“Oltre il moderno”: la denuncia di De Benoist al totalitarismo liberal-capitalista
di OPINIONE PUBBLICA (Luca Bagatin)
Il filosofo francese ritiene che una società cosciente della propria identità – che è anche affermazione della differenza – possa essere forte solo quando antepone il bene comune all’individualismo, anteponendo convivialità e generosità rispetto alla concorrenza ed al sistema del danaro
Aspetti denunciati dal filosofo francese Alain De Benoist in numerosi interventi e saggi, in particolare nel suo “Oltre il moderno – Sguardi sul terzo millennio”, edito alcuni anni fa in Italia da Arianna Editrice.
Il filosofo da sempre ravvisa la necessità di approdare ad una società democratica autentica, ove le differenze siano valorizzate e così il patrimonio ecologico; ove la politica e la sovranità tornino a primeggiare sulla dittatura dell’economia e del danaro. Una società, in sostanza, populista nel senso originario e positivo del termine e non a caso uno dei suoi ultimi saggi è dedicato proprio al troppo ingiustamente bistrattato fenomeno populista.
Nel saggio “Oltre il moderno” egli analizza tutti questi aspetti, partendo dalla critica all’ideologia illuminista portata avanti dalla borghese e sanguinaria Rivoluzione Francese del 1789 e contrapponendole gli ideali democratici, federalisti comunitari di Jean-Jacques Rousseau (e di Proudhon), i quali erano in aperta opposizione al liberalismo inglese, ammirato invece dagli illuministi. Alla visione rappresentativa dei liberali, Rousseau, contrapponeva l’ideale democratico diretto, ovvero favorendo il concetto di partecipazione attiva del cittadino alla vita pubblica e politica della propria comunità, del proprio Stato. Anteponendo così una visione patriottica e civica – ovvero non sciovinista – rispetto ad una visione cosmopolita e finanche colonialista tipica del liberalismo anglosassone.
È da ciò che De Benoist imposta la sua critica al liberalismo, dottrina essenzialmente economica che tende ad infrangere tutti i legami sociali che vanno al di là dell’individuo, la quale ha favorito, nel corso dei secoli, l’avvento della società borghese industriale, post industriale e l’avvento – infine – del capitalismo assoluto, ovvero del mondialismo e dell’attuale globalizzazione, che ha distrutto ogni senso di appartenenza, comunità, sicurezza sociale, legame amicale e sentimentale, offrendo all’essere umano una sorta di supermercato ove tutto ha un prezzo, ove tutto si vende e si acquista, ove ogni cosa e finanche persona è ridotta a merce. Ove, in sostanza, la famiglia è ormai una sorta di piccola impresa, le relazioni sociali una serie di stretegie concorrenziali interessate e la politica un mercato nel quale gli elettori “vendono” il proprio voto al “miglior offerente”.
Tutto, nella società liberale borghese, è demandato al mercato ed ai concetti di “utilitarismo” e “individualismo” e tutto gira in funzione di questo: dalla libera circolazione dei capitali a quella delle persone; dalla delocalizzazione delle imprese sino alla distruzione dell’ambiente, alla distruzione di milioni di posti di lavoro ed alla scomparsa dello stato sociale e di quei legami sociali che erano il fondamento di ogni comunità e del suo “bene comune”.
L’ideologia giacobina della Rivoluzione Francese, in sostanza, ha sostituito il potere della vecchia aristocrazia con un nuovo potere, quello della borghesia economica e – non a caso – ha escluso del tutto la partecipazione del Quarto Stato, che ha ben pensato di continuare a sfruttare, almeno sino all’avvento di rivoluzioni proletarie quali la Comune di Parigi del 1870 e la Rivoluzione d’Ottobre del 1917, pur episodi assai circoscritti e che hanno influenzato la Storia umana solo in parte.
Con il dominio dell’ideologia liberale e individualista, ogni differenza e identità si è uniformata al modello unico occidentale, nordamericano e bianco e ciò ha fatto riaffiorare nuovi sciovinismi e xenofobie, i quali hanno origine – come afferma De Benoist – non dagli immigrati, bensì dalla totale perdita di identità degli stessi autoctoni. Si crede – scrive De Benoist – di fortificare il sentimento nazionale fondandolo sul rifiuto dell’Altro. Dopodiché, una volta presa l’abitudine, si finisce con il trovare normale il rifiuto dei propri compatrioti.
E’ perciò che il filosofo francese ritiene che una società cosciente della propria identità – che è anche affermazione della differenza – possa essere forte solo quando antepone il bene comune all’individualismo, anteponendo convivialità e generosità rispetto alla concorrenza ed al sistema del danaro.
È proprio in nome dell’affermazione delle differenze che De Benoist critica il nazionalismo sciovinista (che in Francia nell’800 ha avuto origini repubblicane e liberali) e promuove la valorizzazione e rivitalizzazione delle autonomie culturali e linguistiche, oggi particolarmente oppresse in Francia in nome dell’unità nazionale e dell’ideologia giacobina del 1789 (qui fa riferimento in particolare alla cultura bretone e corsa, ancora oggi viste con sufficienza e spesso disprezzo in Francia).
Unitamente a tali aspetti De Benoist analizza il fenomeno ecologista – trascurato sia nel mondo capitalista che comunista – ravvisando nei movimenti Verdi europei la ricerca di recupero della valorizzazione delle differenze, delle identità, delle culture, assieme al recupero della natura intesa come bene pubblico, dell’ecologia profonda in antitesi rispetto a certo riformismo “ecologico”, che si limita a contenere i danni all’ecosistema solo in quanto questi potrebbero rallentare il processo economico e dunque l’interesse del ricco borghese, per dirla più prosaicamente.
Egli mette peraltro in parallelo la sensibilità ecologista con quella religiosa, ravvisando – esattamente come scrisse lo storico statunitense Lynn White Jr. – nelle religioni monoteiste una visione antropocentrica e quindi scarsamente o per nulla sensibile nei confronti dell’ambiente – in quanto il Dio giudiaico-cristiano, come indicato nelle Scritture, ha stabilito che l’Uomo può disporre dell’ambiente e degli animali a suo piacimento – rispetto invece ai culti orientali, gnostici e pagani, fondati sull’armonia del Cosmo e dell’unione fra Essere Umano e Natura, che è anch’essa vista come manifestazione del Divino e quindi come tale deve essere salvaguardata, difesa e amata.
Per concludere, Alain De Benoist, denuncia la mondializzazione capitalista ed il sistema dei media, ad esso peraltro correlata. La prima ha reso gli Stati ed i governi stessi – in particolare quelli del Terzo Mondo (grazie alle politiche di deregulation della Banca Mondiale e del Fondo Monetario Internazionale) schiavi del debito pubblico (impagabile, come dimostrato dallo stesso De Benoist in altri saggi) e del sistema del mercato globale, assoggettati alla volontà stessa delle multinazionali al fine di attrarre investitori. E dunque li ha privati di ogni reale sovranità.
Il sistema dei media, invece, come peraltro già profetizzato e denunciato dal nostro Pier Paolo Pasolini negli Anni ’70, omologano i telespettatori, ovvero li rendono schiavi del sistema del consumo, ipnotizzandoli e rendendoli acritici, spoliticizzati, permeabili a qualsiasi immagine o manipolazione imposta loro dal mercato, sin dalla più tenera età. E ciò sembra peraltro fare lo stesso internet che, lungi dall’essere diventato luogo di libertà, comunicazione e approfondimento, sembra utilizzare e veicolare gli stessi messaggi sensazionalistici, gli stessi luoghi comuni, le stesse modalità del mezzo televisivo (si pensi all’assurdo fenomeno mediatico, mediocre e commerciale degli e delle “influencer”), creando e ricreando una realtà non così dissimile da quella descritta da George Orwell nel suo “1984”.
Quello denunciato da De Benoist – filosofo in grado di coniugare valori di destra con idee di sinistra – è, in sostanza, una sorta di totalitarismo moderno liberal-capitalista che domina menti, corpi e ambiente, in maniera quasi silenziosa, ma costante.
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