Sei giorni di guerra tra Israele e Iran: il rischio di intervento degli Stati Uniti – AGGIORNATO
di ANALISI DIFESA (Gianandrea Gaiani)
(aggiornato alle 23,55)
Dopo sei giorni di guerra tra Israele e Iran l’Aeronautica Israeliana ha resi noto di aver colpito oltre 1.100 assetti iraniani in centinaia di attacchi da venerdì. Lo ha dichiarato il portavoce delle IDF, il generale di brigata Effie Defrin, in una conferenza stampa. “Stiamo operando sistematicamente per neutralizzare la minaccia nucleare”, ha affermato, aggiungendo che gli attacchi stanno “aggravando i danni significativi” causati ai missili balistici e alle difese aeree dell’Iran. L’esercito pubblica filmati che mostrano attacchi contro i lanciamissili (da difesa aerea e balistici) iraniani e altre strutture in tutto l’Iran.
L’offensiva aerea israeliana
Questa mattina l’aeronautica ha lanciato una nuova ondata di raid aerei su obiettivi nella zona di Teheran e ha reso noti di aver abbattuto 7 droni lanciati dall’Iran verso Israele. Le sirene hanno suonato sulle alture del Golan, ma l’IDF afferma che tutti i velivoli senza pilota sono stati abbattuti prima di entrare nello spazio aereo israeliano.
Le IDF hanno intimato agli abitanti di un quartiere di Teheran, il Distretto 18, di lasciare le loro case. “La vostra presenza nell’area vi metterebbe in pericolo” si legge in un messaggio diffuso anche sui social network. Secondo le forze armate di Israele, oltre a condomini e zone residenziali nel Distretto 18 ci sono anche alcune installazioni militari.
Tra gli obiettivi colpiti dai velivoli israeliani questa mattina anche cinque elicotteri AH-1 Cobra iraniani (di costrizione statunitense, come i velivoli da combattimento F-14 risalenti agli anni ’70 quando a Teheran sedeva Reza Pahlevi.) presso la base aerea di Kermanshah, ha dichiarato il portavoce delle IDF, il Generale di Brigata Effie Defrin, in una conferenza stampa.
I bersagli forse più importanti colpiti nelle ultime ore dagli israeliani potrebbero essere gli impianti per la produzione di centrifughe con cui arricchire l’uranio. L’Agenzia internazionale per l’agenzia atomica (AIEA) ha reso noto di avere “informazioni secondo cui due impianti di produzione di centrifughe, l’officina Tesa di Karaj e il Centro di Ricerca di Teheran, sono stati colpiti.
Entrambi i siti erano precedentemente sottoposti a monitoraggio e verifica da parte dell’AIEA nell’ambito del Piano d’azione congiunto globale (JCPOA), l’accordo per il nucleare iraniano siglato nel 2015 e poi abrogato unilateralmente dalla prima presidenza USA di Donald Trump nel 2018 su pressioni israeliane.
Le IDF hanno dichiarato in un comunicato che 50 aerei da combattimento hanno attaccato “un impianto utilizzato per la produzione di centrifughe a Teheran” e un “impianto utilizzato per produrre materie prime e componenti per l’assemblaggio di missili terra-terra.
L’elevato numero di aerei da combattimento israeliani mantenuto in volo sul territorio iraniano da un lato conferma la superiorità aera acquisita dalle forze di Tel Aviv a oltre 1500 chilometri di distanza dalle basi in Israele ma anche il probabile impiego di un buon numero di aerei tanker da rifornimento in volo che solo gli Stati Uniti possono assicurare per periodi così prolungati tenuto conto che la Israeli Air Force dispone di soli 4 KC-130H Hercules e 6 vecchi KC-707 per questi compiti (finte Military Balance 2025).
Nei giorni scorsi il Pentagono aveva segnalato che ben 28 aerei tanker erano stati trasferiti nelle basi nell’area mediorientale.
Nelle prime ore di oggi gli iraniani hanno lanciato verso Israele oltre una dozzina di droni mentre dalla sera del 12 giugno, secondo quanto riferito oggi dal governo israeliano, contro Israele sono stati impiegati circa 400 missili balistici e centinaia i droni iraniani che hanno colpito 40 siti in tutto il Paese e provocando 24 morti e 800 feriti tra i civili (perdite e danni militari non vengono rivelati) mentre oltre 3.800 persone sono state evacuate dalle loro case.
La risposta balistica dell’Iran
Le autorità iraniane hanno annunciato che la difesa aerea ha abbattuto un altro (il quinto) caccia F-35 israeliano nella zona di Javadabad, nei pressi di Varamin, località a circa 80 chilometri a sud est di Teheran. Israele ha sempre smentito la perdita degli aerei ma oggi ha ammesso l’abbattimento di un drone colpito da un missile terra-aria. In precedenza la televisione statale iraniana IRIB aveva annunciato l’abbattimento, mostrando anche le immagini dei rottami di un apparente drone Elbit Hermes 450, un velivolo senza pilota di costruzione israeliana.
A Teheran, la Guida suprema del Paese, Ali Khamenei, ha diffuso un messaggio nel quale annuncia che “la battaglia ha inizio” rispondendo di fatto al presidente degli Stati Uniti Donald Trump che ieri aveva definito il dirigente della Repubblica islamica “un “bersaglio facile” e aveva chiesto la “resa incondizionata” dell’Iran.
Un’intimazione interpretabile come il preludio a un intervento statunitense nel conflitto. Di certo l’Iran cerca di dare l’impressione di poter ancora combattere. Il colonnello Iman Tajik, portavoce dell’operazione “Vera Promessa 3”, ha dichiarato che i “missili Fatah di prima generazione” impiegati nell’attacco hanno “superato lo scudo di difesa missilistica e scosso più volte il rifugio dei codardi sionisti”.
Il portavoce, citato dall’agenzia di stampa IRNA, ha aggiunto che “l’attacco missilistico di questa notte ha dimostrato che abbiamo preso il controllo completo sui cieli dei Territori occupati (cioè di Israele) e che i suoi abitanti sono diventati completamente indifesi contro gli attacchi missilistici iraniani”.
Un messaggio dai toni propagandistici che fa da contraltare al proclama di Tel Aviv che giorni fa aveva reso noto che le forze aeree israeliane avevano il dominio dei cieli iraniani, a cui ha replicato il ministro della Difesa israeliano, Israel Katz. Su X ha scritto che “un tornado sta colpendo Teheran. Simboli del potere vengono bombardati e crollano — dall’ente radiotelevisivo statale e, a breve, altri obiettivi — mentre folle di cittadini fuggono”. Katz ha poi concluso affermando che “è così che cadono le dittature”, ribadendo così esplicito l’obiettivo di Israele di far crollare il regime iraniano.
La strategia dell’Iran nella risposta agli attacchi d’Israele è quella di procedere “passo per passo”, il che significa che la Repubblica Islamica non ha ancora “mostrato tutto il suo potenziale”, ha avvertito Abbas Moghtadaei, parlamentare iraniano vicepresidente della commissione esteri e sicurezza nazionale, intervistato nelle ultime ore dall’agenzia IRNA.
Un’intervista ripresa anche da Iran International, sito d’informazione legato all’opposizione in esilio a Londra. Moghtadaei ha affermato che il lancio dei primi missili ipersonici (già impiegati dall’Iran nella rappresaglia contro Israele dell’aprile 2024) non esaurisce le carte a disposizione dell’Iran. “Abbiamo altre sorprese nel nostro carniere”.
Ipotesi plausibile soprattutto tenendo conto che l’Iran non ha mai escluso io possibile intervento statunitense al fianco di Israele, specie dopo che Donald Trump ha ammesso immediatamente di essere a conoscenza dell’attacco israeliano (poi sostenuto apertamente da Washington) scatenato due giorni prima dei colloqui previsti in Oman tra USA e Iran per i negoziati sul nucleare di Teheran.
Il Corpo dei Guardiani della Rivoluzione Islamica iraniana (IRGC) ha affermato oggi di aver lanciato missili balistici ipersonici a medio raggio Fattah-1 in grado di eludere le difese aeree israeliane. Il loro impiego nella undicesima ondata di attacchi nell’ambito dell’Operazione Vera Promessa 3 potrebbe essere diretto a colpire le batterie dei diversi “scudi” difensivi israeliani e soprattutto i radar e le batterie di missili antimissile Arrow 3.
Difese aeree israeliane agli sgoccioli?
A questo proposito il Wall Street Journal scrive oggi, citando un anonimo funzionario statunitense, che Israele starebbe esaurendo le scorte di intercettori Arrow. sollevando dubbi sulla capacità dello Stato ebraico di contrastare ancora a lungo i missili balistici iraniani se il conflitto non dovesse chiudersi a breve.
Stati Uniti sarebbero a conoscenza della situazione “da mesi” e Washington ha potenziato le difese di Israele con sistemi terrestri (THAAD), navali (AEGIS con missili Sm3 imbarcati sui cacciatorpediniere classe Burke) e aerei. Dall’escalation del conflitto a giugno il Pentagono ha inviato ulteriori mezzi di difesa missilistica nella regione ma la preoccupazione è che anche gli Stati Uniti stiano assottigliando le scorte. Specie considerando l’intenso impegno di missili da difesa area contro gli Houthi dello Yemen e per rifornire negli ultimi tre anni l’Ucraina.
Secondo quanto riporta il quotidiano statunitense, le IDF hanno confermato in una dichiarazione di essere “preparate e pronte ad affrontare qualsiasi scenario”, ma hanno rifiutato di commentare “questioni relative alle munizioni”.
Del resto già l’anno scorso la campagna terrestre nella Striscia di Gaza è stata sostenuta dall’esercito Israeliano solo grazie a 10 miliardi di dollari di aiuti militari aggiuntivi assicurati dall’Amministrazione Biden, costituiti per lo più da munizioni per armi leggere, razzi e artiglieria.
Verso l’intervento statunitense?
Le difficoltà di Israele a difendere il proprio spazio aereo per carenza di missili fornisce una ulteriore spiegazione alle continue pressioni, rese manifeste anche dal premier israeliano Benjamin Netanyahu, affinché gli Stati Uniti si uniscano allo Stato ebraico nella guerra all’Iran.
Un segnale forse preoccupante in vista di un prossimo avvio di operazioni militari statunitensi contro l’Iran, è costituito dalle immagini satellitari diffuse dall’Associated Press che mostrano l’assenza di navi militari americane nella base navale della Quinta Flotta dell’US Navy a Manama, in Bahrein. L’ipotesi è che tutte le unità siano in navigazione in stato di prontezza al combattimento in caso di escalation.
L’intervento diretto delle forze statunitensi comporterebbe l’attacco iraniano alle loro basi in Medio Oriente, come già preannunciato da Teheran. Un aspetto che vedrebbe quindi coinvolti nella rappresaglia iraniana diverse nazioni arabe che ospitano basi statunitensi tra cui Qatar, Emirati Arabi Uniti, Kuwait, Bahrein, Giordania e Iraq.
Il supporto diretto di Washington alle operazioni israeliane sull’Iran si renderebbe necessario anche per colpire in profondità il sito atomico sotterraneo ubicato a 90 metri di profondità di Fordow, 20 chilometri a nord-est della città santa di Qom, capitale spirituale dell’Iran.
Costruito sotto una montagna, non è vulnerabile alle bombe a penetrazione in dotazione alle forze aeree israeliane e forse solo le bombe la GBU 57/B Massive Ordnance Penetrator statunitensi potrebbero potenzialmente conseguire qualche risultato sganciando gli ordigni dai bombardieri “stealth” B-2 Spirit dell’USAF.
L’Iran ha iniziato a costruire segretamente l’impianto di Fordow dopo aver annunciato ufficialmente la chiusura del suo programma nucleare militare e ne ha riconosciuto l’esistenza solo nel settembre 2009, dopo che Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia hanno diffuso informazioni di intelligence.
Situato all’interno di una grande base del Corpo dei Guardiani della Rivoluzione, Fordow è entrato in funzione alla fine del 2011 come sito per l’arricchimento dell’uranio ad alti livelli, capace di ospitare circa 3.000 centrifughe. Nel 2015, nell’ambito del già citato accordo sul nucleare (JCPOA), Teheran accettò di interrompere l’arricchimento dell’uranio a Fordow e di convertire l’impianto in un centro di ricerca.
Quando nel 2018, nel suo primo mandato presidenziale, Donald Trump ha ritirato in modo unilaterale gli USA dall’accordo l’Iran ha ripreso le attività di arricchimento a Fordow. Nel 2019, Teheran ha annunciato che avrebbe arricchito l’uranio al 5% e poi al 20%. Nel 2023, l’Aiea ha rilevato la presenza di uranio arricchito all’83,7%, un livello vicino a quello necessario per costruire armi nucleari (90%). Allora, le autorità iraniane hanno riferito di “fluttuazioni involontarie” dei livelli di arricchimento.
Secondo gli analisti gli impianti di Natanz, colpiti dagli israeliani nei giorni scorsi, sono utilizzati per l’arricchimento su vasta scala ma a basso livello dell’uranio, Fordow invece rappresenterebbe una sorta di garanzia di sicurezza per l’Iran, garantendo in un sito considerato inattaccabile la possibilità di disporre rapidamente di uranio arricchito idoneo a produrre armi nucleari.
Come ricorda oggi l’agenzia di stampa AGI, il Financial Times ha scritto che Fordow non è solo un impianto di arricchimento dell’uranio, ma una dichiarazione politica e strategica di Teheran.
Il New York Times scrive oggi, citando fonti informate, che Israele ha iniziato a pianificare gli attacchi contro l’Iran lo scorso dicembre, dopo che la decimazione del movimento libanese sciita Hezbollah e la caduta del regime di Assad in Siria hanno aperto un corridoio aereo abbastanza sicuro verso l’Iran.
Netanyahu in febbraio avrebbe mostrato a Trump il punto sul programma nucleare iraniano ricevendo “un sostegno dell’intelligence statunitense per portare a termine l’attacco”, senza tuttavia renderlo noto.
Ancora il Wall Street Journal ha scritto che Trump ha approvato i piani d’attacco sull’Iran, ma tenendo in sospeso la decisione se avviarli o meno. Il quotidiano cita fonti anonime vicine alle discussioni, secondo cui Trump sta valutando una molteplicità di opzioni. Tra queste quella di attaccare l’impianto di arricchimento di uranio di Fodrow.
Reazioni politiche
L’ambasciatore iraniano all’Onu a Ginevra, Ali Bahreini, ha definito “ostili” e “ingiustificati” i commenti del presidente degli Stati Uniti Donald Trump che chiedono la “resa incondizionata” dell’Iran. Bahreini ha precisato ai giornalisti che la campagna israeliana “non è stata in grado di causare gravi danni alle nostre strutture nucleari” perché erano state prese precauzioni per proteggerle.
Ogni attacco da parte degli Stati Uniti contro l’Iran porterà a delle conseguenze. Ha affermato l’ayatollah Ali Khamenei, che in tarda mattinata si è rivolto alla nazione con un messaggio televisivo. Il leader si e’ rivolto agli Stati Uniti, affermando che Teheran “non si arrenderà” e al presidente Donald Trump, aggiungendo che “non accettiamo il linguaggio della minaccia”.
L’Iran non accetterà’ nessuna imposizione “di guerra o di pace” e il suo popolo “non può essere sottomesso.Gli americani dovrebbero sapere che la nazione iraniana non si arrenderà e che qualsiasi intervento militare da parte loro causerà senza dubbio danni irreparabili”. Khamenei, ha ribadito la promessa che Israele “sarà punito per il grave errore che ha commesso. Il popolo non dimenticherà il sangue dei “martiri e l’attacco al suo territorio”.
Un portavoce della Commissione europea ha dichiarato che “un cambio di regime non fa parte della posizione concordata dell’Ue. Quello che facciamo è essere impegnati per un approccio politico globale nei confronti dell’Iran che affronti tutte i temi di preoccupazione che abbiamo – ha detto il portavoce -, tenendo conto di tutte le opzioni a nostra disposizione, incluse le sanzioni. Per questo motivo, il nostro approccio è critico quando necessario e pronto all’impegno quando gli interessi coincidono“.
La Russia ha messo in guardia gli Stati Uniti da un intervento diretto nella guerra contro l’Iran, avvertendo che destabilizzerebbe in modo drammatico la situazione in Medio Oriente. Lo ha detto il vice ministro degli Esteri Serghei Ryabkov all’agenzia Interfax. Ryabkov ha aggiunto che Mosca continua a mantenere contatti sia con l’Iran sia con Israele. La Russia ha espresso la disponibilità a mediare la fine delle ostilità tra Israele e Iran.
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