Oltre le apparenze: la convergenza neoliberista di centrodestra e centrosinistra in Italia
DA LA FIONDA (Di Andrea Lombardi)
Centro sinistra e centro destra da anni si contendono il panorama politico.
Dopo lo scandalo di Tangentopoli di inizio anni ‘90 con il conseguente crollo dei partiti di massa, Silvio Berlusconi e l’antipolitica prendevano il potere, in un clima di sfiducia verso le istituzioni e malcontento popolare.
Dei governi Berlusconi si ricorda la riforma Gelmini, le leggi ad personam (come la legge Gasparri) e la normalizzazione del fascismo (molto famosa da questo punto di vista è l’affermazione in cui Silvio Berlusconi definì Benito Mussolini come qualcuno che ha semplicemente mandato la gente in vacanza al confine).
Gli anni dei governi Berlusconi sono stati caratterizzati da politiche che hanno avuto un impatto profondo sui ceti sociali più bassi, spesso con effetti negativi che hanno aumentato le disparità sociali, andando contro i principi di uguaglianza sanciti dalla Costituzione italiana.
Le riforme Gelmini hanno comportato una drastica diminuzione dei finanziamenti per le scuole e le università pubbliche, penalizzando in particolare gli studenti provenienti da contesti socioeconomici svantaggiati. La riduzione delle risorse ha limitato le opportunità educative per i giovani delle famiglie meno abbienti, ampliando il divario educativo e sociale.
I continui tagli al welfare hanno significativamente compromesso la qualità e l’accessibilità dei servizi sanitari per le famiglie a basso reddito e la riduzione dei fondi destinati alla sanità pubblica ha portato a un aumento delle disuguaglianze nell’accesso alle cure.
Gli interventi nel settore della previdenza sociale, come le riforme sulle pensioni, hanno avuto impatti differenziati, con molti benefici per i lavoratori autonomi e liberi professionisti, ma meno vantaggi per i lavoratori dipendenti a basso reddito.
Il Berlusconismo in Italia ha rappresentato un passo indietro rispetto alle conquiste dei diritti dei lavoratori. Durante i suoi governi, Silvio Berlusconi ha introdotto riforme che hanno modificato significativamente il panorama lavorativo italiano a discapito della classe lavoratrice.
La Legge Biagi del 2003 ha introdotto maggiore flessibilità nel mercato del lavoro e ha permesso la realizzazione di forme contrattuali atipiche, come i contratti a progetto e il lavoro interinale. Sebbene l’intento dichiarato fosse quello di aumentare l’occupazione e rendere il mercato del lavoro più dinamico, in pratica queste misure hanno aumentato la precarietà e l’insicurezza lavorativa, specialmente tra i giovani e i lavoratori meno qualificati.
Le riforme del diritto del lavoro hanno reso più facile per le aziende licenziare e assumere con contratti precari, riducendo la sicurezza sul posto di lavoro e aumentando la pressione sui lavoratori. L’antiberlusconismo d’altro canto, propugnato dal centro sinistra liberista non ha mai adottato soluzioni alternative a favore della classe lavoratrice.
Un esempio di ciò sono le riforme, con il conseguente annullamento dell’articolo 18 e la promulgazione dei Jobs Act iniziate nel 2014.
L’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori, introdotto con la Legge 20 maggio 1970, n. 300, rappresentava una delle principali tutele contro i licenziamenti illegittimi per i lavoratori dipendenti di aziende con più di 15 dipendenti. La norma prevedeva che, in caso di licenziamento senza giusta causa o giustificato motivo, il datore di lavoro fosse obbligato a reintegrare il lavoratore nel proprio posto di lavoro. Oltre alla reintegrazione, il lavoratore aveva diritto a un’indennità risarcitoria, commisurata alla retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento fino a quello della reintegrazione, e non inferiore a cinque mensilità.
Il lavoratore poteva anche scegliere, in alternativa alla reintegrazione, un’indennità sostitutiva pari a quindici mensilità della retribuzione globale di fatto.
Con la riforma Fornero del 2012 e il Jobs Act del 2015, l’articolo 18 è stato significativamente modificato. La riforma Fornero ha introdotto la possibilità per i giudici di limitare la reintegrazione ai soli casi di licenziamenti discriminatori o disciplinari ingiustificati, prevedendo invece un’indennità risarcitoria per i licenziamenti economici ingiustificati.
Il Jobs Act ha ulteriormente ridotto le tutele, limitando la reintegrazione ai casi di licenziamenti discriminatori o nulli per motivi previsti dalla legge, mentre per altri casi di licenziamenti ingiustificati si è passati a un sistema di indennità economica crescente con l’anzianità di servizio del lavoratore.
Il punto cruciale è che queste riforme non sono state approvate dalla destra berlusconiana, ma dalla sinistra antiberlusconiana con l’approccio dei sindacati italiani maggiormente influenti.
Questi interventi riflettono un orientamento liberista condiviso, che privilegia la flessibilità del mercato del lavoro e il contenimento della spesa pubblica a discapito della sicurezza e delle tutele per i lavoratori. Coloro che all’interno del panorama politico accusano la destra berlusconiana di aver fatto politiche a discapito dei lavoratori, sono gli stessi che, oltre a governarci insieme in determinate legislature, hanno promosso politiche anche peggiori.
La sinistra liberista non rappresenta un’alternativa plausibile all’interno del contesto economico e politico attuale, l’opposizione fatta all’interno delle sedi istituzionali che il centro sinistra porta avanti è una opposizione che non mette in discussione gli assetti di potere esistenti.
E ciò risulta ancor più evidente all’interno delle città in cui il centro sinistra governa, come Firenze o Milano, città che da anni puntano alla gentrificazione e alla segregazione delle classi popolari in favore delle classi sociali più ricche.
Commenti recenti