La “coalizione dei volenterosi” di Londra e Parigi affonda Ue e NATO
di ANALISI DIFESA (Gianandrea Gaiani)

Il summit di Londra che ha riunito molte nazioni europee più NATO, UE e il presidente ucraino per discutere come gestire la situazione dopo la rissa nello Studio Ovale di venerdì scorso tra Volodymyr Zelensky e Donald Trump ha varato iniziative che appaiono confuse e già col fiato corto.
A parte l’ormai consueto impegno degli europei a spendere di più per la Difesa e ad essere pronti ad “assumersi maggiori responsabilità”, come ha detto il premier britannico Keir Starmer, i punti salienti emersi al vertice di Londra sembrano celebrare più le divisioni tra gli alleati che unità d’intenti.
Francia e Regno Unito hanno avanzato la proposta di una tregua della durata di un mese mentre Starmer ha esposto i punti del piano britannico “volto a porre fine i combattimenti” in Ucraina, precisando che questo piano sarà discusso con gli USA e verrà attuato “insieme” a Washington. I leader presenti al summit hanno concordato su quattro punti.
I quattro punti
Il primo punto prevede di mantenere l’aiuto militare all’Ucraina durante la guerra e aumentare la pressione economica sulla Russia: quindi verranno inasprite le sanzioni a Mosca mentre gli Stati Uniti parlano apertamente di ripristinare relazioni commerciali con Putin. Inoltre è noto che l’Europa non ha più aiuti militari da offrire a Kiev mentre gli Stati Uniti potrebbero bloccare ogni fornitura dopo la lite con Zelensky alla Casa Bianca.
Il secondo punto sostiene che un accordo di pace dovrà garantire la sovranità e la sicurezza dell’Ucraina che dovrà partecipare ai negoziati. Un punto che meriterebbe chiarimenti poiché la sovranità dell’Ucraina non è mai stata messa in discussione ma nei negoziati è certo che Mosca imponga cessioni territoriali a Kiev. Inoltre, come ha più volte precisato Trump, l’Ucraina non è nelle condizioni di dettare condizioni.
Lo confermano i report sull’avanzata russa, lenta ma costante, in diverse regioni ucraine (Donetsk, Kharkiv, Zapoprizhia e recentemente Dnepropetrovsk. L’Institute for the Study of War (ISW) think-tank americano filo-Kiev e neocon, evidenzia che in febbraio le forze russe hanno compiuto meno progressi in Ucraina rispetto ai mesi precedenti. Hanno occupato 389 km2, dopo averne conquistati 431 in gennaio, 476 in dicembre 2024 e ben 725 in novembre.
Valutazioni che hanno un limitato valore strategico poiché l’esercito russo sta combattendo nelle ultime settimane per espugnare completamente Chasov Yar e circondare del tutto il caposaldo ucraino di Pokrovsk oltre che per penetrare nella regione ucraina di Sumy con l’obiettivo di tagliare le vie di rifornimento alle truppe di Kiev che ancora mantengono il controllo di una porzione di territorio russo nella regione di Kursk.
Ciò nonostante Starmer ha sostenuto che “naturalmente” un accordo dovrà includere Mosca ma la Russia “non può dettare i termini dell’accordo di pace”. Eppure è evidente che le condizioni le detterà chi sta vincendo la guerra, non chi la sta perdendo, come ancora una volta Trump ha detto brutalmente a Zelensky.
Il terzo punto precisa che i leader europei cercheranno di dissuadere ogni futura invasione dell’Ucraina da parte della Russia e l’ultimo istituisce una “coalizione dei volenterosi” per difendere Kiev e garantire la pace nel paese. Questo significa che saranno gli europei a offrire garanzie militari (quindi piuttosto deboli) e a promettere di inviare i propri eserciti in soccorso agli ucraini in caso di una nuova invasione. Un aspetto su cui è lecito avere dubbi poiché ben poche nazioni sembrano disposte a correre simili rischi.
Quale tregua?
Il ministro degli Esteri francese, Jean-Noël Barrot, ha dichiarato che una tregua su aria, mare e infrastrutture energetiche tra Ucraina e Russia potrebbe servire a verificare la “buona fede” del presidente russo Vladimir Putin in vista di negoziati per un accordo di pace “solido e duraturo”. Barrot ha sottolineato che una tregua consentirebbe di “verificare la buona fede di Vladimir Putin”. “Solo dopo – ha aggiunto – potranno iniziare i veri negoziati di pace, perché vogliamo la pace, ma una pace solida e duratura”.
Il ministro delle Forze armate del Regno Unito, Luke Pollard, ha però affermato che “non è stato raggiunto alcun accordo” tra Francia e Regno Unito in merito alla proposta di tregua di un mese in Ucraina. Pollard ha detto a Bbc Breakfast che “al momento non è un piano che riconosciamo”.
Che Londra e Parigi non siano d’accordo sulla tregua in Ucraina poco importa perché tale piano, semmai venisse varato, andrebbe proposto a Putin non a Trump. La Russia infatti ha sempre precisato che non negozierà tregue che permetterebbero agli ucraini di riorganizzarsi e potenziare le loro difese, ma solo un accordo definitivo che ponga fine al conflitto.
Del resto il premier polacco Donald Tusk ha ammesso che non c’è “unità” neppure sul sequestro e utilizzo dei beni russi in Occidente, poiché alcuni Paesi “temono le conseguenze per l’euro o per il sistema bancario”: difficile credere che qualcuno sia disposto inviare truppe europee in Ucraina.
Non a caso Giorgia Meloni ha ridimensionato il piano presentato da Gran Bretagna e Francia limitando ad affermare che “Ci sono degli spunti, varie proposte, penso che chiunque metta sul tavolo una proposta faccia in questo momento una cosa utile. Poi ci possono essere perplessità su alcune proposte” come quella “dell’utilizzo di truppe europee su cui ho espresso perplessità” ribadendo che “la presenza di truppe italiane in Ucraina non è mai stata all’ordine del giorno.”
Meloni ha poi aggiunto che è “un errore togliere dal tavolo il dibattito sulla cornice atlantica” con un chiaro riferimento alla coalizione enunciata dal premier britannico che sembra aver dimenticato che una delle condizioni poste da Mosca per trattare è che non vi siano truppe di paesi della NATO (e quindi neppure della UE o di coalizioni diverse composte dalle stesse nazioni) in territorio ucraino.
Coalition of the willings
Starmer ha assicurato che già “un certo numero di paesi” ha offerto la disponibilità per il piano “che stiamo elaborando”, ma non ha fornito dettagli pur affermando che questa coalizione è aperta anche a paesi non europei.
I quattro punti elencati sono quindi molto aleatori se non nell’affidare la difesa dell’Ucraina a una “coalition of the willings”, cioè un’intesa tra nazioni che vorranno impegnarsi in tal senso: termine che suona come una campana a morto per la NATO e per la UE di fatto tagliati fuori come organismi inutili proprio mentre è in gioco la sicurezza dell’Europa.
Comprensibile lo sgomento che si percepisce negli ambienti militari alleati e certo non rincuorano le dichiarazioni del presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, che ha detto di sperare che gli europei lavorino per “trasformare l’Ucraina in un porcospino d’acciaio, indigesto per i potenziali invasori”, termine già utilizzato nei giorni scorsi dall’ex premier britannico Boris Johnson.
Starmer ha chiarito che “il grosso” delle forze lo dovrà mettere in campo l’Europa, ma avrà bisogno del sostegno degli Stati Uniti, aggiungendo di essere “d’accordo con Trump sulla necessità urgente di una pace duratura. Ora dobbiamo realizzarla insieme”.
Il premier britannico ha anche detto di non accettare che gli USA possano essere considerati alleati “inaffidabili”, a conferma che gli europei non hanno, oggi come ieri, la capacità di smarcarsi da Washington che invece continua a usare toni duri verso gli alleati che evidentemente considera inaffidabili.
Giorgia Meloni ha affermato che “sulla proposta di invio di soldati europei avanzata dalla Francia alla Gran Bretagna l’Italia ha espresso le sue perplessità, secondo me è molto complessa nella realizzazione, non sono convinta dell’efficacia, è la ragione per la quale, come si sa, abbiamo detto che non manderemo i soldati italiani in Ucraina”.
Gli USA ignorano l’Europa
Trump nelle ultime ore ha affermato che “dovremmo dedicare meno tempo a preoccuparci di Putin e più tempo a preoccuparci delle bande di migranti che stuprano, dei signori della droga, degli assassini e delle persone provenienti dagli istituti psichiatrici che entrano nel nostro Paese, così non finiremo come l’Europa!”.
A rincarare la dose il direttore dell’Intelligence nazionale, Tulsi Gabbard, ha accusato l’Unione Europea e il Regno Unito di “ipocrisia”, sostenendo che citino la “libertà” a pretesto per ostacolare una risoluzione del conflitto in Ucraina, adottando al contempo politiche illiberali a livello nazionale. Accuse già formulate da James David Vance durante la recente Conferenza sulla sicurezza di Monaco.
“Abbiamo sentito molto chiaramente durante il discorso del vicepresidente Vance a Monaco diversi esempi di come questi partner europei e alleati di lunga data, in molti casi, stiano effettivamente attuando politiche che minano la democrazia. Questo dimostra che in realtà non credono che le voci del popolo debbano essere ascoltate, e stanno attuando politiche illiberali” ha detto Gabbard puntando il dito contro il Regno Unito, la Germania e la Romania, dove le ultime elezioni sono state annullate per via giudiziaria.
L’aspetto più indicativo della volontà statunitense di riallacciare i rapporti con la Russia, piaccia o meno a Ucraina ed Europa, è rappresentato dalla decisione che secondo il New York Times avrebbe assunto il segretario alla Difesa Pete Hegseth ordinando al Cyber Command di fermare gli attacchi cyber contro la Russia. Secondo fonti citate dal giornale la decisione farebbe parte di una rivalutazione delle operazioni contro la Russia con lo scopo di portare il presidente Vladimir Putin al tavolo delle trattative per porre termine al conflitto in Ucraina.
Zelensky: ultimi bagliori di un crepuscolo?
Motivo in più per dubitare che la carriera politica di Zelensky possa prolungarsi ancora per molto, nonostante le tante dichiarazioni di sostegno popolo scontro con Trump e Vance alla Casa Bianca pubblicate sui social da tutti i leader europei.
“Leoni da tastiera” privi di capacità militari con cui risollevare le sorti della guerra per Kiev. Del resto il consigliere di Zelensky, Mikhailo Podolyak, ha enunciato in un’intervista a Fausto Biloslavo per Mediaset quali garanzie di sicurezza Kiev pretenda di ottenere per negoziare la fine del conflitto.
Tra queste vi sono:
- la presenza di forze di pace occidentali in Ucraina
- la disponibilità di un efficace sistema di difesa antiaerea e antimissile ucraino
- la disponibilità di missili puntati puntati sui obiettivi strategici in Russia
- Aumento dei fondi per rafforzare le forze armate ucraine
- potenziamento dell’industria bellica ucraina.
Aspetti già in partenza esclusi da Mosca che chiede il disarmo di Kiev almeno per quanto riguarda le armi offensive. Di fatto quanto affermato da Podolyak sembra confermare quanto affermato da Trump che ha accusato Zelensky di non voler la pace.
Lo stesso Podolyak prevede che quest’anno “la guerra non finirà ma ci sarà una pausa e se ci sarà avremo la fine della legge marziale ed elezioni parlamentari e presidenziali”. Una prospettiva che, confrontato con le aspettative di Washington, potrebbe vedere la guerra continuare o l’uscita di scena del presidente ucraino, indotto a dimettersi o venire rimosso.
Il fatto che Podolyak abbia escluso le dimissioni del presidente indica che l‘ipotesi è oggi sul tavolo specie considerato che gli Stati Uniti hanno la potente arma degli aiuti militari (a quanto pare oggi congelati) per condizionare pesantemente il governo e anche il parlamento di Kiev, dove qualcuno parla di sfiduciare Zelensky dopo la disastrosa visita a Washington dei giorni scorsi.
Visita a cui il presidente ucraino si è presentato evidentemente impreparato e indossando la solita uniforme quando la Casa Bianca aveva chiesto un abito formale (giacca e cravatta) più consono a un contesto di vigilia di negoziati di pace.
Non c’è dubbio che la rissa nello Studio Ovale è stata determinata dal fatto che gli USA non intendono offrire garanzie di sicurezza all’Ucraina né rischiare di venire coinvolti in un conflitto con la Russia,
Certo la dinamica del battibecco ha evidenziato un grave dilettantismo nella gestione dell’incontro come Analisi Difesa ha subito evidenziato. A meno che non si sia trattato di un agguato teso a screditare Zelensky, mettendolo all’angolo e ridicolizzandolo, mostrandolo come un bullo che pretende sempre più armi e denaro dagli Stati Uniti.
Ipotesi sostenuta a Berlino dal leader della CDU, Friedric Merz. “A mio parere, non si è trattato di una reazione spontanea agli interventi di Zelensky, ma ovviamente di un’escalation indotta in questo incontro nello Studio Ovale. Di solito, questi appuntamenti con la stampa durano solo pochi minuti. Venerdì era diverso. Devo dire che sono rimasto un po’ sorpreso, anche dal tono reciproco”, ha affermato Merz.
Se questa ipotesi fosse confermata, la missione è stata compiuta, in modo brutale ma con successo. Non a caso poco dopo la cacciata della delegazione ucraina dalla Casa Bianca il senatore repubblicano Lindsey Graham, da sempre grande sostenitore di Zelensky, ne ha chiesto le dimissioni.
“Solo gli ucraini possono decidere se io debba fare un passo indietro o no, gli americani votino il loro presidente”, ha detto il presidente ucraino coprendosi ulteriormente di ridicolo considerato che ha vietato le elezioni perché “c’è la guerra”.
Trump ha quindi seminato il panico a Kiev e gettato nel caos l’Europa la cui prima reazione, da Londra e Parigi, è ipotizzare mobilitazioni che escludano Ue e NATO, paradossalmente relegate in cantina durante la più grave crisi europea dal 1945.
In questo contesto ad alta instabilità l’unica cosa certa è che a Mosca stanno brindando.
FONTE: https://www.analisidifesa.it/2025/03/la-coalizione-dei-volenterosi-di-londra-affonda-ue-e-nato/
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