L’ordine, il disordine e la sinistra delle guerre giuste
DA LA FIONDA (Di Orazio Luongo)

Da tempo si dibatte di crisi dell’ordine globale: l’ordine post Guerra Fredda a guida americana oggi insidiato dall’avanzata di un mondo sempre più multipolare.
Una crisi di cui anche la sinistra è stata corresponsabile, arrivando ad esserne in qualche modo fagocitata. Divorata dalle contraddizioni: su tutte, quella più dirompente della guerra.
La guerra, da sempre per la sinistra, terreno di confronto e di scontro tra le sue diverse anime. Questione su cui nei decenni si sono consumate laceranti discussioni, e drammatiche rotture.
Come nella lunga storia dispiegatasi dall’89 ai nostri giorni, coincidente con la parabola di quell’ordine globale considerato oggi dai più in crisi. Un periodo in cui la sinistra europea, e più nello specifico quella italiana, ha dovuto misurarsi costantemente con la questione della guerra, annunciatasi sin dalla prima Guerra del Golfo, come cifra costituente del nuovo ordine post ‘89. Poi snodatasi attraverso le bombe su Belgrado e gli attentati dell’11 Settembre, fino all’attuale guerra russo-ucraina e ai tanti conflitti in Medioriente.
Un ordine mondiale unipolare che se da un lato ha incontrato negli anni la critica e l’opposizione di una sinistra anticapitalista – portatrice di una visione della guerra permanente come risultato ultimo dei processi di globalizzazione e ristrutturazione del capitale – dall’altro ha visto una sinistra di governo, maggioritaria nelle urne e nelle istituzioni, confondere quel dominio unipolare con il trionfo di un mondo libero e pacificato. Un mondo, restando all’interpretazione di questa seconda sinistra, giunto al capolinea della Storia, alla fine della sua evoluzione, col contemporaneo disfacimento del blocco sovietico e con la definitiva affermazione della democrazia liberale, celebrata come punto più alto del progresso politico umano.
Qualcosa che a vederla con gli occhi d’oggi, con i venti di guerra che imperversano ovunque, col riaffacciarsi degli autoritarismi, e col graduale ridefinirsi delle gerarchie mondiali, fa persino tenerezza per quanto fosse una pia illusione.
Un’illusione di cui, mentre la Storia continuava imperterrita il suo corso, era praticamente impossibile non vederne le crepe. E che eppure gran parte della nostra sinistra – supportata da una fetta notevole di informazione e intellighenzia nostrana – scelse di rincorrere, assumendo una posizione di subalternità rispetto a tutte le narrazioni di guerra alternatesi dagli anni Novanta in poi: da quella “umanitaria” a quella “preventiva”, passando per la guerra infinita esportatrice di democrazia. Fino ad adoperare gli stessi termini e la stessa retorica del campo politico avverso. Con cui più volte poi si è finiti col condividere il sostegno a quelle operazione di “polizia internazionale” o di “guerra al terrore” (Kosovo, Afghanistan, Iraq) che un passo alla volta ci avrebbero condotto all’attuale disordine globale: in cui il numero dei conflitti in corso nel mondo cresce costantemente, e la guerra è tornata ad insanguinare ancora l’Europa.
Interventi armati giustificati all’epoca coll’urgenza di restituire primato alla politica (formula ad alto tasso orwelliano, verrebbe da dire), e in nome di un senso di responsabilità ripetutamente sbandierato, spesso contrapposto al pacifismo giudicato irenico ed ideologico dell’altra sinistra. Quella minoritaria nei palazzi, ma sempre presente nel paese. Che ancora vedeva nella guerra uno strumento di dominio imperiale, e soprattutto ancora avvertiva il richiamo imperativo al ripudio della guerra contenuto nella Costituzione. Mentre la sinistra di governo si assumeva la responsabilità storica e politica di tradirne il messaggio solenne di contrarietà proveniente dall’Articolo 11.
Mentre la sinistra riformista post-comunista restava folgorata sulla via del mercato e di Washington. Dove la direzione impressa alla Storia, che nel frattempo continuava sempre a filare senza sosta, corrispondeva ad un ordine globale ormai stabilmente fondato sul ricorso alla violenza delle armi, e sulla legittimazione della forza quale principio informatore delle relazioni internazionali.
Insomma, su una progressiva normalizzazione della guerra come dato della realtà e mezzo della politica. E, naturalmente, come occasione eccellente per dirottare enormi quantità di denaro dalla spesa sociale al riarmo.
Praticamente, il Voi siete qui che ancora oggi ci tocca rintracciare sulla cartina.
Il punto in cui, a dispetto della Storia che procede verso nuovi equilibri, l’umanità si è fermata in un perenne stato di assedio o di guerra. Dal quale, girandosi intorno, lo spettacolo che si vede è quello di un mondo in fiamme.
Un mondo sull’orlo dell’autodistruzione, travolto da una deriva di barbarie e bellicismi. Contro cui ci si chiede, fermi sempre nello stesso punto, cosa ha fatto la sinistra delle “guerre giuste”, se non condurci proprio sin qui.
FONTE: https://www.lafionda.org/2025/09/17/lordine-il-disordine-e-la-sinistra-delle-guerre-giuste/





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