La società delle maschere
di LA FIONDA (Lucrezia Lombardo)

Una riflessione sul ruolo della cultura e degli intellettuali nel tardo capitalismo
Nel 1874 si tenne, a Parigi, la prima esposizione degli impressionisti al di fuori dei circuiti ufficiali. La mostra venne infatti inaugurata nello studio del fotografo Nadar, presso Boulevard des Capucines; si trattò di un evento rivoluzionario ed unico nella storia dell’arte, poiché l’esposizione venne organizzata in autonomia da artisti come Monet, Renoir, Degas, Pissarro, Sisley e Morisot, che poi sarebbe divenuti tra i più celebri al mondo. I pittori scelsero di esporre le proprie opere in modo indipendente dall’Accademia delle Belle Arti e dai Salons ufficiali, poiché il loro linguaggio innovativo venne ostacolato sin da subito dalla critica dell’epoca.
La vicenda degli impressionisti deve farci riflettere, oggi più che mai, in quanto, nel tardo capitalismo contemporaneo, si pone una questione fondamentale, inaugurata dall’avvento del Postmoderno: l’arte e la letteratura – inclusa la poesia – sono ormai morte?
La domanda è articolata e richiede una risposta parimenti complessa. Difatti, una costante che si riscontra nella storia del pensiero, dell’arte e della letteratura è proprio il fatto che ogni linguaggio autentico e innovativo, in quanto costituisce una rottura rispetto al precedente paradigma, viene ostacolato poiché, oltre ad essere incompreso, mette a rischio la stabilità del vecchio modo di raccontare il reale.
Questo implica un passo ulteriore nel ragionamento: ciò che definiamo “cultura” – con la sua schiera d’intellettuali affermati, che la sostengono e la incrementano – ha per scopo principale quello di rafforzare se stessa e la narrazione che le ha consentito di diventare il paradigma egemone. Ecco dunque che, nella storia della cultura in generale – e nella storia dell’arte, della letteratura e del pensiero, in particolare- ogni trasformazione nasce dalla lotta tra due paradigmi: quello già affermato e che costituisce il “mainstream” e quello che cerca di emergere al di fuori dei canali ufficiali, come accadde per gli impressionisti francesi.
Questo processo dialettico, che non risparmia neppure la cultura – tantomeno la letteratura e la poesia – prevede che una nuova classe d’intellettuali si crei e si rafforzi, proprio a partire dalla coerenza nell’opposizione al “linguaggio mainstream”, attraverso atti di coraggio che implicano una ricerca autentica, ovvero la creazione di linguaggi espressivi che non si preoccupino dei parametri imposti dal mercato e dalle mode del tempo. In tal senso, ciò che contava per gli impressionisti non era vendere le loro opere, bensì la qualità del proprio lavoro, andando controcorrente.
L’anteposizione del criterio qualitativo a quello quantitativo è, perciò, uno degli elementi fondamentali nella ricerca artistica che andrà ad occupare un ruolo di primo piano nella storia. Tale lungimiranza, tipica dei linguaggi espressivi autentici, implica infatti la disponibilità, da parte dell’artista, del poeta, o dello scrittore a subire calunnie e incomprensioni, con la certezza che solo il tempo renderà a ciascuno i propri meriti, sulla base del valore intrinseco dell’opera prodotta e non in riferimento alla legge della domanda e dell’offerta.
Ne consegue che la vera cultura -così come la vera arte, la vera poesia e la vera letteratura – è, anzitutto, uno sguardo sul mondo basato su due elementi: la ricerca di bellezza attraverso la meraviglia (apprendere nuovamente a guardare le cose con innocenza, dimenticandosi, per un istante, del dolore del mondo e della sua violenza) e la capacità critica. La seconda, in particolare, richiede di non uniformarsi al gusto dominate – che veicola sempre un’ideologia di potere -, bensì di avere il coraggio di osare, proponendo riflessioni che siano, anzitutto, decostruzioni del reale e delle sue ideologie. Per riuscire a trovare una tale forza creativa, occorre uscire dalla logica del confronto. Logica che il postmoderno e il tardo capitalismo trasportano in ogni ambito, e alla quale non si sottraggono neppure la letteratura e l’arte, settori in cui un numero crescente di aspiranti creativi dà forma a prodotti – e non ad opere – sulla base dell’imitazione dei modelli dominanti. L’arte vera, al contrario di tutto ciò, è invece anti-imitativa e ricerca l’unicità in se stessa, al di fuori del confronto. Tutto questo comporta che, per dare vita, nell’era postmoderna, a nuovi linguaggio espressivi capaci di riproporre la bellezza a un mondo annichilito e violento, occorre abbandonare le maschere che il presente impone a ciascuno. Difatti, il mondo contemporaneo, dominato com’è dall’apparenza e della visibilità, oltre che dall’ossessione per l’eterna giovinezza e per la prestazione competitiva – dinamiche che hanno pervaso persino i rapporti interpersonali e il sistema scolastico ed educativo -, impone a tutti d’indossare le maschere che la società richiede. Esse hanno a che fare con i risultati, che tutti siamo chiamati a conseguire, venendo ingabbiati in una perenne corsa che ha lo scopo di allontanarci da noi stessi -dunque, dalla vera comprensione delle cose – e dagli altri, concepiti adesso unicamente come mezzi. L’oggettificazione e la strumentalizzazione del mondo, degli altri, finanche di noi stessi, costituiscono la maschera collettiva che il mondo contemporaneo ci chiede d’indossare, se vogliamo essere socialmente rilevanti. Di contro a tutto ciò, la vera letteratura e la vera arte sono, piuttosto, linguaggi che aiutano l’individuo a togliere la maschera, inducendo in costui, attraverso la bellezza, l’aspirazione alla verità. Tuttavia, un’arte che produca un simile shock e che inneschi nel soggetto il desiderio di togliersi la maschera che il mondo impone, comporta delle conseguenze, che vanno sapute affrontare. Difatti, chi non segue la massa e il pensiero unico a cui essa è abituata, anzitutto, è sottoposto ad un processo di esclusione, denigrazione e derisione sociale. Eppure, privarsi della maschera implica libertà: chi ha compiuto tale atto rivoluzionario, non abbisogna più di manipolare se stesso o gli altri e non si occupa più di produrre linguaggi che siano in linea con l’ideologia dominante, pur di ottenere celebrità. Ne consegue che, accettare di non essere compresi, significa essere liberi.
E se l’atto di togliersi la maschera – frutto di un processo di crescita interiore – è ciò che consente di pervenire a una libertà autentica, la letteratura, l’arte e la cultura che seguono questo percorso, danno forma ad opere che non sono in linea con la moda del tempo e con le sue narrazioni, ma che, piuttosto, hanno lo scopo di promuovere la vera conoscenza di sé, della vita e del mondo. Invece di sostenere le menzogne che la cultura di sistema incrementa, la cultura senza maschere ha per fine il riavvicinamento dell’uomo a se stesso – e, dunque, agli altri – e la demistificazione delle falsità che la retorica della prestazione e della visibilità produce, dando vita ad assetti di potere autoritari e ideologici. Del resto, chi sceglie di dare battaglia alla società delle maschere contemporanea, deve prepararsi ad essere apolide, senza patria, ma se stesso ovunque.
FONTE: https://www.lafionda.org/2025/09/18/la-societa-delle-maschere





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