Cosa si nasconde dietro il (finto) “piano di pace” di Trump?
di L’ANTIDIPLOMATICO (Giuseppe Masala)
Timeo Danaos et dona ferentes
(“temo i Danai anche quando recano doni”)
Eneide, Publio Virgilio Marone.
Come era facilmente prevedibile nell’agenda degli affari internazionali, il nuovo presidente americano Donald Trump vede ai primissimi posti la crisi ucraina e la questione europea. Infatti immediatamente dopo la vittoria del Tycoon newyorkese il Washington Post ha fatto filtrare una bozza di piano di pace per l’Ucraina preparato dall’entourage di Trump.
A mio modesto avviso il piano pubblicato gode di forte credibilità perchè corrisponde pienamente a quelli che sono gli interessi reali degli Stati Uniti; interessi – sia detto per inciso – che rimangono i medesimi indipendentemente da chi sia l’inquilino della Casa Bianca.
Nella partita ucraina, gli interessi di fondo americani, in questa fase, sono i seguenti: (a) evitare un impegno diretto nella guerra ucraina, (b) evitare che la Russia abbia una vittoria piena, (c) congelare la situazione per evitare il crollo dell’Ucraina e il suo rientro nella sfera di influenza di Mosca.
Infatti il piano lasciato filtrare prevederebbe, (1) il congelamento del conflitto con la concessione de facto (ma forse anche il riconoscimento formale) alla Russia dei territori conquistati, (2) la creazione di una buffer zone controllata da truppe europee ma non americane, (3) la ricostituzione dell’esercito ucraino sfibrato dalla guerra, (4) la promessa solenne della non entrata dell’Ucraina nella Nato per i prossimi venti anni.
Come si può vedere il piano di pace di Trump è un ingegnosa trappola per i russi che si ritroverebbero di fatto con niente in mano mentre l’Occidente riuscirebbe a preservare il regime di Kiev come testa d’ariete pronta ad essere scagliata contro Mosca. L’unico punto apparentemente di concessione verso la Russia è quello della non entrata di Kiev nella Nato per i prossimi venti anni. Ma a ben vedere è una concessione che sarebbe solo una Vittoria di Pirro per Mosca, infatti con l’entrata di truppe europee lungo l’enorme confine russo-ucraino (si tratta di ben 800 km) ci si ritroverebbe nella paradossale situazione per la quale se l’Ucraina non entrerà nella Nato saranno comunque le truppe della Nato ad entrare in Ucraina.
Come si intuisce, ben difficilmente a Mosca accetteranno un piano del genere che li lascerebbe con nulla in mano dopo oltre due anni di un conflitto che ha avuto costi umani, politici ed economici rilevanti. Ciò che però la piattaforma di trattativa americana chiarisce è che il ritorno in scena di Trump non significa – come pensano molti dei suoi sostenitori europei – che è arrivato il nuovo Messia che porterà la pace in Europa e nel Mondo aprendo ad una nuova età dell’Oro. Trump è vincolato da quelli che sono i pressanti problemi americani e tra questi vi è certamente quello di disimpegnarsi il più possibile dal teatro europeo per concentrarsi sul Medio e soprattutto sull’Estremo Oriente. Ma questo disimpegno deve essere fatto con grande astuzia, evitando di concedere una vittoria reale a Mosca e dunque offrendogli solo una exit strategy che salvi la faccia a Putin. Da considerare anche che nella logica di Washington questa exit strategy dovrebbe forse aprire anche una testa di ponte occidentale a Mosca per riuscire nell’impresa di riavvicinare la Russia all’Occidente distaccandola dal grande rivale strategico cinese. Certamente anche questa è una opzione considerata a Washington visto che i suoi strateghi congegnano piani che lasciano aperte diverse strade a seconda della mossa dell’interlocutore.
Una strategia quella trumpiana che – a ben vedere – si fonda sulla logica “della carota e del bastone”: se da un lato viene offerta una exit strategy a Mosca, dall’altro lato si fanno anche arrivare sottili minacce. Così bisogna intendere certamente la asserita telefonata tra Trump e Putin nella quale il neo presidente avrebbe “caldamente consigliato” il russo a non fare ulteriori escalation al conflitto.
Un altro aspetto da considerare è poi quello psicologico. La proposta trumpiana sembra anche voler concedere a Putin un’uscita di scena da vincitore (o quanto meno da non sconfitto) concedendogli l’iscrizione del suo nome tra i grandi della storia russa e lasciando però i problemi completamente irrisolti al suo successore. Dunque un piano che tende a stuzzicare il narcisismo di Putin…
Ma c’è un ulteriore lato del piano che, a ben vedere, lascia stupefatti e che non esito a definire mefistofelico. Mi riferisco al punto di vista europeo del piano. L’Europa sarebbe chiamata a mandare le truppe dei suoi paesi di fronte al confine russo. Una circostanza questa da considerarsi estremamente pericolosa (chiaramente nel caso improbabile che i russi accettino): la guerra è scoppiata proprio perché i russi non volevano truppe occidentali ai propri confini e si ritroverebbero…con truppe occidentali ai propri confini. E’ chiaro che, presto o tardi, questa circostanza porterà ad un riacutizzarsi della crisi con probabili scontri tra truppe russe e le truppe europee.
In sostanza ci ritroveremo con l’altissimo rischio di ripetere lo scenario già verificatosi nella prima e nella seconda guerra mondiale, con i paesi europei che entrano in guerra e gli Stati Uniti pronti ad intervenire quando entrambe le parti si saranno demolite reciprocamente.
Da notare infine che in Europa già si aggirano già personaggi che in qualche modo sono pronti a sostenere il piano di Trump. L’esempio più eclatante è certamente quello del candidato CDU alla cancelliera di Berlino Friedrich Merz, che in un’intervista a Stern ha dichiarato di essere pronto a chiamare Vladimir Putin “se ci sarà una ragione per questo e se verrà raggiunto un accordo tra i partner europei e transatlantici”. In caso contrario dichiara di essere pronto a concedere all’Ucraina i missili da crociera Taurus e di dare il permesso per colpire in profondità la Russia. Dunque per Merz o la Russia accetta il piano americano (che verosimilmente esporrà i paesi europei ad un conflitto diretto con la Russia) oppure fornirà i missili da crociera tedeschi per colpire in profondità la Russia, sapendo che Mosca ha già dichiarato che in questa evenienza considererà i paesi fornitori dei missili parte diretta del conflitto.
Non stupisce che il signor Merz è l’ex capo di BlackRock Germany e dunque certamente uomo di provata fede atlantica. Solo così può essere spiegata la volontà di essere disposto a rischiare di sacrificare la Germania e l’Europa per soddisfare gli interessi di Washington.
In definitiva il piano di “pace” cucinato a Washington sembra che abbia come cuoco una Victoria Nuland con il testosterone a mille data la sua pericolosità. Non ci rimane che sperare in Putin e in Lavrov per vederlo respinto perché i nostri governanti sono sostanzialmente disposti al (nostro) sacrificio pur di assecondare il nuovo sovrano di Washington.
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