Cosa è il linguaggio?
di GABRIELE GERMANI (Canale Telegram)

Cosa è il linguaggio?
Certo, Homo Sapiens non è l’unico animale con una qualche forma di comunicazione.
Molte scimmie, mammiferi più piccoli, uccelli, insetti sociali adottano forme di comunicazione. Alcuni primati hanno dei suoni che corrispondono a determinati messaggi; non solo, alcuni hanno dei suoni che specificano il tipo di pericolo (non sappiamo però quanto nel dettaglio).
Capiamo bene che se vivessimo nella foresta sarebbe ben diverso dover scappare da un predatore che può arrampicarsi sugli alberi, da uno che non può farlo. Ecco, alcune specie di scimmia sembrano riuscire a differenziare il segnale di pericolo.
Tuttavia il linguaggio umano è infinitamente più complesso. Oltre il 50% delle parole umane (più o meno) è astratto e soprattutto ha un contenuto esclusivamente grammaticale.
Mi spiego meglio, non esiste nulla nella realtà che corrisponda agli articoli o alle preposizioni. Gli stessi tempi verbali sono delle sfumature di come noi percepiamo la realtà, più che delle realtà solide ancorate a qualcosa di fluido come il tempo.
Non ripeterò la disputa sul tempo degli Hopi (i verbi non sono temporali, ma manifesti o non manifesti: il futuro o un sogno non sono manifesti, il presente è manifesto) o delle formule verbali nel tagalog (dove con un suffisso si introduce un modo verbale che suppone la possibilità di conoscere lo svolgersi di un’azione; non il nostro congiuntivo/condizionale che prevede la possibilità dell’azione; ma la possibilità di conoscerla in quanto possibilità, tutte cose che nelle lingue indoeuropee dobbiamo introdurre con altri verbi “penso che” “suppongo”).
La lingua umana è insomma qualcosa di prevalentemente astratto?
Un po’ si e un po’ no.
Quando gli occidentali si avviarono a colonizzare il mondo, si trovarono a commerciare, scambiare o dare ordini a popolazioni che di linguistica indoeuropea non avevano la più pallida idea.
Nacquero quindi delle lingue miscuglio, i pidgin. Si tratta di gerghi per lo più confinati in ambienti lavorativi o comunitari e che nessuno impara come lingua madre in casa; quando avviene questo passaggio il pidgin tende a creolizzarsi, diventa una lingua creola.
Anche questa divisione è a suo modo artificiosa, perché stando così le cose non dovremmo avere una produzione letteraria dei pidgin. Mentre abbiamo, ad esempio, qualche scritto nel pidgin basco-islandese che si parlava nelle navi baleniere del Nord Atlantico (dove appunto i marinai erano per lo più di questi luoghi). Sono però tutti termini pratici, mancano completamente concetti astratti o filosofici; ma questa mancanza è dovuta all’ambiente sociale (di lavoratori manuali) o a una caratteristica congenita dei pidgin stessi?
Aggiungo: un bambino che accompagna sin dalla più tenera infanzia i genitori a lavoro, dove questi parlano il pidgin, e che quindi lo apprende subito, è madrelingua?
Infine, abbiamo notato che i pidgin tendono ad avere una struttura spesso simile anche se distanti. Quelli nati nelle colonie ricalcano la struttura Soggetto – Verbo – Complemento Oggetto (S-V-O). All’epoca qualcuno vi trovò la conferma per la teoria di Chomsky sul modulo linguistico innato: noi nasciamo con un cervello predisposto ad imparare una lingua e quindi tutte le lingue tendono a replicare alcuni schemi fissi, salvo successivi condizionamenti culturali.
Tuttavia buona parte dei pidgin che abbiamo studiato sono nati dall’interazione tra lingue indoeuropee (coloniali) e nativi, con i primi concentrati sul possesso e lo scambio delle merci, è possibile che la struttura linguistica (S-V-O) sia stata imposta come il cristianesimo e la formazione politica statale.
Fonte: https://t.me/gabgerm/2329





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