Altro che crisi: accelerazioni neoliberali
di FERDINANDO PASTORE (Pagina Facebook)
Ciclicamente mi ritrovo a ragionare sullo stesso fenomeno, perché evocato da più parti con assoluta convinzione. Mi riferisco a una paventata crisi del neoliberalismo, descritta in forma laconica e sentenziosa, come se si avesse fretta di liquidare un intero periodo storico ed essere testimoni di un’era in cui si susseguono epocali trasformazioni rivoluzionarie.
Il proposito trumpiano di una ritirata strategica statunitense dalla globalizzazione finanziaria e dei capitali equivarrebbe, a sentir voci tanto professorali, a una sostanziale rimozione collettiva dell’immaginario economico e culturale del neoliberalismo. Come se, d’incanto, quei canoni interpretativi della realtà sociale, nel passato prossimo tanto pervasivi e persuasivi, si scoprissero inintelligibili per esseri umani, d’ora in poi, pronti a sconfessare l’impeto individualista dei nostri tempi e a dedicarsi militarmente per un orizzonte di collettivismo e di inesauste lotte sociali.
Non so se questi auspici scaturiscano da sensibilità immerse in un inguaribile ottimismo o intrappolate nella propria bolla di frequentazioni politicizzate che, a lungo andare, impediscono un sincero confronto con la realtà. Più facile però che siano conseguenza di una semplificazione concettuale in ordine al tema del neoliberalismo, ancora letto sotto la lente del passato remoto e quindi come una riedizione, neanche troppo aggiornata, del vecchio laissez faire, tanto in voga nell’approssimarsi decadentista de la “fin de siècle”.
Il protagonismo decisionista, protezionista e autoritario del nuovo incedere “americano” rinnegherebbe il libero arbitrio dei mercati, imprigionati dalla protervia del tirannico oligarca. Peccato però che il neoliberalismo non si accontenta di disegnare un sistema economico ma ha l’ardire di architettare un progetto di ingegneria sociale in grado di introiettare nella sfera istintuale dell’individuo l’impeto imprenditoriale. Motivo per cui il neoliberalismo si adatta a qualsiasi struttura istituzionale con qualsiasi forma di stato.
Perché questo proposito pubblico di conformazione antropologica alla legge di mercato sia doverosamente perseguito è essenziale, per la dottrina neoliberale, disarcionare la decisione governativa dall’intermediazione politica. Sostanzialmente far sopravvivere il liberalismo ma senza gli intoppi della forma democratica. Questo è stato un percorso lungo, generato, quando le condizioni strutturali degli anni ’70 lo permisero, da una rivolta della classe capitalista contro l’equilibrio socialdemocratico del secondo dopoguerra e proseguito grazie alla composizione gerarchica del livello sovranazionale, nel quale la classe burocratica preposta all’applicazione rigorosa dei canovacci costituzionali dell’aziendalizzazione umana, ha potuto beatamente gozzovigliare con il ceto imprenditoriale.
Il nuovo corso a stelle e strisce rappresenta una riscrittura del sogno americano impiantato sull’accelerazionismo tecno-liberale del capitalismo digitale. Una sorta di messianismo tecnologico che pretende, grazie anche alla mitizzazione letteraria dell’eroico anarco-capitalista propria della cultura progressista, una rivoluzione della grammatica sociale e delle consuetudini politiche. I capitalisti possono, anzi devono decidere in solitudine i piani d’intervento perché il mondo, nella sua interezza, accetti la religione della concorrenza economica e del progresso illimitato. Questo l’unico orizzonte di riscatto concesso all’essere umano e che l’essere umano continua, con convinzione, a concedersi.
Non esiste una crisi del neoliberalismo. Esiste un suo salto di qualità in termini ancor più totalitari.
FONTE: https://www.facebook.com/share/p/12BCjtvjbeb/
Commenti recenti