente agli altri leader che i patti sottoscritti vanno onorati sino in fondo, e che, dunque, l’accordo bilaterale firmato con Kiev non è da considerarsi un mero “pro forma” da esporre solo per una foto opportunity.
Altro tema sempre più scottante che verrà trattato durante il vertice di Washington è certamente quello relativo alla situazione nell’Indo-Pacifico. Questo può essere facilmente intuito dal fatto che al vertice stesso sono stati invitati i leader di Australia, Giappone, Nuova Zelanda e Corea del Sud ovvero i paesi cardine del meccanismo militare che l’Occidente sta organizzando per contrastare l’ascesa della Cina. La logica della NATO a tale proposito viene illustrata sempre da Jens Stoltenberg, secondo il quale la sicurezza dell’Europa “influenza l’Asia” e la sicurezza dell’Asia influenza l’Europa. Non c’è che dire, uno slogan molto efficace, ma però la realtà rischia di smentire in maniera drammatica: grazie all’espansione degli interessi della NATO fino all’estremo oriente l’instabilità dell’Europa (causata dalla NATO) rischia di allargarsi fino all’Asia a causa della sempre più incontenibile aggressività dell’Alleanza Atlantica!
Come si può facilmente intuire, il prossimo vertice della NATO rischia di essere un consesso di rilevanza storica dove si capirà molto di ciò che avverrà in Eurasia nei prossimi anni. Molto probabilmente l’enorme quantità di argomenti che verranno trattati è anche dettata dalla necessità americana di porre Trump di fronte al fatto compiuto (soprattutto in relazione al teatro europeo) qualora vinca le elezioni presidenziali del prossimo novembre.
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