Graphic journalism tra disinformazione e fake news
di LE PAROLE E LE COSE (Silvia Gianni)
Mi rendevo conto che c’erano in gioco […] il nostro modo di pensare, i limiti della nostra immaginazione, la tentazione di rispondere in modo approssimativo alla domanda su quali vie di sviluppo imboccherà il mondo. […] L’umanesimo della nostra scrittura sta appunto nello sforzo di diffondere non una collezione di stereotipi, ma un’immagine veritiera del mondo. È uno dei compiti della letteratura, dell’arte e della cultura in genere.
(R. Kapuściński, Autoritratto di un reporter)
Negli ultimi anni lo sviluppo tecnologico e delle modalità di fare informazione hanno generato un effetto di saturazione mediatica: dai telegiornali alle trasmissioni televisive, dalla radio ai giornali, e ancora podcast e pagine Instagram, Facebook, Twitter, blog. Tutti fanno informazione, ma, come sappiamo, non tutte le informazioni sono vere. L’esito della commistione tra eccesso di informazioni e fake news è una difficoltà ad orientarsi, a conoscere, a comprendere cosa accade, che può condurre, paradossalmente, alla disinformazione.
In questa situazione, che spazio può avere il graphic journalism? Un giornalismo artistico, che per giunta non risponde ai ritmi frenetici delle news, ma che richiede tempi di elaborazione più o meno lunghi.
Che il fumetto abbia dei legami con il giornalismo non è certo una novità, basti pensare all’editorial cartooning ottocentesco, alle vignette satiriche o ai cartoon reports della prima metà del Novecento. Ma con comics journalism si indica qualsiasi prodotto che deriva dall’interazione tra fumetto e giornalismo, o un formato, un genere preciso? Si potrebbe dire che il comics journalism è il ‘cugino a fumetti’ del New Journalism americano. Francesco Fasiolo parla di «forme ‘ibride’ che uniscono la professionalità del giornalismo a quelle di disegnatori attenti alla realtà che li circonda. Il risultato è una forma di comunicazione mista, un giornalismo molto narrativo».[1] Il comics journalism è dunque un fenomeno eterogeneo, in cui è possibile individuare diverse tendenze: giornali e riviste che adottano il linguaggio del fumetto per strips isolate o per intere sezioni, come nelle Cartoline da… de l’«Internazionale»; intere piattaforme digitali dedicate al giornalismo a fumetti, come «BD reportage», «Cartoon movement», «Drawing the times», «The Nib», «The Comics Journal»; fumetti e graphic novel che si appropriano del metodo e delle tematiche proprie del giornalismo; e ancora opere che vanno dal diario di viaggio di Guy Delisle, al dossier The 9/11 Report di Sid Jacobson e Ernie Colon; opere in cui il giornalismo a fumetti si intreccia ad altri media e linguaggi, come alla fotografia in Il Fotografo di Emmanuel Guibert, o nel «patchwork»[2] To Afghanistan and Back di Ted Rall; lavori che rientrano a pieno o in parte al campo dell’autobiografia o della biografia come Valzer con Bashir di David Polonsky.
Il dichiarato impegno dei comics journalists nei confronti della realtà e dell’attualità può essere considerato – di caso in caso – come un impegno politico, sociale, ambientale, storico-documentario… ma è innanzitutto di un impegno culturale. Questo perché non si tratta di politici, sociologi, ambientalisti, storici e neanche di giornalisti veri e propri, ma innanzitutto di artisti. Artisti che, consapevoli del proprio ruolo culturale, si assumono una responsabilità davanti ai terremoti storici del nostro secolo, senza improvvisarsi ‘esperti in materia’, ma svolgendo il loro mestiere: raccontare storie.
Ma che valore può avere, davanti al disordine del mondo, raccontare storie? In un mondo che cambia sempre più velocemente, sconvolto da guerre, attentati, catastrofi atmosferiche, pandemie e ancora guerre, che invadono le nostre case con i telegiornali, la radio e i social … a cosa serve raccontare storie? Davanti a questo tsunami mediatico in cui è sempre più difficile orientarsi, che contributo può dare l’ennesima forma di giornalismo che vuole raccontare una storia?
Sono domande interessanti, forse meno problematiche quando sono altri media a fare giornalismo raccontando storie, media più smart e meno oggetto di pregiudizi, si pensi ad esempio a diversi podcast, tra cui quello di Cecilia Sala intitolato emblematicamente Stories.
Rispetto al fumetto, invece, può essere utile rispondere a partire da uno dei disegnatori italiani più impegnati nel panorama contemporaneo, Igort. Quando il 24 febbraio 2022 la Russia ha invaso l’Ucraina, Igort non ha perso tempo e ha preso posizione: il 25 febbraio inaugura la rubrica su Facebook Cronache dal telefono, in cui riporta giorno per giorno una breve storia, una testimonianza di amici o parenti russi o ucraini. La rubrica verrà poi sviluppata e pubblicata nel reportage a fumetti Quaderni Ucraini. Diario di un’invasione. Un reportage disegnato.
Mi stava a cuore non fare il geopolitologo diciamo, ma raccontare le storie, le storie piccole delle persone, le difficoltà, le sofferenze, le privazioni sotto la guerra. E questo era la cosa che per me era più urgente, più importante. A me non interessano gli scoop, non mi interessano le notizie importanti. A me interessano il piccolo particolare che si vede dietro la scena e che magari è rivelatore di una situazione umana particolarmente difficile o sofferente. […] Dobbiamo, anche in un momento di profonda dezinformatsiya – come la chiamano in Russia – cominciare a capire come si leggono le notizie […], e questo lo puoi fare se sai leggere. Ma sai leggere non vuol dire che sai leggere l’alfabeto, sai leggere vuol dire che sai leggere tra le righe, dietro le quinte.[3]
Dalle parole di Igort è possibile dedurre due elementi attraverso cui i comics journalists si inseriscono nel dibattito sull’attualità. Il primo è una concezione diversa della verità, che rimette al centro l’uomo. Per l’autore la verità non riguarda gli scoop, i fatti più rilevanti; affermare la verità significa raccontare le storie private delle persone. In secondo luogo, per Igort assumersi una responsabilità culturale non significa né fare il politologo né farsi portavoce delle notizie importanti, ma raccontare i particolari della quotidianità, quei dettagli umani che vengono oscurati dalla maggior parte degli altri media giornalistici, con la speranza che da qui si possa «imparare a leggere tra le righe». Quindi, il tratto di narratività proprio di queste opere artistiche è lo strumento che permette di entrare in un ambito estraneo alla cronaca tradizionale: il privato, l’umano, l’interiorità. Lo stesso Igort, in un’intervista con Valerio Stivè, sottolinea il proprio tentativo di intromettersi nell’assordante iperproduzione di notizie restituendo voce a chi ne è stato privato: «I wanted to be helpful, I wanted to give a voice to those who are invisible, those who don’t have the right the be represented. My purpose is to simply tell people’s stories».[4]
Per capire il funzionamento della narratività e come questa si inserisca nell’attuale saturazione e deformazione mediatica occorre considerare lo statuto estetico di queste opere.
Il comics journalism, nonostante la componente giornalistica, appartiene al dominio della non fiction. Tale precisazione distingue due diversi obiettivi: se il giornalismo tradizionale risponde a una finalità strettamente informativa, il comics journalism è primariamente situato in una dimensione di esteticità ed è quindi diretto a un’esperienza di apertura conoscitiva. Raffaello Palumbo Mosca sintetizza la particolare esperienza conoscitiva propria della non fiction sottolineando come questo tipo di scrittura sia volta a «cambiare la propria e altrui coscienza, cioè la coscienza di chi nel mondo vive e opera. […] Si scrive non tanto per descrivere il mondo, ma […] per sottoporre a indagine etica la gamma dei significati possibili di accadimenti reali, per costringere chi è vivo, a rifletterci e a darsene pena».[5] O ancora, per Alberto Casadei la scrittura «non può che essere un pretesto, una conseguenza dell’approccio etico al vivere, una forma di relazione con gli altri ma non una costruzione fittizia e autonoma».[6]
La distinzione tra fine informativo e conoscitivo inserisce un dato fondamentale: i fumettisti che criticano esplicitamente le modalità di informazione più comuni operano all’interno di un campo che non ha come fine l’informazione. Può sembrare un paradosso, ma la vera domanda è: si tratta di un alibi, ossia di un modo per introdursi nel dibattito svincolati dal problema della verità informativa, o della particolare condizione di possibilità per cui un medium artistico come il fumetto può opporsi alla distorsione della verità?
Nessuna scusa, il rigore giornalistico permane e il problema della verità è sempre al centro del comics journalism: gli artisti promettono al lettore la verità, costantemente confermata dall’esibizione delle fonti o tramite congetture personali rese altrettanto esplicite. Ecco un altro elemento essenziale: la forte componente soggettiva. Gli artisti del comics journalism rifiutano il cosiddetto objective journalism, prediligendo l’esplicitazione del proprio coinvolgimento e del proprio punto di vista rispetto alle vicende, narrando in prima persona la vicenda e spesso autoraffigurandosi. Prendiamo ad esempio il grande Joe Sacco, riconosciuto dalla critica come il padre del comics journalism. Maltese trapiantato in America, studia giornalismo, ma all’inizio della sua carriera si rende conto che la versione americana della storia, così come viene raccontata ai cittadini statunitensi, è parziale.
“I grew up thinking all Palestinians were terrorists” […] “That wasn’t from studying the issue closely, that was from just absorbing what I read in newspapers. Newspapers were reporting a lot of facts. […] You can report objective facts selectively and without context and give someone an impression, as I was given by so-called objective journalism: that Palestinians are pure and simple terrorists. It took self-education. I was never going to come up with another viewpoint by reading the American press. […] What objectivity has come to mean as far as its journalistic definition is that there are two sides to a story, you just present both sides of the story then let the reader decide. There’s never just two sides. To me, a journalist is someone who you have to put a bit of faith in. If you know what a journalist’s world view is […] then you understand the filter that you are reading the thing through. You’re reading it through a very individual filter and you can judge better.[7]
Per contrastare la deformazione informativa americana, Sacco racconta della propria esperienza di artista occidentale che, nel 1991, si reca in Medio Oriente per conoscere l’altra faccia del conflitto. Nel rappresentare il punto di vista e le storie dei palestinesi, gran parte della narrazione si sofferma sui dettagli della loro vita quotidiana. Non vengono dunque riportate solo le grandi testimonianze, ma la vita di tutti i giorni.
Attenzione, la narratività e il coinvolgimento soggettivo dell’autore non riducono la validità fattuale di queste opere e l’incisione che possono avere nella realtà e nel dibattito. Si pensi ad esempio a Pyongyang, il reportage sulla Corea del Nord di Guy Delisle. Pyongyang racconta del soggiorno di due mesi del fumettista canadese nella capitale, dove si reca per lavoro nel 2001: con il sottile sarcasmo che lo contraddistingue, Delisle svela alcuni dettagli della vita nordcoreana, tanto disturbanti da essere paragonati al mondo orwelliano di 1984. Il fumetto viene pubblicato nel 2003 da L’Association, ma non senza esitazioni.
Nel 2001, pochi mesi dopo il mio ritorno dalla Corea del Nord, stavo inviando le prime pagine del mio libro agli amministratori dello studio di animazione che mi avevano mandato là. Ho pensato che si sarebbero divertiti a leggere come era la vita a Pyongyang, dove era stata prodotta la loro serie tv. La reazione è stata fredda: mi dissero che non mi era permesso parlare del mio soggiorno laggiù e che la mia clausola contrattuale prevedeva una nota di riservatezza che mi impediva di pubblicare un libro sull’argomento. Mi consultai con il mio editore dell’epoca, L’Association, che ha pubblicato le mie prime storie. A Jean-Christophe Menu, il direttore di questa piccola casa editrice, piacquero molto l’idea e le prime pagine del libro. Cercammo la clausola di riservatezza e non la trovammo. Infine mi disse: sarebbe un peccato se si finisse in tribunale, ma questo è un libro che dobbiamo fare.[8]
L’impatto del reportage di Delisle emerge in occasione dell’adattamento cinematografico del fumetto. Il film sarebbe uscito per la Fox, diretto da Gore Verbinski e avrebbe visto come protagonista Steve Carell. Tuttavia, nel giugno 2014 il governo nordcoreano rivolge importanti minacce alla Sony, in vista della distribuzione del film The Interview, un’ironica storia su un complotto della Cia per assassinare il leader nordcoreano Kim Jong-un; seguono attacchi hacker provenienti dalla Nord Corea e minacce terroristiche ad alcuni cinema statunitensi, finché Sony ritira The Interview. Alla luce di questi fatti Fox decide di non distribuire il film tratto da Pyongyang, giudicando i contenuti del reportage di Delisle troppo espliciti e quindi pericolosi per esporre la casa cinematografica e l’intera stabilità del paese a simili rischi.
In questo quadro, è interessante individuare una certa tendenza ad opporsi programmaticamente alla disinformazione e alla misinterpretazione mediatica servendosi degli strumenti del visual storytelling.
Si consideri ad esempio la cooperazione tra codice verbale e codice visuale: il fumetto è capace di amplificare il grado di testimonialità, restituendo la verità dei fatti nella loro dimensione visuale. Anche altri media informativi ricorrono al supporto visivo, ma ci sono due differenze. La prima è che il disegno, al contrario della fotografia o dei video, è in grado di rappresentare ogni punto di vista, di cogliere qualsiasi istante di un evento, grazie alla possibilità di rielaborare artisticamente una fonte o un fatto di cui si è testimone offrendo un’immagine meglio rappresentativa e comunicativa di tale evento. La seconda, sta nel potenziale creativo del disegno: Hillary Chute sottolinea che i fumetti, per la loro componente di hand drawing, rifiutano intrinsecamente l’idea di una trasparenza nei confronti della realtà. Ciò non significa infierire sulla verità, ma assumere che lo stile di ogni artista è il primo e inevitabile filtro soggettivo che ogni lettore incontra. Ad esempio, lo stile di Joe Sacco si caratterizza per l’ossessione per il dettaglio e per l’accumulo di informazioni: è la modalità adottata dall’autore per restituire il contenuto dell’opera. Infatti, l’estrema densità di dettagli mira a ridare concretezza, fisicità agli individui palestinesi, sottraendoli all’oblio cui sono destinati dai media statunitensi.
Igort, al contrario, in Quaderni Ucraini. Diario di un’invasione non ricerca la verità attraverso l’alto grado di precisione, ma con uno stile evocativo «capace di comunicare ciò che gli altri media hanno difficoltà a veicolare: gli stati d’animo, le atmosfere, le impressioni»[9] e che si realizza soprattutto attraverso l’uso dei colori. Ovviamente lo stile evocativo riflette l’interpretazione dell’autore. L’obiettivo di Igort è restituire corporeità e dignità a persone vere, mostrando al lettore la loro vita schiacciata dalla guerra. Lo stile evocativo risponde al fine dell’opera: contrastare sia l’oscuramento mediatico russo che contribuisce alla cancellazione dell’uomo sia una certa tendenza narrativa del sistema mediatico occidentale, che pretende di restituire la verità attraverso cronache romanzesche, «narrazioni eroiche e altisonanti».[10] Al contrario di queste modalità di riportare (o non riportare) la guerra, Igort vuole guardare alle cose degli uomini, «dare voce e […] dare una piccola luce a storie che altrimenti rimarrebbero invisibili. Sepolte nel fragore delle bombe»,[11] per raccontare senza sconti la verità su una guerra misera, in cui non c’è niente di epico.
Una seconda strategia riguarda l’uso della focalizzazione. Nel fumetto la focalizzazione è sempre almeno duplice: da un lato si considera la focalizzazione interna alle vignette; dall’altro, l’inquadratura più ampia connaturata alla vignetta. Dal momento che la focalizzazione riguarda la percezione visiva, emotiva e cognitiva di un soggetto, è chiaro che la duplicità insita nel sistema di focalizzazione del fumetto raddoppia anche il filtro soggettivo. Nel comics journalism si può assistere a un’ulteriore rifrazione del punto di vista: la coincidenza tra autore, narratore e personaggio comporta un triplice punto di vista autoriale (relativo a tre diversi piani diegetici), così come la focalizzazione dei testimoni può rimandare sia all’esperienza presente, sia al passato. In alcuni casi, gli autori esasperano questa moltiplicazione dei punti di vista proprio per contrastare l’objective journalism, che si elegge portavoce della sola e unica giusta visione dei fatti. Diversamente questi artisti restituiscono un punto di vista soggettivo e sfaccettato, e per questo più veritiero.
Un’altra strategia che garantisce narratività al comics journalism riguarda l’uso della voce. Nel fumetto la funzione narrativa della voce assume una caratterizzazione particolare. Prendendo in considerazione il layout e la materialità della pagina, lo spazio delle tavole è solitamente ripartito in diversi livelli diegetici: ad esempio, quello delle didascalie è diverso da quello delle vignette. La possibilità di raffigurare contemporaneamente piani diegetici diversi – e quindi relativi a dimensioni spazio-temporali differenti – rende possibile la rappresentazione di voci diverse che, nello spazio della pagina, si sovrappongono e si stratificano. Ad esempio, in Guantánamo Voices Sarah Mirk realizza una struttura narrativa che esaspera la proliferazione delle voci dei testimoni. Nell’opera l’autrice non si limita a criticare l’oscuramento della verità sulla prigione da parte del governo degli Stati Uniti, ma vuole far emergere la più subdola e insidiosa forma di violenza che circonda e pervade Guantánamo: il silenzio. Per questa ragione racconta delle storie che vogliono essere innanzitutto un antidoto all’oblio della memoria. La denuncia alla violenza del silenzio si realizza innanzitutto nella forma: la proliferazione di voci diventa quindi la principale arma contro il silenzio assordante di Guantánamo, come evidente fin dal titolo.
Ci sono anche casi in cui la distorsione della verità è il tema centrale della storia. Si pensi a Zerocalcare, il fumettista ormai noto a tutti gli italiani. L’artista romano, nonostante il successo mediatico mai raggiunto prima da un fumettista in Italia, si distingue per un esplicito impegno sociale, che trova radici nella sottocultura punk straight edge e nei centri sociali. Nei suoi più conosciuti reportage a fumetti, Kobane Calling e No Sleep Till Shengal, la critica ai media mainstream è centrale: «Non voglio negare le complessità che sicuramente ci stanno. – sennò facevo il giornalista, ah-ah-ah (BA-DUM-CHH – suono della batteria dopo la battutona) -. Quindi racconto le mie impressioni».[12] Rech arriva infatti a decostruire l’immagine del giornalista reporter impegnato in un viaggio pericoloso ed eroico per amore del vero, presentando invece il personaggio apparentemente ingenuo ormai amato dai suoi lettori. Un autore che non si improvvisa tuttologo, ma che, come scrive lui stesso in Kobane Calling, è mosso dal proprio cuore, da un amore per la libertà e l’umanità.
Oltre alle grandi opere, ci sono moltissime tavole pubblicate singolarmente o a puntate su blog o riviste. Tra le più recenti segnalo A proposito di Lucca e di tutto il resto, pubblicato il tre novembre 2023 su l’«Internazionale». A proposito di Lucca è una sequenza di tavole realizzata per fare chiarezza rispetto a un disordine mediatico che lo riguarda, «al centomillesimo articolo pieno di menzogne che mi mette in mezzo personalmente, io o faccio un fumetto o vado in cronaca».[13] Lo scorso novembre Michele Rech decide di non partecipare al Lucca Comics, tra i più importanti eventi al mondo nel campo del fumetto, a causa del patrocinio dell’ambasciata israeliana, annunciando la sua decisione e le ragioni sui social. La conseguenza è stata un’esplosione di pesanti accuse nei confronti dell’artista. Nelle tavole Zero riporta i post di Matteo Salvini, Maurizio Gasparri, Maurizio Crippa e molti altri che gli rivolgono accuse di violenza, antisemitismo, ancora più aggressive in seguito alla decisione degli artisti israeliani Asaf e Tomer Hanuka di dare forfait, fino all’articolo di Francesco Merlo su «Repubblica»: «Zerocalcare neppure si rende conto di assomigliare ad Hamas».[14] Questo caso è interessante perché la distorsione mediatica è esattamente l’oggetto della discussione della breve storia personale dell’autore: Zerocalcare, artista da sempre profondamente implicato nella lotta politica, non rinuncia ad assumere una propria posizione arrivando a rinunciare al Lucca Comics, un gesto sicuramente forte, ma che è subito stato preso, ribaltato, manipolato, «buttato strumentalmente nel tritacarne dell’antisemitismo».[15]
Un secondo caso, ancora più recente, sono gli episodi di Questa notte non sarà breve, pubblicati tra l’11 gennaio e il 3 giugno 2024, sempre su «Internazionale». Si tratta di una serie di tavole che raccontano la storia di Ilaria Salis, dall’arresto al processo a Budapest, seguito da Michele Rech in persona. Anche in questo caso, la vicenda della Salis è narrata a partire dall’esperienza dell’artista. La spiccata ironia e l’immaginario pop che costituiscono la cifra dello stile di Rech si fanno strumenti per rendere più accessibile la storia a un pubblico eterogeneo e in parte disinformato: ad esempio, i personaggi immaginari sono elementi famigliari al lettore in un contesto estraneo, che quindi favoriscono un avvicinamento. Attraverso il continuo dialogo con diverse proiezioni di sé, Zerocalcare rappresenta possibili obiezioni alle sue stesse affermazioni, in modo non solo da poter argomentare le proprie posizioni, ma anche da introdurre e spiegare dettagli essenziali per comprendere la complessità del caso Salis. Zerocalcare riesce a sintetizzare in maniera chiara e coinvolgente i fatti e le ragioni che hanno portato all’arresto della Salis, nonché le conseguenze. Un tema centrale è la responsabilità, non solo delle azioni di Ilaria, ma la responsabilità a cui ciascuno è chiamato davanti alla realtà e alla Storia, un forte ed esplicito richiamo che di nuovo rimanda alla necessità di una riflessione, di una presa di coscienza. La narrazione a puntate su Ilaria Salis vede un numero specificamente dedicato alla mistificazione mediatica, intitolato Chi inquina il dibattito, in cui Calcare racconta con diversi esempi come i media hanno restituito la vicenda della Salis, quali sono le omissioni rilevanti, quali le menzogne. Questa rubrica settimanale è stata ripresa da diverse testate italiane, a confermare l’incisione, l’eco del lavoro dell’artista di Rebibbia
È chiaro, dunque, che per tutti questi autori assumersi una responsabilità culturale non significa affermare una verità, ma rieducare a una riflessione che ponga al centro la persona, riaprire un dialogo che favorisca un giudizio critico. Si tratta di un metodo, che per questi artisti resta sempre centrale: basti guardare alle recenti pubblicazioni del nume tutelare del comics journalism, Joe Sacco. Dopo aver pubblicato Palestina e Gaza 1956. Note ai margini della storia, Sacco avverte come imperativo morale dovere assumere una posizione rispetto al conflitto tra Israele e Hamas. Il 26 gennaio scorso Gary Groth (editore di Palestina) scrive sul «The Comics Journal»:
We both understood that in this context we inhabit a privileged world of heightened cultural responsibility—he as an artist, me as a publisher—that compelled us to do something, but we also felt a sense of futility and frustration. How should we best exercise this cultural responsibility? On December 26, I wrote Joe, “I decided that I cannot in good conscience watch what’s unfolding in Gaza without public comment.” A few days later, in an email to me, he wrote, “When I think of what can be done, your strength lies mainly in your position as a publisher and what you publish. And mine as a cartoonist and what I draw. I’ve been going back and forth a lot about what, if anything, I can contribute.” The result of this conversation led us to take two courses of action: a statement from the publishers of Fantagraphics, released publicly yesterday and reproduced below, and this column, “The War on Gaza,” a series of graphic commentary and reflections by Joe Sacco that he will draw as often as time permits. It is surely not enough, but it’s what we can contribute.[16]
Nelle tavole di The War on Gaza, pubblicate periodicamente, Sacco condivide le proprie riflessioni rispetto alla guerra tra Isreale e Hamas. Non si tratta di articoli giornalistici né di analisi geopolitiche, ma di un atto di responsabilità culturale: rispondendo all’appello di un amico a Gaza, «Pls raise the voice up», restituisce la propria visione personale rispetto alla guerra, non esente da opinioni e critiche politiche, ma a partire dalle voci dei testimoni diretti.
Palestina e The War on Gaza sono sicuramente opere molto diverse tra loro e che nascono da contesti e esigenze differenti, ma ciò che non cambia è un certo metodo, una certa postura davanti alla realtà tesa a conoscere la verità rimettendo al centro l’uomo. È questo metodo che struttura e guida la responsabilità culturale di questi artisti. Riprendendo nuovamente Igort: «La cultura ci salverà, la cultura è il vivaio nel quale le idee possono confortarsi, prosperare e far crescere una riflessione. Io credo che noi abbiamo bisogno di esercitare una riflessione, l’uso dell’intelligenza e dell’analisi per capire esattamente».[17]
[1] F. Fasiolo, Italia da fumetto: il graphic journalism e la narrativa disegnata che raccontano la realtà italiana di ieri e di oggi [2012], Tenué, Latina 2013, pp. 4 e 13.
[2] Ivi, p. 48.
[3] Igort a Lucca Comics & Games 2022: Quaderni Ucraini, «Lo Spazio Bianco», (https://www.youtube.com/watch?v=7-JAMdaWcPE).
[4] V. Stivé, “My Purpose Is simply to Tell People’s Stories”: a Visit with Igort, and a Look at his New Ukrainian Notebook, «The Comic Journal», 2022 (https://www.tcj.com/my-purpose-is-simply-to-tell-peoples-stories-a-visit-with-igort-and-a-look-at-his-new-ukrainian-notebook/).
[5] R. P. Mosca, La non fiction, in R. Castellana (a cura di), Fiction e non fiction. Storia, teorie e forme, Carocci, Roma 2021, p. 142.
[6] A. Casadei, Stile e tradizione nel romanzo italiano contemporaneo, in Mosca La non fiction cit., p. 142.
[7] A. Burrows, The Myth Of Objective Journalism – Joe Sacco Interviewed, «The Quietus», 2012, (https://thequietus.com/articles/10916-joe-sacco-journalism-interview).
[8] La reazione di Guy Delisle alla cancellazione del film tratto da Pyongyang, Fumettologica, 2014 (https://fumettologica.it/2014/12/guy-delisle-cancellazione-film-pyongyang/).
[9] V. Monti, I “Quaderni Ucraini” di Igort. Analisi linguistica di un reportage a fumetti, «Italiano LinguaDue», Milano 2013, pp. 156 e 257.
[10] Igort, Quaderni Ucraini. Diario di un’invasione. Un reportage disegnato, Oblomov, Bologna 2022, p. 167.
[11] Ivi, p. 168.
[12] Zerocalcare, Kobane Calling. Oggi, Bao Publishing, Milano 2022, p. 88.
[13] Zerocalcare, A proposito di Lucca e di tutto il resto, «Internazionale», 2023 (https://www.internazionale.it/reportage/zerocalcare/2023/11/03/zerocalcare-lucca-comics-fumetto).
[14] F. Merlo, Zerocalcare & Co, i disertori di Lucca Comics, «La Repubblica».
[15] Zerocalcare, A proposito di Lucca e di tutto il resto, cit.
[16] J. Sacco, The War on Gaza – 1.26.24, «The Comics Journal», 2024.
[17] Igort a Lucca Comics & Games 2022 cit.
FONTE:https://www.leparoleelecose.it/?p=49529
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