Chayei Sarah: la “festa” che i coloni israeliani celebrano assaltando i palestinesi di Hebron
di L’INDIPENDENTE (Moira Amargi)
Musica e canti, balli, alcool e preghiere. Una festa religiosa condita di attacchi e incursioni contro la comunità palestinese che già vive segregata dal 1997 nella stessa città, al-Khalil per il mondo arabo, Hebron per quello ebraico. Sono decine di migliaia i coloni israeliani e i sionisti provenienti dall’estero che venerdì 22 e sabato 23 novembre si sono radunati nella città contesa per festeggiare il Shabbat Chayei Sarah, “la giornata di Sara”. Una festa che ricorda la moglie di Abramo sepolta nella famosa Cava dei patriarchi, che da anni si trasforma in una sorta di pogrom contro i palestinesi che abitano quei quartieri e non solo. Anche quest’anno non sono mancati attacchi a case, macchine e negozi palestinesi, tentativi di incendio e marce massive, anche se in misura leggermente inferiore al solito.
I devoti hanno iniziato ad arrivare in città già a partire da giovedì 21 novembre: pullman provenienti dalle colonie di tutta la Cisgiordania e da Israele hanno portato migliaia di giovani, famiglie, coloni e militari a campeggiare in tende intorno alla Moschea Ibrahimi e Al-Shuhada Street. Proprio qui è iniziata la festa, tra il sacro monumento storico costruito sopra la caverna che contiene i sepolcri di Abramo, sua moglie Sara, e i figli Isacco e Giacobbe, e la strada che ormai da 27 anni è quasi inaccessibile ai palestinesi, chiusa dai militari dopo il cosiddetto Protocollo di Hebron nel 1997 e l’inizio dell’apartheid geografico di al-Khalil. Hebron è infatti una città divisa, una Palestina in miniatura: tornelli metallici, muri e ben 28 check-points separano la zona H1, controllata dagli israeliani, dalla H2, in mano all’Autorità Palestinese. Almeno 20 mila palestinesi vivono nella zona controllata dallo Stato ebraico, che oltre ad aver diviso famiglie e comunità costringe migliaia di persone a dover attraversare quotidianamente lunghi controlli di sicurezza e a subire maltrattamenti, abusi e chiusure arbitrarie di interi quartieri. Secondo la mappa di OCHA (Ufficio delle Nazioni Unite per gli affari umanitari) del settembre 2023, in tutto i blocchi interni alla città sono 80, ma dal 7 ottobre sono aumentati fino a diventare 113 nella città vecchia e 180 in tutta Hebron. La festività dello Shabbat Chayei Sarah è una di quelle giornate che peggiorano la condizione di vita già dura per i palestinesi che vivono ad al-Khalil: l’intera area è stata blindata ai palestinesi e i check-points completamente chiusi, in modo da impedire il passaggio da una parte all’altra della città.
Il venerdì sera, gruppi di devoti hanno effettuato marce notturne nel quartiere di Jaber e nelle aree abitate dai palestinesi vicino alla colonia di Kiryat Arba, cantando slogan e insulti contro arabi e palestinesi. Presente anche il ministro della Sicurezza Nazionale israeliano, Itamar Ben-Gvir, leader del partito di estrema destra Otzma Yehudit, che nel pomeriggio era a festeggiare lo Shabbat Chayei Sarah circondato da fedeli e la sera guidava un gruppo di coloni intonando slogan anti-arabi. Ben Gvir è uno dei circa ottomila abitanti dell’enorme colonia illegale di Kiryat ed è noto per le sue posizioni estremiste e violente. Da questa colonia proveniva anche Baruch Kopel Goldstein, il terrorista israelo-americano che nel 1994 aprì il fuoco contro centinaia di mussulmani che pregavano nella Moschea Ibrahim, uccidendo 29 persone e ferendone 125. Ben Gvir era anche famoso per tenere l’immagine del terrorista nel suo salotto.
Sabato, alcuni gruppi di giovani si sono radunati in uno degli outpost principali interni alla città, l’insediamento di di Beit Romano. Riuniti al di là del cancello che chiude al-Shuhada, una delle strade che erano il cuore dei negozi di al-Khalil ma che sono ad oggi chiuse all’accesso palestinese, hanno iniziato a lanciare sassi e gridare insulti e slogan contro gli arabi. Spesso, negli anni passati, i militari permettevano e facilitavano una marcia che invadeva la città vecchia, obbligando i mercatari arabi a chiudere le bancarelle e a barricarsi in casa per paura delle violenze dei coloni. Quest’anno la marcia non si è tenuta, probabilmente a causa della situazione politica attuale.
«Per fortuna quest’anno ci sono state poche violenze» racconta a L’Indipendente B., membro di un’associazione per i diritti umani locale. «Ma la vita ad al-Khalil sta diventando sempre più difficile. Viviamo in apartheid, e dal 7 ottobre le cose sono ancora peggiorate. Aprono e chiudono la città come vogliono: dopo l’inizio del conflitto per dieci giorni consecutivi siamo stati costretti in casa con un’ora al giorno in cui potevamo uscire». Un vero e proprio apartheid interno all’apartheid a cui sono già costretti i palestinesi in Cisgiordania. «Da casa mia, nel quartiere di Jaber [zona H2, ndr], io impiegherei cinque minuti ad andare a piedi alla moschea. Ora non ci vado più, dovrei attraversare 8 posti di blocco, tra chiusure stradali e check-points. Il loro obbiettivo è stancarci, per farci andare via da questi quartieri». B. parla di «voiceless displacement», di rimozione silenziosa dei palestinesi a causa dei continui abusi, delle violenze, e delle difficoltà economiche che i palestinesi sono costretti a subire. «Dal 2000, dall’inizio dei muri e dei check-points, più di 580 negozi sono stati chiusi per ordinanze militari, e oltre 1800 negozi hanno subito enormi ripercussioni economiche o hanno chiuso per la limitata mobilità delle persone in città». Oltre alle sofferenze legate alle molestie e alle infinite attese dei check-points, i raids, gli arresti, le detenzioni arbitrarie. «Anche io ho fatto la prigione, come quasi tutti in Palestina». È il modo di agire dell’ideologia sionista, continua B. «Fanno le cose con gradualità, cercano di cambiare la demografia dei quartieri. Fanno in modo che le persone se ne vadano in maniera silenziosa perché le costringono a una non-vita. E poi si prendono tutto».
Sono circa 700 i coloni che abitano nella città vecchia, protetti da 2300 soldati. «Per ogni colono ci sono 3 soldati: questo dà l’idea della situazione», dice B., parlando di una città completamente militarizzata. E ormai i coloni hanno indossato una divisa e sono diventati anche loro militari, con un conseguente aumento delle violenze verso i palestinesi. «Al-Khalil è l’unica città in Cisgiordania dove gli insediamenti sono anche interni alla città». E cercano di ingrandirsi i continuazione.
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