Che fine ha fatto il PD?
di TERMOMETRO GEOPOLITICO (Paolo Desogus)
Che fine ha fatto il PD? Sapete qualcosa della sua azione politica? Siete al corrente di qualche iniziativa che aggiorni l’agenda politica del paese? Io, che qualche giornale lo leggo, non so nulla. L’unica cosa che vedo è che il nome di questa sigla compare ciclicamente sui siti dei quotidiani per indicare l’andamento dei sondaggi. Da Repubblica è dato costantemente in rialzo, anche se in realtà la sua quota di consenso è grossomodo sempre la stessa. Se aumenta è perché crescono gli indecisi e all’elezioni gli astenuti.
Il PD ha dalla sua il sostegno di un pigro zoccolo duro su cui alle elezioni può fare affidamento nonostante le grandi oscillazioni del programma. Si possono riscontare momenti di forte perdita di consenso, come durante la sciagurata segreteria Renzi. Ma grosso modo, la parte stabile è disposta a votarlo sempre e comunque.
Eppure, a cercar di capire che cosa sia e a cosa aspiri (almeno ufficialmente) questa immarcescibile entità politica non si viene a capo di granché. La discussione interna riguarda sempre i nomi, mai i programmi . La stessa adesione e persino la carriera nelle sue file prescinde dalla fedeltà ai principi programmatici. Fermatevi un attimo e provate a fare un elenco dei cinque capisaldi del PD, dei cinque punti irrinunciabili che definiscono l’identità di questa formazione politica: l’europeismo (peraltro solo esteriore, privo di contenuti), ecologismo (anche qui vago e privo di analisi) e poi? Difesa della scuola pubblica? Sostegno della sistema sanitario nazionale? Adesione alle lotte dei lavoratori?
Sì, qualche volta questi temi affiorano nella bocca di qualche dirigente, ma nessun elettore sano di mente scommetterebbe un centesimo sul pieno sostegno del PD alle istanze della scuola, della sanità e del lavoro. E questo per la semplice ragione che questo partito è stato complice delle “riforme” che ne hanno compromesso la solidità e il progresso. Se oggi la scuola pubblica vive uno dei suoi momenti peggiori e se la sanità pubblica è in grave crisi, è anche dovuto alle sciagurate politiche economiche e sociali del PD.
Prendete una città come Bologna, un tempo città rossa ora la più neoliberista dopo Milano. Questa città è da tempo il teatro delle sperimentazioni delle privatizzazioni della sanità e soprattutto della scuola con il beneplacito del comune e di un sindaco in armocromia con le istanze della borghesia benestante e soddisfatta delle città del nord. Proprio Bologna, cioè il principale insediamento urbano del PD, il partito di Elly Schlein sta dismettendo una parte consistente del suo apparato abusivamente ereditato dal passato. Chiudono le sezioni, la militanza scarseggia e il rapporto con la cittadinanza è sempre più indiretto. Mai come ora abitanti e istituzioni sono stati così distanti, così reciprocamente alieni. Chi vive in questa città ci sta infatti sempre più da straniero. Lo stesso centro storico, divenuto ostaggio di una miriade di pseudo-ristoranti, mangiatoie di ogni genere e b&b, ha assunto le fattezze del non-luogo.
Non metto in dubbio che girino parecchi soldi. Ma nessuno può oggi credere che Bologna sia ancora capace di esprimere quella diversità che coniugava benessere e democrazia, comunità e dimensione sociale.
Questo sul piano locale, ma sul piano nazionale la situazione è ancora più disastrosa.
Il PD non ha uno straccio di idea. Per molto tempo si è affermato come il partito dell’establishment, come la camera di compensazione tra il neoliberismo europeista, l’atlantismo americano e le esigenze del grande capitale italiano. Con il nuovo corso meloniano e l’ingresso della Presidente del Consiglio in molti salotti buoni internazionali, il PD non può più svolgere quella funzione. Non può più farsi da mediatore tra i vari vincoli esterni e l’elettorato chiedendo il voto perché la destra era impresentabile. Ora la destra ha preso il sopravvento ed lei a rappresentare i vincoli esterni, in particolare quello atlantista. Lo fa anche in modo più spregiudicato, riuscendo a capitalizzare consenso, come con il caso Sala.
Le cose stanno comunque così da tempo, almeno dall’inizio della guerra in Ucraina che ha permesso a Giorgia Meloni di presentarsi come un politico affidabile, capace di dialogare con Biden, con Draghi e con Von der Leyen. Saggezza avrebbe suggerito di schierarsi contro la guerra. Gli argomenti, anche molto ragionevoli e coerenti con un percorso di sinistra, erano tanti. Ma soprattutto era chiaro che persa la funzione di partito dell’establishment l’unico modo di rinnovarsi sarebbe dovuto essere quello di riorientarsi in un nuovo orizzonte politico, magari in dialogo con la sinistra europea.
E invece no. L’unica cosa che il PD è riuscito a fare è stata quella di tirare fuori il salario minimo, misura alquanto problematica, su cui persino Marx (che qualcosa di economia capiva) si era nettamente opposto, dato che “salario minimo” rischia sempre di trasformarsi in “salario massimo”, cioè in una fregatura per i lavoratori. Sul piano delle lotte sociali l’unica strada è infatti quella della riscoperta della conflittualità e di un rinnovamento del dialogo con i sindacati. Ma per realizzarla occorre un duro lavoro politico, che genera scontento, crea divisioni e porta anche a perdere parte di quell’elettorato apatico e ideologicamente conformista che costituisce lo zoccolo duro del PD.
Che fine ha fatto allora il PD? Boh. Non si sa o meglio è sempre là, immobile. Il mondo cambia, l’economia va a rotoli, ma le sue parole d’ordine sono sempre le stesse, sono il solito flatus vocis, espresso da un personale politico alla perpetua ricerca dei mezzi per la propria autoproduzione. È il partito del nulla, espressione di un’Italia culturalmente residuale, anagraficamente anziana, sorda di fronte ai bisogni sociali.
#TGP #Italia #Politica
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